Storie dal deserto
ARTICOLO A CURA DI MATTEO GIORDANO
Lo ammetto, l’ UAE Tour non sarà la corsa di una settimana più esaltante del calendario, con i suoi drittoni nel deserto buoni solo per qualche ventaglio, viatico per le prime sfide fra i migliori velocisti; non si tratta nemmeno di una corsa che regala sfide particolarmente spettacolari sulle rampe di Jebel Jais e Jebel Hafet, che comunque sono parecchio in alto nella mia classifica personale dei nomi di salite più belli ed evocativi del mondo. Tuttavia l’Oriente mi ha sempre affascinato, e poi il deserto, insieme alle montagne, rappresenta la massima aspirazione per l’uomo quando si tratta di andare oltre le proprie paure e i propri limiti.
L’UAE Tour ha qualcosa di ipnotico come un incantesimo, forse per via del contrasto fra il deserto brullo e le città immaginifiche costruite da chi non solo può permettersi di ingaggiare il miglior corridore del mondo, ma anche di assumere i più visionari ingegneri e architetti, per sfidare la natura, domare l’acqua, piegare anche il deserto, almeno un po’, al proprio volere.
Ma magari sono solo io che, dopo due mesi di ciclocross e oniriche gare australiane nel cuore della notte, non vedo l’ora di tornare a un po’ di vero ciclismo su strada, ma non escludo che il massiccio volume de "Le Mille e una Notte" che latita sul mio comodino e che di tanto in tanto riprendo, in questo periodo dell’anno fa la sua parte.
E allora mi viene quasi naturale scovare un’epica fatta di magia, eroi e prodigi, tipici di quelle terre lontane, anche nelle imprese dei Pro sulle loro biciclette scintillanti sotto una luce che non dà tregua.
Tappa 1 – Philipsen, l’uccello Roc che cade sotto il suo stesso peso
La prima volata di questo UAE Tour lanciata con l’arrivo che tirava all’insù, molto più di quanto si sarebbe potuto pensare, non poteva che vincerla Jonathan Milan, con il suo strapotere fisico che pare debba strappare il manubrio da un momento all’altro mentre spinge a più non posso sui pedali.
Tuttavia, a far parlare di sé sul traguardo di Dubai è stato Jasper Philipsen, uno che, come Milan del resto, non si può definire velocista senza il rischio di essere tacciati di limitata visione delle cose.
Philipsen si è lanciato come sempre verso la linea del traguardo simile all’uccello Roc delle leggende arabe: enorme (forse anche un filo sovrappeso), con l’aria dominante, capace di oscurare il cielo con la sua sola presenza. Quando è sbucato dalla ruota di Milan, per un attimo la vittoria sembrava certa, pareva dovesse, con le ultime pedalate, planare per primo sul traguardo, e invece no, doppiamente no: il corridore dell’Alpecin ha incrociato il destino dell’uccello Roc. La mitologica creatura che si crede invincibile arriva secondo; di più, finisce per soccombere alla sua stessa foga e bramosia di vittoria. La giuria rivede le immagini: deviazione irregolare per chiudere la traiettoria a Fisher-Black. Retrocesso.
Come Roc che perde il controllo e precipita sotto il suo stesso peso, anche Philipsen, troppo sicuro della sua potenza, come già in altre occasioni, finisce sconfitto. Un altro sprint segnato da troppo impeto e forse da un filo di consapevole scorrettezza.
Tappa 2 – Tarling, il tappeto volante
Nel deserto soffia un vento che porta con sé antiche storie. Una delle più celebri è quella del tappeto volante, capace di sfidare la gravità e portare il suo cavaliere più lontano e più veloce di qualsiasi altro mezzo. Josh Tarling, nella tappa a cronometro sembrava averne trovato uno. Il suo tappeto non era tessuto di fili magici, ma di carbonio e ingegneria avanzata, un bolide che ha dominato la strada e il vento con la grazia di chi è nato per volare.
Mentre gli altri sembravano faticare per tenere la bici in traiettoria tra le raffiche, lui sfrecciava con una leggerezza quasi irreale. Il suo assetto era perfetto, il colpo di pedale senza scosse, la progressione inarrestabile. Come nei racconti in cui solo il prescelto può governare il tappeto magico, anche Tarling sembra avere un dono naturale per la cronometro, una sintonia perfetta con il mezzo che lo rende già un dominatore del tempo.
Il futuro forse è già qui, e di fronte a una simile naturale potenza non c’è nemmeno bisogno di troppa magia.
Tappa 3 - Rubio e la maledizione del secondo ritorno
La montagna che un anno fa lo aveva incoronato, questa volta gli ha voltato le spalle e in un modo che fa arrabbiare. Einer Rubio, vincitore nel 2024 sul traguardo di Jebel Jais, e che forse sognava di provarci anche quest’anno, non aveva messo in conto un guasto meccanico nel momento peggiore, e soprattutto la strana posizione in cui sull’ammiraglia stava la bici di scorta, talmente scomoda da raggiungere che il massaggiatore deve arrampicarsi sul cofano; e così gli avversari se ne vanno e i minuti pure.
Nella tradizione araba esiste un'antica credenza: il secondo ritorno è sempre carico di insidie. Gli eroi che provano a ripetere un’impresa trionfale spesso si scontrano con ostacoli imprevisti, come se il fato volesse impedire loro di replicare la gloria. È la sorte che toccò a Sindbad il Marinaio che, dopo essere sopravvissuto a incredibili avventure, volle spingersi ancora oltre, solo per trovare nuove sventure ad attenderlo.
Anche Rubio ha vissuto il suo secondo ritorno a Jebel Jais con esiti ben diversi dal primo. Il destino lo ha messo alla prova con un imprevisto tecnico nel momento peggiore, e a nulla è servita la sua gran gamba. Ma se c’è una lezione che le leggende arabe insegnano, è che le maledizioni possono essere spezzate: e allora servirà un terzo ritorno, per trasformare la sfortuna in leggenda.
Tappa 4 – Milan, la forza inarrestabile del vento
Nel deserto, il vento non è solo un elemento naturale: è un’entità viva, un narratore invisibile che scolpisce le dune, e porta con sé le storie di chi osa sfidarlo. E quando soffia con furia, solo i più forti sanno cavalcarlo senza esserne travolti.
Jonathan Milan ha domato il vento. Nella quarta tappa, caratterizzata da raffiche che spazzano le strade aperte dell’UAE, il corridore italiano si è fatto brezza, poi tempesta. Ha atteso il momento giusto, sfruttato ogni folata a suo favore e, con un colpo di pedale potente come una martellata, ha tagliato il traguardo davanti a tutti, senza storia
Nel folklore arabo, il vento è spesso un alleato delle imprese eroiche: porta i viaggiatori verso il loro destino, soffia nelle vele dei grandi esploratori, avvolge gli eroi nel momento decisivo. Anche oggi il vento ha scelto Milan e tutto lascia pensare che non lo abbandonerà tanto facilmente.
Tappa 5 - Malucelli: il destino del viandante
Nelle storie della tradizione araba, spesso il viandante, colui che sembra destinato a rimanere nell’ombra dei grandi, trova invece il suo momento di gloria quando meno ci si aspetta. Così accade ne "Le Mille e una Notte", dove un mercante senza pretese può scoprire un tesoro nascosto, o un viaggiatore qualsiasi può incrociare il proprio destino con quello dei sovrani.
Matteo Malucelli, centrando un grande secondo posto nella quinta tappa dell’UAE Tour, ha seguito il copione del viandante che, con astuzia e tempismo, si inserisce nel racconto in un ruolo che, probabilmente non era stato scritto per lui. Mentre i favoriti si controllavano e altri venivano messi fuori gioco da una caduta, Malucelli ha saputo infilare le sue ruote, piuttosto veloci (benché qualcuno avesse avanzato qualche ironico sospetto data la provenienza geografica delle stesse) nel momento giusto, emergendo inaspettatamente e scrivendo la sua M tra quelle più blasonate di Merlier e Milan. Non sarà una vittoria, ma è una di quelle imprese che fanno sì che il viaggio – e le corse – rimangano sempre pieni di sorprese.
Tappa 6 – Merlier, il mago del deserto
Nella tradizione araba, il mago è una figura ambivalente: può essere un ingannatore o un saggio, un manipolatore delle forze invisibili o un maestro della conoscenza segreta. Ne "Le Mille e una Notte", i maghi non si limitano a lanciare incantesimi: trasformano il mondo intorno a loro con la parola, la mente e l'illusione. Sono strateghi, come il celebre mago persiano che nella storia di Hasan di Bassora modella il destino del protagonista attraverso trucchi e magie sottili.
