La strada non finisce qui

Emanuele Mei è un collega, un giornalista. Uno di quei giornalisti che sono stati in Ucraina a raccontare la guerra e poi ai confini, ai valichi, mentre le persone cercavano di fuggire, di scappare. Non era la prima volta, Emanuele è stato anche in Bosnia e in quei luoghi, quelli tormentati dalla guerra, ha fatto proprio, ancora di più, ancora meglio, il significato del termine conoscere: «Conoscere una persona- ci dice- non significa solo incontrarla. Incontrare qualcuno è importante, conoscere è altro. Significa accettare di condividere una parte di realtà con chi incontri, per quanto sia difficile, per quanto sia una realtà che non ci piace». Quella realtà, talvolta, è tale da togliere i colori, da lasciare tutto indistinto, tutto uguale.

«Se sono partito in bicicletta verso Capo Nord è stato anche perché ho iniziato a vedere tutto in bianco e nero. Anzi, mi correggo, magari fosse stato bianco e nero, ci sarebbe stata una cesura, un taglio, una differenza. Era tutto grigio, tutto uguale e grigio. Quando vivi certe esperienze accade». Per riappropriarsi di quei colori ha scelto Capo Nord perché è l'immagine di ciò che va oltre il limite, oltre quel limite che, in un viaggio, cambia di volta in volta, che si sposta, si allontana o si avvicina a seconda di dove sei, di come stai, di cosa pensi e cosa sogni. Capo Nord resta, per dirla con le parole di Emanuele Mei, «lontano, un luogo che richiede uno sforzo importante , fisico e mentale», un luogo che, una volta raggiunto, in un viaggio così, non può che cambiare qualcosa in te.
Per ritrovare quei colori ha scelto le strade meno conosciute, spesso off road, la stagione sbagliata, è partito il primo agosto ed è arrivato ieri, il 5 novembre, dopo 64 tappe e 5800 chilometri. Ha scelto la bicicletta: «La amo, la amo profondamente. A volte la butterei via, in un burrone, da qualche parte pur di non vederla. E lì so che la amo. Perché quando ami forte, odi anche un poco. Un filo sottile, sottilissimo». Ha scelto tutto questo, si è preparato e poi è partito, dalla Liguria.

La bicicletta è stato un mezzo, lo dice ora, sdraiato su un letto, dopo tempo, dopo che ieri all'arrivo ha montato una tenda in mezzo a una bufera di vento, dopo aver visto quel globo che, solo cinquecento metri prima, sembra non esistere, non esserci, coperto, nascosto. «Quella tenda l'ho montata anche in Svezia, l'ho montata in luoghi in cui avevo visto tracce di lupi, impronte di orsi. L'ho montata in giorni di pioggia che si susseguivano senza fine, anche quando mi chiedevo solo: "Ora come faccio? Come si va avanti? Se non arrivassi?". Sono arrivato e di questo viaggio, all'esterno, non resterà nulla o quasi, ma dentro di me niente è come prima. A me interessa questo».
Si parla di tutte le volte in cui, da solo, ha parlato con quella bicicletta, le ha detto di tutto e di più e non gli interessavano risposte, gli interessava poter raccontare, chiedere, interrogarsi. Talvolta dire quanto era bello pedalare, in Germania, ad esempio, che “sembra Fantasilandia”, talvolta dire quanto era difficile. Anche in Lapponia, anche con la brina e il ghiaccio in ogni dove, anche sul manubrio, sulla sella. «La Scandinavia, su una carta geografica, sembra piccola, un puntino, un pezzetto, a nord: in realtà non finisce mai. Forse non ho avuto paura, non direi così, credo che la paura sia riservata ad altre cose, più grandi, ma dubbi ne ho avuti, domande anche, e con tutto questo ho individuato un altro limite da superare, dentro di me, non geografico, ma interiore».
Proprio perché i limiti si spostano e cambiano di volta in volta, dopo aver visto Capo Nord, dopo essere arrivato così lontano, la domanda gli è venuta spontanea: «E adesso?». Beh, Emanuele Mei ha riflettuto e in questi giorni continuerà a pensare, come ha fatto in viaggio, tutte le volte in cui si è fermato per scrivere, per esteriorizzare qualcosa che aveva interiorizzato, e di risposte, probabilmente, ne troverà ancora molte, diverse. A noi piace lasciarvi con la sua prima risposta, quella che si è dato sotto quel vento che ieri scuoteva tutto: «La strada non finisce qui. La strada non finisce a Capo Nord».