Un altro ultimo giorno di scuola

La felicità alla fine. L'ultimo giorno del Giro d'Italia, l'ultima tappa del Giro d'Italia, l'ultima volta al Giro d'Italia, almeno da ciclista, per Mark Cavendish. Lo aspettavamo già qualche giorno fa, è arrivato oggi. Una volata lunga, eterna, verrebbe da dire, pensando alla Città Eterna: vince per distacco, in quel gesto che ha fatto chissà quante volte in carriera e chissà quante volte rifarà, per scherzo, per gioco quando, a fine anno, smetterà. Almeno questo è un piccolo augurio: di poter vivere la volata come un gioco, con i figli, magari perdendo o fingendo di perdere, come fanno molti adulti, come potrà fare Cavendish. Eterna la città, Roma, ed eterna la volata, perché la velocità di due ruote che scorrono ed il vento in faccia sono un linguaggio universale. Una forma di espressione, quando la voce si spezza, quando non si sa cosa dire perché si sta provando troppo e tutto assieme. È la situazione di Cavendish, ma è possibile parlare in molti modi ed è, forse, un bene che non ci siano solo le parole per esprimersi. Che ci sia una volata o uno scatto in salita. "I vecchi amici", di cui Cavendish parla, queste cose le sanno.

C'è quel che è eterno e quel passa. Spesso si parla di ultimo giorno di scuola a proposito dell'ultimo giorno del Giro d'Italia ed è vero. Lo sentiamo in questi giorni più che mai ed è raro, difficile. Perché tutti sappiamo come ci siamo sentiti in uno qualunque dei nostri ultimi giorni di scuola, come abbiamo percorso a piedi o in bicicletta l'ultimo tragitto verso casa, pensando che lunedì non ci sarebbero state verifiche, interrogazioni, pensando ci rivediamo a settembre. A fine Giro d'Italia ci sembra di avere questa sensazione davanti agli occhi, la vediamo in ogni ciclista, che pensa al ritorno a casa, che pensa al fatto che, comunque sia andata, oggi si può essere felici, al resto si penserà poi, che, comunque sia andata, si è arrivati alla fine. Ci pensavamo guardando quegli abbracci di Cavendish dopo la vittoria: quell'abbracciare e riabbracciare, quel godersi il finale, quel lasciare da parte tutto il resto. Ci pensavamo vedendo la felicità di Roglic, l'orgoglio e la dignità del secondo posto di Thomas, Ackermann, caduto sui sampietrini, al traguardo abbracciato dai compagni. Domani si potrà riposare. Per noi la scuola è finita da tempo e oggi quella sensazione ci manca. Vorremmo un altro ultimo giorno di scuola. Uno solo.

Vederlo nei ciclisti ci ricorda che il Giro d'Italia, che tre settimane fa era un appuntamento, è diventato un'abitudine. Non è cosa da poco: perché se l'appuntamento diventa abitudine vuol dire che si è stati bene, che ci si rivede, ci si conosce, si sa qualcosa di più di quel che si è incontrato. Il Giro è diventato una forma da dare alla giornata, ai pensieri, talvolta un modo di scacciarli, di incontrarsi. E domani? Domani torneranno tante cose che ci eravamo scordati, tante cose che avevamo rimandato. È una nostalgia particolare, una nostalgia di quel che si è vissuto e di quel che ancora si dovrà vivere. Perché maggio torna ogni anno e, con maggio, il Giro, eppure ogni anno è la stessa storia. Non ci si abitua mai. Allora viviamo questa nostalgia, viviamo quel che ci manca e di cui attendiamo il ritorno. Senza sfuggirle. E, chissà, forse, in qualche modo, tornerà anche per noi un altro ultimo giorno di scuola.