Tim Merlier, forte dell’assonanza con un altro celebre mago della tradizione occidentale, vince la quinta tappa con la solita chirurgica precisione del velocista di razza che sa che, per sconfiggere lo strapotere fisico di un avversario, occorre pure un tocco di magia. In una corsa caotica, con i ventagli a spezzare il gruppo e le accelerazioni che fiaccavano le gambe, il campione d’Europa ha saputo leggere la corsa come un incantatore che prevede il futuro. Ha misurato l’attesa, tessuto la sua strategia e poi, quasi come un incantesimo, ha materializzato la sua vittoria anticipando tutti, scappando via per non essere più raggiunto. Un mago della velocità, uno con cui fare i conti a ogni volata.
Tappa 7 – Pogačar, il jinn della montagna
Non è umano, banale dirlo. Tadej Pogačar non ha nemmeno bisogno di faticare troppo sulle salite dell’UAE Tour con la naturalezza di chi sa di avere un potere superiore. È lui il jinn della montagna, lo spirito inarrestabile che appare e scompare a piacimento, lasciando dietro di sé solo il suono del vento e il rumore della resa dei suoi avversari. Nel folklore arabo, i jinn sono esseri misteriosi, dotati di poteri immensi. Possono trasformarsi, controllare gli elementi e sparire, proprio come fa Pogačar, che sembra evaporare agli occhi di chi cerca di seguirlo non appena allunga il passo in salita. Un attimo prima è lì, accanto a te; un attimo dopo è già lontano, verso un destino scritto da tempo. Da togliere il respiro, soprattutto a quelli che provano a seguirlo.
Tutto troppo prevedibile? Forse. Ma questo non rende la sua superiorità meno spaventosa e fa crescere in noi il desiderio di vederlo presto duellare ad armi pari con qualche altro jinn, magari un jinn delle pietre.
Come una bistecca
Lo chiamano, in maniera concisa, "Tadej Pogačar", forse perché “Campione del mondo, capace di conquistare quasi ogni corsa a cui si presenta e pure la terza Strade Bianche - raggiunto Cancellara - anche quando inizialmente non riesce a staccare tutti i suoi avversari, sbaglia in malo modo una curva, cade e si fa male e arriva al traguardo insanguinato, ma vincente” sembrava troppo lungo.
Nella collezione delle sue vittorie ne mancava una in cui all’arrivo pareva la bistecca tanto desiderata da Vincent Vega in Pulp Fiction: grondante sangue. Nelle foto della Strade Bianche abbiamo visto gente arrivare con facce da golem, altri come mummie risvegliate da un sonno millenario, altri ancora buttarsi per terra stremata dalla fatica, ancora un po’ serviva qualche macchinario per fargli riprendere fiato, oppure chi ancora lo abbiamo visto tagliare il traguardo dopo aver saltato un pezzo di percorso ed essere ugualmente inseriti erroneamente nell’ordine d’arrivo. Ma non abbiamo mai visto vincere qualcuno conciato in questa maniera, almeno non qui a Siena.
Si va a prendere pure questo primato Pogačar, che a 26 anni infila l’ennesima grande vittoria della sua carriera, questa, per certi versi, la più scontata alla vigilia, per quello che è successo in corsa intorno alle tre e venticinque di oggi pomeriggio, con un effetto sorpresa che a tratti ha smarrito spettatori, tifosi, membri del suo team. Forse per qualche attimo anche lui e gli avversari.
Quando ha ripreso Pidcock - o meglio Pidcock, grande corsa la sua, lo ha aspettato - abbiamo provato ad analizzare al dettaglio ogni piccola smorfia del suo volto, abbiamo fatto la conta dei tagli sulla spalla, sulle mani, sulle gambe come fossimo novelli studenti di anatomia. Abbiamo vissuto un paradosso: pensavamo che così ammaccato non ce l’avrebbe fatta e invece, un’ora più tardi della caduta, ha tagliato il traguardo di Piazza del Campo a Siena festeggiando con i tifosi.
Quei tifosi che ancora oggi si dividono: c’è chi si esalta, chi è stufo, chi vorrebbe vedere qualcuno in grado di contrastarlo, ma come abbiamo già detto altre volte, lui appartiene a un altro mondo, a quello dei più grandi di sempre. Ed è questo che oggi importa. Scambiamoci un saluto in segno di pace e rendiamo grazie a questo qui capace di arrivare sorridendo e vincere anche quando è conciato come una bistecca.
Il coraggio delle scelte: Trinca Colonel e l'approdo in Jayco AlUla
Solo un anno e mezzo fa, o poco più, Monica Trinca Colonel era a mani vuote. Anzi, a mani vuote ed a mente piena, come succede con i progetti nuovi, diciamo pure con i sogni. Per questo, la realtà che si trova davanti oggi, nelle sue sensazioni, è anche più bella di quella che tutti noi che ne siamo estranei possiamo vedere e analizzare. Il dato di fatto è che, dopo appena un anno dal suo ritorno nel ciclismo con BePink, nel 2025, Trinca Colonel ha già firmato un contratto e iniziato una nuova stagione con Jayco AlUla: «Non solo non sapevo come sarebbe andata, ma mi chiedevo anche quante possibilità di fare la ciclista ci sarebbero state. Paradossalmente questa storia avrebbe potuto non iniziare mai ed io lo sapevo. Non bastava volerlo e neppure lasciare il vecchio lavoro e allenarsi duramente. Non fosse iniziata, non avrei comunque più avuto un lavoro, avrei dovuto ricominciare da capo. Per questo è enorme quel che sta succedendo. Per me è una conferma di aver fatto le cose per bene. Una conferma del fatto che, forse, certi rischi vanno corsi. Non è questione di eroismi, è, semmai, questione di quel che vogliamo ed io volevo essere una ciclista». Un anno, solo un anno: si potrebbe dire che è stato tutto veloce, sin troppo. La verità è diversa, pur se nessuno la conosce fino in fondo. Sì, i primi interessamenti da parte di squadre World Tour sono avvenuti dopo le prestazioni di Trinca Colonel alla Vuelta a España dello scorso. Avrebbe potuto dire subito sì, invece ha aspettato, ha corso il Tour de Suisse ed il Giro d'Italia Women ed ha preso una decisione solo successivamente.

«Volevo conoscermi, capire realmente il mio valore ed acquisire sicurezza in me stessa. Non credo nelle decisioni affrettate, anche se portano a qualcosa di bello. Ho continuato a correre, senza pressioni, comprendendo che ruolo potessi avere nel ciclismo. Solo dopo, ho firmato. era da poco finito il Giro». Nel frattempo proseguivano le gare con BePink, la squadra senza cui, parole sue, non sarebbe qui a parlare oggi: la gratitudine è per l'ambiente, per il rapporto che ha instaurato con le compagne e, soprattutto, per la serenità. «Queste squadre sono fondamentali, vanno tutelate perché sono l'unico ambiente in cui le atlete possono crescere senza pretese, imparare senza tensioni. Persino sbagliare, senza dovere nulla a nessuno. Sono cose che si ricordano, andrò sempre a salutare lo staff BePink perché a loro devo il mio essere ciclista e la mia felicità nell'esserlo». La firma e la decisione perché era quello che voleva, perché ha 26 anni e non intende aspettare oltre e perché, forse soprattutto, «in questo sport non è possibile attendere troppo, tutto può succedere e bisogna essere pronti perché, spesso, capita una volta sola».
Paure per la nuova avventura? Trinca Colonel, al momento, non ne ha praticamente mai avute, è solo contenta. Ha sempre saputo che i cambiamenti sarebbero stati molti, per esempio non sarà sempre lei la donna di punta, colei per la quale le compagne fanno rifornimento di borracce all'ammiraglia, spesso le toccherà proprio questo ruolo e sarà bandito ogni protagonismo, ma non importa, anzi ne è orgogliosa. I segnali di miglioramento, tra l'altro, sono costanti ed in aumento, in particolare nello scorso finale di stagione: «Me la sono cavata sempre abbastanza bene quando si è trattato di stare davanti in gruppo, la differenza, però, è la convinzione. Mi è capitato di perdere posizioni a causa di cadute perché, di base, non mi muovevo in maniera decisa. Ora sì, ora so esattamente quello che voglio e vado a prendermelo, all'inizio del 2024, invece, non c'era un obiettivo vero e proprio e raccoglievo quel che mi capitava». Vorrebbe migliorare a cronometro, aiutare una sua compagna a vincere tappe o un grande giro. Nelle gare dello scorso fine stagione, alle partenze ed agli arrivi, ha parlato con lo staff di Jayco AlUla e, via messaggio, con Letizia Paternoster, che ricorda quando correvano assieme da bambine e non vede l'ora di ritrovarla in squadra. Il resto del team l'ha conosciuto durante i primi ritiri stagionali e anche lei si è fatta conoscere, si è raccontata. Ha sempre voluto tornare alla Strade Bianche ed ha un leggero timore nel rivelare che le piacerebbe vincerla, «ma sì, diciamolo, in fondo non si può mai sapere e nulla è impossibile». Qualche indizio, tra l'altro c'è e risale a pochi giorni fa: quell'undicesimo posto sugli sterri senesi, "più di una semplice gara", per usare le sue parole. Ammette, invece, che ha nel mirino un buon risultato al Giro d'Italia Women e vorrebbe correre il Tour de France Femmes. Il suo giorno più difficile è stato all'ultima tappa del Giro d'italia conquistato da Elisa Longo Borghini quando una crisi ha buttato al vento parte del lavoro fatto nelle frazioni precedenti, in altri casi erano state cadute o malessere a guastarle i piani, una crisi però è diversa e lascia più amaro in bocca.

La sua famiglia è, se possibile, più felice di quanto lo sia lei stessa, perché il cerchio si sta chiudendo e tutto inizia a combaciare. Il suo compagno, appassionato di ciclismo, gareggia anche lui, ultimamente rinuncia alle proprie gare per seguirla, per starle accanto: «In fondo, è stato lui a convincermi a prendere il coraggio a piene mani e a buttarmi in questa avventura. Non è solo una cosa mia, è una cosa nostra tutto questo che si sta realizzando e, forse, è questa la parte migliore».
10 nomi da seguire alla Strade Bianche
7 Marzo 2025Corse,Approfondimenti
Alla Strade Bianche 2025 Tadej Pogačar avrà pochi avversari. Ha vinto due delle ultime tre edizioni con un totale di centotrentuno chilometri di fuga, con una settantina farebbe cifra tonda o poco più, con ottanta avrebbe passato in fuga interamente almeno una delle tre Strade Bianche vinte (sì, ok, la terza deve ancora vincerla...) come puntualizza un lettore nel nostro gruppo Telegram.
Pochi avversari, nessun alter ego. Uno può essere proprio lo stesso Pogačar, ma non riesco a pensare come possa andare contro se stesso, non ha mai dato segni di scompenso in tal senso. L’altro avversario, più plausibile, in uno sport dove “può accadere di tutto”, al massimo sarebbe legato a qualche fattore esterno come una caduta, una foratura in un momento chiave, per il resto è difficile immaginare lo sloveno sconfitto in una corsa perfetta per lui sotto ogni punto di vista.
RCS l’ha indurita lo scorso anno, venendo ancora di più incontro alle caratteristiche del campione del mondo in carica e per il 2025 ha aggiunto altri (quasi) 10 km in più di sterrato, anche se, giova ricordare come, andando verso l’arrivo, le "strade bianche" diminuiscano nettamente rispetto alla parte centrale in cui sono assolute protagoniste.

Gli avversari più credibili non ci sono: van der Poel, scelta tecnico-tattica direbbe un Fabio Capello d'annata, consapevole forse di andare incontro a una sconfitta, pensa ad altri traguardi e, assente della penultima ora, Van Gils, uno dei più accreditati outsider. Gli altri correranno per il secondo posto, lo hanno già, più o meno, affermato. Lo scenario più credibile è l’attesa di un Pogi-show, come e quando vorrà lui e dietro rimescolamenti, caos, magari organizzato, gara al ciapa no dove, via via, usciranno alla distanza i corridori più tagliati per fondo- corsa molto esigente con un finale verso Siena che spacca le gambe - forma, capacità di tenere ai continui su e giù, sia in sterrato che non. Sempre che qualcuno non sia preso dalla voglia di provarci veramente (anticipando, inventandosi qualcosa, magari anche seguire Pogačar con il rischio di saltare per aria e buttare via un buon piazzamento) e non partire battuto, come ha, piuttosto banalmente, ricordato Michael Albasini, uno dei DS della Q36.5, la squadra di Tom Pidcock: «Pogačar è il più forte ed è il favorito, ma se parti sconfitto di testa, lui sarà ancora più imbattibile».
I nomi che possono concorrere al podio sono diversi: da Scaroni a Pidcock, fino a Van Eetvelt, passando per corridori più esperti come Kwiatkowski, Bilbao, Skuijns, Wellens ad altri più giovani come Vacek, Grégoire, Adria e Simmons, o magari Hirschi, Madouas, Mohorič, Valter o Healy dovessero salire di colpi rispetto alle prime uscite stagionali.
Le sorprese, però, verso Piazza del Campo, potrebbero non mancare come succede spesso. Ed è proprio su questo che voglio basare i dieci nomi da seguire alla Strade Bianche 2025. Quei corridori meno attesi, meno gettonati, magari più lontani dai riflettori (anche se non tutti lo sono tra quelli che seguiranno) e che potrebbero riuscire a ottenere un piazzamento importante al termine di una corsa che, comunque vada, si attende dura, selettiva, di quelle che rimarrà nelle gambe per diversi giorni. Speriamo anche nella mente degli appassionati, anche se ultimamente, quando Pogačar è in gara, la lotta per la vittoria resta annacquata e si divide tra chi gioisce nel vedere e nel vivere un campione che sta scrivendo la storia di questo sport affiancandosi ai più grandi di sempre e chi invece di tutto ciò è un po' stufo.
Ben Tulett 🇬🇧 (2001) - Visma Lease a Bike
Il britannico della Visma Lease a Bike sembrerebbe aver finalmente, dopo stagioni complicate coincise con l’addio all’Alpecin, trovato la retta via e per caratteristiche - guida, esplosività, resistenza - è corridore perfetto in un percorso come la Strade Bianche. Fratellino di Pidcock se ce n’è uno (in realtà ce ne sono due, vedremo a breve).
Filippo Zana 🇮🇹 (1999) - Team Jayco AlUla
Insieme a Scaroni è la carta migliore che abbiamo in casa Italia seppure da segnalare le presenze di Formolo - che qui è sempre andato forte, ma non sembra stare benissimo in questo avvio di stagione - Bettiol, Busatto e De Pretto. Adatto a percorsi mossi e a terreni come quelli della Strade Bianche, Zana ha dichiarato di voler migliorare il 9° posto dello scorso anno. Interessante accadesse perché sarebbe un altra conferma della sua crescita come corridore.
Clément Berthet 🇫🇷 (1997) - Decathlon AG2R
Ci sono più francesi da seguire, ormai è una costante, forse il nome più lontano dai radar è quello di Clement Berthet. Ex biker, tiene bene in salita, corre in una delle squadre più forti del gruppo, può ambire a una top ten facendo gara regolare. Certo, in casa Decathlon si parte in tanti con simili ambizioni: Prodhomme, Tronchon e Labrosse sono tutti nomi che possono chiudere nelle prime 20 posizioni, magari qualcuno di loro anche qualcosa meglio.
Joe Blackmore 🇬🇧 (2003) - IPT
Altro fratellino di Pidcock è Joe Blackmore. Anche lui con un passato nel fuoristrada e per caratteristiche, esplosivo, tiene bene in salite più o meno lunghe, sarà un corridore da tenere d’occhio. È all’esordio assoluto sugli sterrati delle Strade Bianche, ma questo non dovrebbe frenare le sue ambizioni che sono alte e può anche puntare a essere una delle sorprese di giornata.
Alan Hatherly 🇿🇦 (1996) -Team Jayco AlUla
Sarà tutta una scoperta per lui e per la squadra. Nelle sue prime sparate stagionali su strada - AlUla Tour - ha già chiuso davanti a tanti bei corridori. Vero, domani verso Piazza del Campo si troverà a dover gestire un contesto completamente differente e probabilmente sarà chiamato a dare una mano alla squadra, però, se nel caos degli sterrati dovessimo vederlo uscire nelle prime venti, venticinque posizioni non saremmo stupiti. Il dubbio, piuttosto, è sulla distanza, anche se i suoi giurano che diventerà forte anche lì.
Carlos Canal 🇪🇸 (2001) - Movistar
Uno che potrebbe diventare specialista di questa corsa: Carlos Canal, anche se bisogna ammettere come il galiziano forse avrebbe preferito la vecchia versione di Strade Bianche, quella più vicina ai puncheur che agli scalatori. Anche lui, però, con background da crossista e buone doti di fondo, ne può recuperare tanti strada facendo e provare a raggiungere un’ambiziosa top ten
Kévin Vauquelin 🇫🇷 (2001) - Arkéa B&B Hotels
Occhio a Vauquelin che lo scorso anno chiuse a ridosso dei primi 20 all’esordio in questa corsa e che è l’esempio più fulgido a livello mondiale di corridore che migliora di corsa in corsa. A suo agio su certi percorsi, potrebbe pure anticipare e poi tentare di resistere in ottica piazzamento nei primi 10. Alla sua portata.
Louis Barrè 🇫🇷 (2000) - Intermarché Wanty
Tra i corridori più continui di questo inizio di stagione c'è Louis Barrè, corridore completo, capace di andare forte su percorsi vallonati o sulle pietre, di tenere discretamente bene su salite brevi e dotato anche di un discreto spunto. Forse, come tutti quei corridori buoni ovunque, ma forti veramente da nessuna parte, rischia di vincere poco in carriera, ma ciò che importa è che domani alla Strade Bianche possa continuare a mantenere il filotto di risultati in stagione dove non è mai andato peggio che 17°. Da valutare la tenuta: in corse molto lunghe finora non ha mai ottenuto grandi risultati.
Albert Withen Philipsen 🇩🇰 (2006) - Lidl Trek
Menzione d’onore per il più giovane al via che non domani, certo, ma in futuro, sì, potrà tornare su queste strade per vincere. Il danese farà esperienza, aiuterà la squadra e qualsiasi risultato verrà sarà positivo. Tanto il futuro è suo.
Tobias Halland Johannessen 🇳🇴 (1999) - Uno X Mobility
La Uno X è squadra che passa sotto traccia nei pronostici, ma riesce spesso a sorprendere con piazzamenti o persino vittorie anche in corse che contano: l’ultimo esempio è Wærenskjold alla Omloop Niewsublad di settimana scorsa. Potrà essere la giornata di Tobias Halland Johannessen? Chissà. Il più forte dei due gemelli norvegesi sarebbe tagliato perfettamente per un percorso di questo genere avendo anche lui un passato nel ciclocross ed essendo amante di percorsi impegnativi come quello che si presenterà ai corridori nelle prossime ore. Ce lo aspettiamo in fuga mentre magari Cort Nielsen, apparso in grande condizione in questo inizio di stagione, potrà nascondersi nelle pieghe e provare a fare risultato pescando avversari a strascico. Uno dei due nordici in top ten potrebbero essere una scommessa interessante.
Gocycling, Città di Castello
6 Marzo 2025Newsletteralvento points
Federico Rossi è nato e cresciuto a Città di Castello, poi, le circostanze della vita l'hanno portato a Milano e lì, nella grande metropoli, ha conosciuto Anna, così una parte della sua quotidianità, negli ultimi quindici anni, ha fatto radici nel capoluogo lombardo. La città, qualunque città, prende, dona, talvolta toglie: da un lato le opportunità dell'agglomerato urbano, dall'altro le mancanze ed è ciò che manca ad essere seme per quel che verrà. A mancare è la natura, l'outdoor, in cui sperimentare quelle biciclette che, anche a Milano, per Federico sono pane, per mestiere e per passione. Ad un certo punto la domanda che si fa strada: «Siamo sicuri che davvero non ci sia altro? Siamo veramente certi di non desiderare qualcosa in più per la nostra esistenza?». Un'esistenza simile pare quasi mutilata e la risposta arriva presto, con all'interno la consapevolezza che altro c'è, deve esserci per forza. Allora torna in mente l'Umbria selvaggia, in cui la natura cresce ed esplode, talvolta divora i sentieri, li ridisegna. Un luogo dove, a otto chilometri dal centro, già ci si perde, tra alberi, rovi, animali selvatici, pastori maremmani: si chiama Città di Castello ed è l'origine.
Federico e Anna ripartono verso una nuova casa, forse due: quella in cui abitare e quella da cui diffondere biciclette e racconti di bici. La seconda sarà in Via Mario Angeloni 7, in pieno centro storico, ed è di questa che vogliamo parlare: in un palazzo storico, dai muri bianchi, dalle volte a crociera, con grandi stanze piene di luce, quasi la portassero dentro, e muri spessi, in cui scavare e riporre libri, quasi fossero piccole cripte riservate alla conoscenza. Al centro della stanza un tavolo da falegname enorme, qua e là vecchie bici appese, quelle del padre di Federico, il primo telaio mtb Bianchi, prodotto negli Stati Uniti d'America, quello di alluminio incollato, una piccola opera d'arte, e ancora numeri delle granfondo e chicche di storia, in un ambiente minimale per scelta. Il locale l'ha scelto Anna, si chiama GoCycling e nasce nel centro storico di Città di Castello, non per un caso, ma per una precisa filosofia, con forti elementi etici, di non facile comprensione immediata.
«Non è una scelta comune, soprattutto in un mondo autocentrico, anche perché la stradina che conduce qui è stretta, in pietra serena, difficile da percorrere con la macchina, caratteristica delle città rinascimentali. Il venditore ci ha subito scrutato stranito, noi abbiamo proseguito- raccontano i due- e ne siamo orgogliosi, altrimenti nei centri storici cosa resta? Solamente bar e tavolini per gli aperitivi serali?». Il territorio che circonda GoCycling è pieno di bellezza, di storia e cultura: San Francesco, Raffaello, Piero della Francesca, musei e chiese di valore inestimabile. La nuova realtà, che ha aperto le porte ai visitatori lo scorso 20 settembre, cerca di restare in sintonia con questo sottofondo: lo spazio commerciale e di "rent a bike" si sovrapporrà con qualcosa che somiglia più a un centro culturale per tutto quel che è outdoor, ovvero piacere e scoperta della natura, delle attività nuove, di nuove idee e nuove invenzioni. La metafora di Federico è esemplificativa: succede come se la provincia, dopo tanto tempo, decidesse di spalancare le proprie porte e di aprirsi all'altro. «Forse è una caratteristica insita in certe zone quella di restare un poco chiusi all'altro, al resto, come se l'altro non interessasse o non fosse importante. La verità è l'esatto contrario: abbiamo bisogno come l'aria di condividere, di chiamare qui persone e bici, sogni, avventure».
Perché, proseguono Anna e Federico, se vi è una sicurezza, un punto fermo, quando si inventa un progetto simile, questo non è certamente in un riscontro economico, necessario, ma sempre sottoposto ai tempi e alle circostanze, bensì da piccoli piaceri quotidiani che un mestiere simile è ancora in grado di consegnare: «Il sollievo del sorriso di chi acquista la prima bicicletta, ad esempio, cancella tante cose che non vanno: più è la prima volta, più il brivido è forte. Si costruisce così una sorta di bagaglio culturale nel rapporto con il cliente: prima di parlare di bicicletta, si parla di dove si vuole andare, di quanto si vuole pedalare per arrivare in quei posti e di come si immagina il percorso. L'anima delle persone e delle cose, per noi, non è solo importante, è fondamentale. La sfera tecnica viene dopo, nonostante anch'io abbia sempre montato e smontato biciclette per capirle meglio. Amo alla follia qualunque bicicletta, per questo proietto questo mezzo in una sfera umana: quella del dialogo continuo, anche con i turisti, del racconto continuo anche delle proprie esperienze».
L'analisi di Federico Rossi è lucida: se il settore bici, a tratti, sembra implodere è perché per lungo tempo si è considerata la bicicletta in maniera troppo fredda, distaccata, come si considererebbe una lavatrice. Allora la bicicletta è divenuta un oggetto asettico, lontano e, quando questo accade, prevale una forma di "machismo" che si concentra solo su numeri e cifre, soprattutto in un tempo in cui è avvenuto un grosso cambiamento e le informazioni tecniche arrivano a getto continuo da qualunque fonte, rispetto ad ogni bene materiale: si tratta di informazioni commerciali, massificate e ultra dettagliate. «Talvolta i clienti possiedono anche informazioni che tu stesso non conosci, ma il gesto della pedalata va oltre quel tecnicismo. Io dico sempre: "Prima fai un giro su quella sella, poi mi racconti se ti è piaciuto, se ti sei divertito". Se ne parla e si interpreta il dato che, altrimenti, non vuol dire nulla: una bicicletta deve comunicare qualcosa. Colui che si interfaccia con il cliente ha il compito di leggere le emozioni del cliente e proiettarle su un mezzo piuttosto che un altro. Questo non potrà mai accadere in un centro commerciale, con turni lunghi, talvolta sottopagati, la domenica pomeriggio: non potrà mai accadere perché quel tipo di logica non lo permette, nonostante la buona volontà del lavoratore».
L'Umbria è una regione che sta crescendo e sta cambiando: il turismo è in aumento, ma anche la scelta di vivere in questa terra viene presa da sempre più persone. La bellissima Toscana, raccontano Federico ed Anna, è sempre colma di persone, qui il processo è differente, tuttavia è in corso. Si esce dal garage di casa e, nel raggio di qualche chilometro, ci si ritrova nel selvaggio, dove è necessario anche fare attenzione ai cinghiali, tra sentieri carrabili, mezzadri, luoghi disabitati che il ciclista medio tifernate, ovvero originario di Città di Castello, conosce. Tuttavia il suo giro classico è di un paio d'ore, con ritorno a casa verso le undici: «Pensiamo sia un peccato e, anche qui, portiamo un dato. Nella zona di Milano, seimila chilometri in mtb corrispondo a 17000 chilometri in auto per giungere in luoghi in cui è possibile pedalare: magari a Biella o in Lomellina. A queste condizioni, si capisce bene quanto sia difficile scegliere la bicicletta, anche il gravel, attraversando le campagne, che, visto il problema sicurezza che vivono le nostre strade, è, senza dubbio, maggiormente indicato, da questo punto di vista. In Umbria la storia è differente. Allora la domanda è: perché non ampliamo quelle due ore di pedalata? Anche qui si tratta di uscire, di aprirsi al resto, all'altro. Vorremmo smuovere le acque, proponendo una giornata e mezza di viaggio, un bikepacking con una notte fuori, magari al sabato ed alla domenica».
Il papà, adesso, è un signore novantenne e Federico si sente fortunato all'idea di averlo vicino, anche in GoCycling, perché è bello e perché è un valore aggiunto, come il tempo che si dedica ad un genitore e come il tempo che un genitore dedica ad un figlio. È felice vedendo le sue biciclette appese al muro, quelle biciclette viste, amate e poi acquistate. Anche gli amici del liceo e dell'università hanno ritrovato Federico e per loro è stato come incontrare l'uomo di città che, per amore, torna in provincia, dopo tanti anni. «Molte volte si ha il timore di iniziare qualcosa di nuovo soprattutto per quel che potrebbe dire la gente se non funzionasse. Abbiamo il timore di essere considerati un poco "sfigati". No, non si è sfigati: se si fa qualcosa con il massimo degli intenti, con passione, senza fare i furbi, senza fare scorrettezze, non si è sfigati nemmeno se non va. Certo, così facendo ci sono notti insonni con le bollette da pagare e tanti pensieri, ma pazienza, va bene così. Me lo ripeto spesso». Nel frattempo la bicicletta per Federico ed Anna continua ad essere avventura, a coincidere con la domanda "chissà com'è quel sentiero?" e con la voglia di andarci. La bicicletta è la meraviglia di quando si vede una bici caricata su un aereo per volare da un'altra parte ad esplorare strade, è risata quando, nel 1999, non si sapeva esattamente cosa fosse un "single track", lo si chiedeva a chiunque ed in molti non avevano risposta eppure tutti non vedevano l'ora di pedalarlo. La fitta rete stradale umbra pone varie alternative, così i ciclisti possono sentirsi maggiormente sicuri, non trascurando mai l'alternativa del gravel, che abbina sicurezza e natura. La raccomandazione è sempre la solita: rendersi visibili ed indossare il casco, anche nei pacchetti turistici che Federico, Anna e GoCycling propongono e dove la responsabilità di garantire la sicurezza di ciascuno è prioritaria. L'auspicio, invece, è che sempre più persone possano conoscere meglio il codice della strada, perché spesso è proprio la cultura di base a difettare.
I piedi, per Federico, devono essere sempre ben saldi a terra, mentre lo sguardo deve avere il più ampio orizzonte immaginabile per sperimentare, creare, inventare. GoCycling è sempre lì e cerca di essere presente nel modo migliore possibile, ovvero con quell'apertura di cui tanto Federico Rossi ci ha parlato. Aperti per un caffè, una chiacchierata, per l'inaugurazione e un prosecco, per consigli e scambi di idee. Probabilmente è per questo motivo che molte persone si sentono proprio partecipi del negozio e quando ne parlano usano il noi: «Dobbiamo fare...». In realtà, a metterci mano saranno sempre Federico ed Anna ma questa voglia di far parte di una realtà è così bella che nessuno osa mai dire nulla e quel "noi" sperano tutti di sentirlo spesso, più spesso ancora.
Michał Kwiatkowski: essere un campione
Erano passati 584 giorni dall’ultima vittoria di Kwiatkowski. Lunedì 17 febbraio, il campione polacco della Ineos ha alzato di nuovo le braccia al cielo al termine della Clásica Jaén Paraiso Interior. Per un corridore con il suo palmares, la Clásica Jaén è una corsa di secondo ordine: si tratta infatti di una gara di livello 1.1 e con una storia molto recente, essendo nata solo quattro anni fa. In Spagna la considerano una sorella minore della Strade Bianche, per il percorso ricco di settori in sterrato e l’arrivo in salita a Ubeda, città Patrimonio Unesco per la sua architettura di chiara ispirazione rinascimentale.
La gara fa parte del circuito Europe Tour, ma non mancavano alcuni tra i corridori più forti del gruppo. Presenti, tra gli altri, Wout Van Aert, Ben Tulett, Isaac Del Toro, Tim Wellens, Brandon McNulty, Egan Bernal e Ben Turner. Il percorso, mosso e caratterizzato da tanti settori di sterrato. Dieci, per la precisione, per un totale di oltre trenta chilometri di strade bianche concentrati nel finale.
Tra i big gli attacchi cominciano presto, in un gruppo composto da poche decine di elementi. Un ruolo da protagonista lo interpreta Egan Bernal, in grande forma e con addosso la maglia di campione della Colombia. Bernal è marcato a uomo e a 65 km dall’arrivo, in un momento in cui tutti si guardano, è Kwiatkowski a partire. Un corridore così esperto non si muove mai a caso, e l’attacco ha un doppio scopo: da una parte può provare a giocarsi la vittoria, dall’altra esclude i tanti compagni della Ineos presenti nel gruppo principale dall’onere di collaborare.
L’unico a saltargli sulla ruota è Brandon McNulty, e i due si danno cambi regolari fino a riportarsi sulla fuga di giornata. Nel gruppo principale non c’è accordo: in molti provano ad attaccare, ma nessuno riuscirà a rientrare sul polacco col dorsale numero 11. Che al traguardo ci arriva da solo, perché lungo i settori di sterrato si staccano uno a uno tutti i compagni di fuga, alcuni per forature, altri perché, semplicemente, non ce la fanno a tenere il ritmo inesorabile.
La vittoria in terra andalusa è un successo minore per uno che ha vinto un Mondiale, una Sanremo, due Amstel Gold Race e altrettante Strade Bianche, ma per noi, parafrasando Willie Peyote, è “solo un’ottima scusa per uscire a bere e parlare di Kwiatkowski”.
Il polacco si afferma già da giovanissimo. Da juniores vince due volte il titolo di campione europeo e due Course de la Paix, e diventa professionista a 20 anni con la Caja Rural. Nel 2010 era difficile che un atleta passasse tra i professionisti così giovane, ma Kwiatkowski andava troppo forte per completare il classico cursus honorum tra gli under 23. La prima vittoria tra i professionisti arriva due anni dopo, nel prologo della Dwars door West-Vlaanderen.
Il polacco, originario di Chełmża, è sempre stato un corridore atipico e completo, in grado di dare il meglio in ogni tipo di percorso. A inizio carriera andava bene sia in salita che nelle classiche del nord, dove raccoglieva ottimi piazzamenti. Il quarto posto in classifica generale alla Tirreno-Adriatico del 2013 faceva pensare che Kwiato sarebbe diventato un ciclista da classifiche generali.
Ma alla fine non si è voluto snaturare, e ha preferito continuare a essere un corridore totale, dotato anche di un buono spunto. Questa scelta è stata decisiva per la sua carriera: quanti corridori abbiamo visto impegnare tempo ed energie per finire a raccogliere qualche top 10 nei Grandi Giri? Quante volte ci siamo detti che avrebbero fatto meglio a concentrarsi sui successi di tappa e sulle vittorie nelle gare di un giorno? Il 2014 è l’anno migliore della sua carriera. Vince la Strade Bianche, raccoglie ottimi piazzamenti nelle Classiche delle Ardenne ed è tra i migliori al mondo nelle brevi corse a tappe. Completa l’anno in bellezza conquistando i Mondiali in linea di Ponferrada. Quel giorno Kwiatkowski, aiutato dai compagni della Polonia, compie un’impresa, e diventa il primo (e finora unico) corridore del suo paese a indossare la maglia iridata. A Ponferrada non mancano avversari temibili come Valverde, Gilbert, Van Avermaet o Peter Sagan. Però Kwiato sente che la gamba è quella giusta, e cerca di sorprendere i rivali attaccando in discesa, a sette chilometri dall’arrivo. Si riporta subito sui fuggitivi, di cui fa parte anche Alessandro De Marchi.
Quel giorno risalta il suo grande acume tattico. Rimane sulla scia dei suoi nuovi - e temporanei - compagni di fuga per circa un chilometro. Riprende fiato, mentre dietro il gruppo si avvicina pericolosamente. A sei chilometri dall’arrivo, con la strada in salita, piazza un altro attacco e rimane da solo. Dietro si forma un gruppetto con i favoriti che collaborano, ma non riescono a riprenderlo. Al traguardo può alzare entrambe le braccia al cielo, e poi toccarsi la testa, forse per realizzare quello che ha appena fatto, forse per chiedersi se quella che sta vivendo sia la realtà.
Nei giorni importanti, quando poteva giocarsi le carte da capitano, Kwiato ha vinto spesso, e ha sempre corso da protagonista senza tirarsi indietro. Soprattutto nelle gare che hanno il percorso più adatto a lui, e cioè le Strade Bianche, coi suoi settori di sterrato e i continui saliscendi, e l’Amstel Gold Race. Alla Liegi e alla Freccia Vallone ha chiuso sul podio senza vincere mai, forse perché gli è un po’ mancata l'esplosività per essere tra i migliori anche sulle pendenze più aspre.
Lo spunto è sempre stato ottimo, soprattutto quando era più giovane. La sua capacità di far la differenza negli sprint a ranghi ridotti gli ha permesso di vincere la Milano-Sanremo nel 2017. In quell’occasione Kwiato non era certamente favorito, perché si trovava in un gruppetto a tre con Peter Sagan e Julian Alaphilippe, sulla carta molto più veloci. Il polacco della Sky lascia a Sagan l’ingrato compito di condurre lo sprint. Lascia un po’ di spazio tra la sua ruota e quella dell’avversario. Sembra un dettaglio da nulla, ma è proprio grazie a questo accorgimento che può sfruttare al massimo la scia del rivale, per poi uscire al vento negli ultimi 75 metri e trionfare grazie al colpo di reni. Un altro piccolo aspetto che ci mostra la sua completezza: oltre alla resistenza (l’endurance), alla bravura nei percorsi mossi e nelle classiche del nord, Kwiato ha nel suo “bagaglio ciclistico” anche un colpo di reni da sprinter di primo livello.
Abbiamo parlato della vita da capitano di Kwiatkowski, ma accanto a questa ha condotto anche una vita da supergregario. Con l’arrivo nel Team Sky/Ineos, ha quasi sempre partecipato al Tour con il compito di aiutare il proprio capitano. Non si è mai tirato indietro quando è stato chiamato a svolgere questo ruolo: ha preso il vento per chilometri e chilometri in testa al gruppo, quando serviva andava nelle retrovie per portare borracce e gel ai compagni. Dietro i successi di Froome, Thomas e Bernal c’è anche il suo prezioso aiuto.
E quando il leader di turno non poteva più competere per la generale, Kwiato era capace di non far rimpiangere troppo la sua assenza, portando a casa un ambito successo di tappa. Come nel 2020, a La Roche-sur-Foron, dove ha vinto al fotofinish arrivando a braccetto con il suo compagno di squadra Carapaz. O come nel 2023, quando si inserisce nella fuga di giornata per aiutare i propri compagni, e finisce per trionfare sul Grand Colombier, salita hors categorie.
Quanti ciclisti nel gruppo hanno nel palmares un Mondiale, hanno battuto Sagan allo sprint alla Sanremo, hanno vinto Strade Bianche, Amstel e sul Massiccio del Giura, e hanno aiutato i propri capitani a vincere tre Tour? Credo che l’elenco includa un solo nome, quello di un campione, quello di Michał Kwiatkowski.
Dispacci dal World Tour #6
3 Marzo 2025Corse,Approfondimenti
Tanto tuonò che alla fine non piovve, ma nemmeno una goccia, sia in senso figurato che letterale. Fine settimana asciutto, seppure fresco, in Belgio e che lascia un sapore amarognolo in bocca, senza nulla togliere ai due vincitori di Omloop Nieuwsblad e Kuurne Brussel Kuurne, due signori vincitori: Søren Wærenskjold e Jasper Philipsen. Fine settimana un po’ sotto tono, non era quello che ci aspettavamo, ma spunti ce ne sono stati ugualmente.
Emerge Søren Wærenskjold in tutta la sua forza e (pre)potenza. Quando la sua squadra, la Uno X, alla Omloop, aveva iniziato a prendere in mano la situazione, cosa che fa spesso al Nord, avevamo sentito suonare nella testa il solito ritornello: “belli da vedere nella loro casacca giallorossa, ma ancora non pronti a competere per il successo e a volte fuori tempo. Poi, vuoi mettere con tutti quei nomi che ci sono davanti?”. E invece Søren Wærenskjold, classe 2000 norvegese con un passato importante in tutte le categorie giovanili, dove ha sempre lasciato il segno e un presente che fa il velocista adatto pure alle prove contro il tempo, vince. 14° successo in carriera tra i professionisti, mica male. Primo successo in una corsa in linea del WT. Per fare un confronto con altri talenti, più o meno coetanei, gente come Milan, Ayuso, Skjelmose corse di un giorno nel World Tour non ne ha mai vinte. Girmay, De Lie e Kooij sono a quota una, esattamente come il norvegese.
Cosa sta succedendo a Wout van Aert (e in generale alla Visma)?, squadra apparsa lontana parente di quella che negli ultimi anni ha spesso dominato al Nord, quando van der Poel e Pogačar lo hanno permesso? Succede che è tutta conseguenza di ciò che pare essere in questo momento il proprio leader, che ha poche gambe e poca testa. Wout van Aert ha passato la giornata tra Gent e Ninove a inseguire, a fare buchi, spesso sorpreso in coda al gruppo nelle (poche, per la verità) azioni che i migliori portavano avanti nel tentativo di sgranare o mandare via la fuga giusta. Matteo Jorgenson, al suo esordio stagionale, non è mai parso ispiratissimo, Tiesj Benoot si è incaricato del lavoro sporco, Per Strand Hagenes e Matthew Brennan sono giovani e arriveranno, ma non è questo il loro momento. Qualcuno potrà vedere il bicchiere mezzo pieno ribaltando la chiave di lettura: spesso gli anni scorsi si sono presentati in forma e dominanti all’inizio della Campagna del Nord salvo poi calare alla distanza - anche per via di cadute, malanni, eccetera. Il problema è che in questo week end mancavano Pogačar e van der Poel e queste sono le occasioni in cui non solo raccogliere - d'altra parte vince solo uno - ma anche mostrare qualcosa di buono. Quello che invece ha mostrato la Visma sono i segni di una squadra in difficoltà.
Non che Red Bull, UAE e Lidl abbiano fatto vedere chissà cosa, sia chiaro, ma siamo solo all'inizio. L’UAE Team Emirates pensava di fare la selezione, ha portato una squadra per giocarsela facendo la corsa dura, ma così non è stato: Tim Wellens c’ha messo più cuore che gambe, Jhonatan Narvaez non ha lo smalto di gennaio, ma lo recupererà, Nils Politt si è visto poco e niente, Antonio Morgado sbaglia ancora del tutto i tempi. A questa UAE serve Pogačar anche al Nord, va detto, manco stessimo parlando del campione del mondo e più forte corridore degli ultimi anni.
Oltre al sorprendente successo di Wærenskjold, da sottolineare la bellezza delle prove da parte di uno slovacco e di un ceco, di Lukáš Kubiš e di Mathias Vacek. Il primo è un classe 2000 che se ne esce con un 6° e un 9° posto dal week end in terra belga. Erano le sue prime corse World Tour in carriera e le ha affrontate con la squadra cenerentola del gruppo, la Unibet Tietema Rockets, squadra che conferma ancora una volta la bontà del lavoro di scoperta e reclutamento. Kubiš, facilmente distinguibile per la maglia di campione slovacco, oltre a piazzarsi bene e con disinvoltura in volata è stato sempre tra i migliori sui muri ed era entrato anche nell’azione con (quasi) tutti i migliori che alla Omloop Nieuwsblad pareva potesse andare al traguardo. A proposito di migliore sui muri: Mathias Vacek. Il corridore ceco della Lidl Trek è sicuramente la nota più positiva di un week end che ha visto le grandi squadre del gruppo (UAE, Red Bull, Visma e Lidl Trek) prendere qualche ceffone inaspettato e raccogliere molto meno del previsto - il secondo posto di Kooij è il miglior risultato e arriva alla Kuurne, mentre alla Omloop il miglior piazzamento è di van Aert: 11°. Vacek, tuttavia, è il corridore che desta la migliore impressione sui muri. Vediamo fra qualche settimana fin dove potrà arrivare il classe 2002, quando, con il rientro in corsa di Pogačar, van der Poel e Pedersen e la crescita degli altri avversari, il livello si alzerà.
Jasper Philipsen è un altro che quei muri li affronta davanti e in modo brillante e, visto l’esito delle due corse (3° e 1°), non sembra nemmeno aver perso lo smalto in volata. Ha fatto la gamba all’UAE dove invece aveva subito cocenti sconfitte da Merlier e Milan, prendendosi la rivincita nel momento migliore. A inizio stagione aveva detto come questa sarebbe stata una stagione fondamentale per capire quanto fosse cresciuto nelle corse di un giorno in Belgio. Per il momento tutto ok.
Vorrei parlare dell’Italia, ma c’è veramente poco da dire: Milan è il migliore della due giorni (6° alla KBK), Trentin è il solito, sempre presente nelle azioni salienti, Albanese desta una buona impressione su pietre e strappetti. Il resto è notte fonda, ma è un buio a cui, salvo eccezioni, ci stiamo ormai abituando.
Foto: Sprint Cycling Agency
Dieci nomi da seguire alla Omloop Het Nieuwsblad e alla Kuurne Brussel Kuurne
28 Febbraio 2025Approfondimenti
Inizia come un lampo. Arriva quel momento della stagione tanto atteso e che potremmo sintetizzare in quattro semplici parole da brivido: le corse del Nord. Arriva, con odore di fritto e rumore di brusche frenate, il fine settimana di apertura, ormai tradizionale. Dal Belgio: Omloop Het Nieuwsblad, sabato 1 marzo, e Kuurne Brussel Kuurne, domenica 2 marzo. Lo chiamano: "The Opening Weekend", per dargli un tono.
Abbiamo scelto per voi dieci nomi da seguire, cinque per corsa, cercando però valide alternative a quelli che saranno i favoriti e anche a gli outsider più quotati. Non sono per forza corridori che vedremo alla fine lottare per la vittoria, ma sicuramente profili interessanti per le due tipologia di gara.
OHN - Matthew Brennan 🇬🇧 (2005) - Visma Lease a Bike
Esordio al Nord per il britannico classe 2005, il più giovane in assoluto al via. Farlo con una squadra faro di queste corse, la Visma, vincitrice delle ultime tre edizioni, significa che nei Paesi Bassi credono tantissimo nel van Aert del nord dell’Inghilterra. Farà esperienza, ma occhio a porre limiti a un corridore così veloce e resistente.
OHN - Laurenz Rex 🇧🇪 (1999) - Intermarché-Wanty
La sua squadra non è partita fortissimo a eccezione di Barrè ed è, insieme all’Alpecin, l’ultima WT rimasta ancora a secco di vittorie. Mancherà Bini Girmay, capitano designato alla vigilia su queste strade, al momento in breve vacanza per la nascita del figlio e allora la responsabilità peserà sulle spalle - grosse - di Laurenz Rex numero due della squadra belga al Nord. Veloce, nome fuori dai radar. Outsider di qualità soprattutto in caso di piazzamento da dietro in uno sprint ristretto.
OHN - Dries Van Gestel 🇧🇪 (1994) - Soudal-Quick Step
Corridore solido, quasi granitico, dal piazzamento assicurato, ma che prova il salto di qualità anche nei risultati dopo averlo fatto nella sua carriera passando in estate da Total a Soudal, da una Professional al World Tour. Veloce, adatto a queste corse anche per il modo che ha di correre sempre davanti nelle fase cruciali, Van Gestel è uno dei corridori dai quali prova a ripartire una squadra un tempo riferimento al Nord, ora alla ricerca di certezze smarrite.
OHN - Fred Wright 🇬🇧 (1999) - Bahrain-Victorious
Anche se Fred Wright predilige probabilmente corse di maggiore durata, il fatto di essere partito forte in stagione deve far drizzare le antenne ai suoi avversari che marcheranno perlopiù Mohoric ed è per questo che il britannico potrebbe approfittarne. Anche Wright come altri citati qui è dotato di spunto veloce e quindi potrà nascondersi - anche se a lui non dispiace anticipare - per poi spuntare quando conta per un buon piazzamento finale.
OHN - Rick Pluimers 🇳🇱 (2000) - Tudor Pro Cycling Team
Tra i nomi scelti per la OHN quello di Pluimers è forse il meno conosciuto, ma anche l’unico che ha già alzato le braccia al cielo in stagione. L’olandese della Tudor, cresciuto nella Jumbo, è corridore che può andare forte sia sulle pietre che nelle classiche vallonate, ma con una costante: è veloce e scaltro. La Tudor quest’anno punta molto (anche) su di lui per la classiche del Nord. mica male se l’investimento te lo dà Cancellara.
KBK- Milan Fretin 🇧🇪 (2001) - Cofidis
Lo attendevamo tra le rivelazioni allo sprint di questa stagione e l’inizio è stato confortante. Ora per Milan Fretin il compito è provare a mantenere ciò che di buono sta dimostrando anche nelle semi classiche del Belgio che paiono curcite su misura su di lui. Alla KBK trova avversari di grande spicco, ma è questo il modo che si ha per crescere.
KBK- Marijn van den Berg 🇳🇱 (1999) - EF Education-EasyPost
A fari spenti il corridore olandese punta alle gare dell’Opening Week end non disdegnando eventualmente una corsa anche selettiva. EF non è partita col botto, ma lui è sempre davanti quando c’è da sgomitare, può piazzarsi in volata e sa restare a galla anche con un gruppo ristretto. Occhio a lui da qui in avanti.
KBK - Taco van der Hoorn 🇳🇱 (1993) - Intermarché-Wanty
Poche certezze in una corsa difficile da interpretare come la KBK, una di queste è che la presenza di Taco van der Hoorn significa una sola cosa: lo vedremo all’attacco. Vista la capacità di rendere concreti all’arrivo, spesso e volentieri, i suoi tentativi, un consiglio ai chi pedala e vuole evitare lo sprint: nel caso, seguitelo.
KBK - Jakob Söderqvist 🇸🇪 (2003) - Lidl-Trek
Non è il più giovane al via, ma è di certo uno dei meno esperti. Non sarà il favorito, né il capitano della sua squadra - c’è Milan - ma è di certo uno dei più in forma. Il profilo di Jakob Söderqvist è uno dei più interessanti da seguire da domenica agli anni che arriveranno al Nord perché potrebbe riscrivere la storia del ciclismo svedese rinverdendo i fasti di un certo Magnus Bäckstedt.
KBK - Rasmus Søjberg Pedersen 🇩🇰 (2002) - Decathlon AG2R-La Mondiale
Altro uomo del Nord giovane, non giovanissimo, ma da seguire con estremo interesse. Rasmus Pedersen non ha la potenza in pianura di Söderqvist, non ha l’esperienza del più illustre omonimo Mads, ma è corridore che sembra fatto appositamente per questo tipo di corse. Veloce, si muove bene in gruppo, tiene sugli strappi brevi, ma ripidi, negli anni sta maturando una certa esperienza di corse all’ultimo sangue in Francia. Corre in una delle squadre più in forma del gruppo e avrà anche una certa libertà nel fare la sua corsa.
Silvia Persico: alla ricerca del tempo perduto
Silvia Persico è tornata da qualche giorno dagli Emirati Arabi Uniti, quando le telefoniamo. Dalla voce si intuisce serenità, giusto il cielo cupo dell'inverno italiano, dopo la bella stagione incontrata correndo l'UAE Tour la lascia perplessa, ma presto ripartirà al modo delle cicliste e dei ciclisti: «La certezza è che correrò in Belgio, a proposito di cieli grigi, poi la Strade Bianche, ma, sono sincera, ora non ricordo nemmeno il calendario preciso, però una cosa, rispetto all'anno scorso, mi ha colpita: dal nulla, mi capita di chiedermi quanto manchi al ritorno in corsa, anche adesso che non sono tornata a casa da molto tempo. Me lo chiedo e sento di aver voglia di correre, di gareggiare, di competere. Questo è il bello»..
Non c'è considerazione più importante di questa, almeno per la donna, prima che per l'atleta, perciò partire da qui semplifica tutto. L'inverno di Persico è stato un buon inverno ed il debutto a Maiorca l'ha ampiamente evidenziato, con un terzo ed un secondo posto al Trofeo Palma Femina ed al Trofeo Binissalem-Andratx. All'UAE Tour, dopo una prima giornata dedicata alle velociste, il secondo giorno, quello del vento e dei ventagli a spazzare il gruppo e di Elisa Longo Borghini e Wiebes davanti, a dominare le raffiche dal deserto, Silvia Persico non era riuscita ad entrare nel ventaglio di testa in quanto durante il trasferimento, brevissimo in quella tappa, era dietro l'ammiraglia e la partenza così veloce non le aveva dato il tempo di rientrare. Se il vantaggio del primo gruppo è arrivato a toccare oltre i tre minuti, però, è merito anche del lavoro di Silvia Persico che «a quel punto, con Elynor Backstedt, ci siamo inserite nei ventagli per rallentare il ritmo e per una buona parte di corsa ha funzionato». Al terzo giorno, quello di Jebel Hafeet, si è arrivati così. Anzi, con qualche passaggio che non tutti sanno e che noi apprendiamo durante la telefonata. Si parte da una sera: Silvia Persico ed Elisa Longo Borghini condividono la camera d'albergo.
«Nel 2014 avevo dichiarato in un'intervista che Elisa Longo Borghini era una sorta di idolo per me. Beh Elisa ha letto quel pezzo e, ti dirò di più, se n'è ricordata. Me lo ha proprio detto durante questa trasferta: "Ma ti ricordi cosa dicevi di me dieci anni fa?"». Sì, io me lo ricordo e ci ho pensato quando ho saputo che saremmo state compagne di camera». Proprio in quei giorni aveva provato la salita con Longo Borghini, da un paio di settimane sentiva di stare particolarmente bene e l'aveva detto alla campionessa italiana. Il tratto più duro dell'ascesa era fra i meno tre ed i meno due dal traguardo: lì era previsto l'attacco della capitana. Un piccolo inconveniente, in realtà, c'è: l'assenza di Karlijn Swinkels che avrebbe dovuto fare il ritmo per una parte di salita. «Le situazioni di gara sono così, bisogna adattarsi. Ho pensato solo ad impostare un'andatura che fosse il più regolare possibile in modo da stancare le rivali. Quando Elisa è partita, le avevo appena chiesto via radio cosa fare, se e quanto proseguire con la "menata". Ricordo che mi sono spostata ed ho tirato il respiro, ho rallentato. Un attimo, non più di dieci secondi».
Silvia Persico conosce bene la salita, sa che più avanti tornerà a spianare, non vuole fare allontanare molto il gruppetto con Kimberley Le Court, Monica Trinca Colonel, Barbara Malcotti e Antonia Niedermaier perché se riuscisse a "tornare sotto" potrebbe fare qualcosa di buono. Elisa Longo Borghini vince la tappa, conquista la maglia di leader e, di fatto, la classifica generale, negli stessi attimi dalla radio giungono delle grida: «Silvia, sei forte! Vai che la gamba c'è, puoi prenderti il secondo posto. A tutta!». Ora racconta che quello sprint per il secondo posto l'ha vinto anche per quelle urla dalla macchina e che in quegli istanti le è balenata l'idea del piazzamento in generale. Quello per cui il giorno successivo ha "battagliato" agli sprint intermedi con Le Court, da cui la separavano solo due secondi: l'ha difeso anche grazie alle compagne di squadra che, nel secondo intermedio, sprintando, hanno sottratto all'atleta di AG Insurance-Soudal Team gli abbuoni.
«È stata una liberazione: non solo la prestazione in salita. Siamo all'inizio della stagione, ma ho provato sensazioni che non sentivo da non so quanto su una salita, in gara. È stata una liberazione anche perché sono arrivata al traguardo ed ho visto tutti felici. È bello sapere che tutto è andato bene, che la squadra è contenta. In me c'è una sorta di leggerezza, fatta di cose semplici. Direi una bugia se dicessi che Elisa (Longo Borghini) mi ha dato un consiglio particolare o detto qualcosa in particolare e, forse, è proprio questa la differenza. Ho ritrovato benessere nelle cose semplici, di tutti i giorni, nello stare in squadra e nell'andare a correre. Del resto, sono una ciclista, cosa c'è di più importante?».
Dispacci dal World Tour #5
24 Febbraio 2025Corse,Approfondimenti
La settimana del World Tour riparte dall’UAE Tour e dall’UAE Team Emirates, in particolar modo dal numero uno al mondo, Tadej Pogačar, numero uno di fatto, di maglia e a fine corsa: vince due tappe su due con arrivo in salita e conquista la classifica finale. Non si limiterà a controllare o vincere, ma stravincerà. Dà spettacolo anche quando calca la mano, forse un po’ troppo: attacca in pianura in una tappa a cui lui non avrebbe dovuto chiedere nulla perché nulla avrebbe dovuto ricevere in cambio. Una tappa piatta in mezzo al niente. Però, si sa, è fatto così: «avevo fatto una scommessa con Florian Vermeersch, mio compagno di squadra - ha raccontato al termine della quinta giornata, su sette, di gara - qualora avessi vinto la tappa lui si sarebbe tatuato il suo soprannome».
C’è una scena particolare che resta sempre da quel giorno ed è il momento in cui il gruppetto in fuga (dentro oltre a Pogačar e al solito mix italo-centroamericano formato da corridori di Vf Group Bardiani e Solution Tech, ci sono anche van Eetvelt e Langellotti, uomini di classifica, e Novak compagno di squadra dello sloveno campione del mondo) incrocia da una carreggiata all’altra il gruppo inseguitore e Novak saluta con gesto di scherno. Hybris o goliardia fate voi, in gruppo rispondono sottintendendo, platealmente, “ci vediamo dopo!”. Chissà come sarà andata nel dietro le quinte di quello show. Fatto sta che una volta ripresi il finale sarà un caos tra cadute prima e durante la volata e persino dopo il traguardo, con Merlier, vincitore, che si ribalta, inscenando un virtuoso treesessanta non riuscito del tutto, nel tentativo di evitare un cameraman, rischiando di farsi molto male, seriamente male.
Altro momento della corsa lo regala Jonathan Milan che vince due volate in modi totalmente differenti. La prima nella tappa d’apertura con arrivo in leggera salita, partendo da lontano, sfruttando i rilanci altrui e offrendo una progressione e una resistenza che ha visto finora pochi eguali in sprint di gruppo. Una delle sue volate più belle… fino a due giorni dopo, quando, sulla linea del traguardo, batte Tim Merlier e Jasper Philipsen. Prove generali di Tour de France, dove i tre più forti sprinter al mondo si ritroveranno a giocarsi l’ambito appellativo. Al momento non ci vergogniamo a sbilanciarci e sostenere che, forse, il corridore friulano ha qualcosa in più degli altri, a partire dai margini dati dall'età. La volata è stata un compendio di meraviglie dello sprint: Simone Consonni pilota Milan partendo come una pallottola e permettendo al suo compagno, anche di nazionale su pista, di iniziare il suo sprint in testa. Milan parte alla pari con Welsford: l’italiano vincerà, l'australiano chiuderà 17°, questo a simboleggiare lo strapotere milaniano. Bert Van Lerberghe trascina fuori Merlier dal pantano della venticinquesima, trentesima posizione, lasciandolo a ruota di Milan nel momento più opportuno, Jasper Philipsen si muove col solo Robbe Ghys in aiuto e i tre riusciranno a regalarci uno sprint ricco di classe, velocità, esplosività, potenza, magnetismo. Vero che gli sprint fanno paura, ma con quei tre sanno essere anche un grande divertimento.
Poi, certo, non vogliamo peccare di partigianeria e va detto come Merlier pareggi i conti a fine corsa sul 2-2, vincendo tappa 5 e tappa 6, inventandosi un’azione d’anticipo strepitosa tutta da rivedere, partendo dalla quindicesima posizione e vincendo per distacco, azione da lasciare a bocca aperta e che finisce dritta dritta nell'immaginario libro dei migliori ricordi della stagione che tutti pensiamo di compilare e completare quando siamo ancora a febbraio.
Due parole per uno che più giovanissimo non è ma che sembra aver maturato la giusta intenzione: Giulio Ciccone è nella dimensione di chi si può giocare le grandi corse e qui lo ha dimostrato, mostrando persino miglioramenti a cronometro. Peccato sia nell'epoca dei fenomeni, ma quando ne avrà l'occasione (ovvero le assenze di quelli lì) dovrà coglierla, magari al Giro.
E applausi finali per due corridori ancora acerbi: Ivan Romeo che cresce, ne abbiamo già parlato e visto che è giovane lo diciamo come direbbe la sua generazione: gasa. Chiude quarto la classifica generale conquistando la maglia di miglior giovane. Joshua Tarling che vince la cronometro, settima vittoria tra i professionisti, seconda nel World Tour per un ragazzo che ha compiuto 21 anni dieci giorni fa esatti. Tarling ha tenuto per diversi giorni la maglia bianca e ha provato anche a resistere in salita. Occhio a lui nelle classiche del Nord perché è completo e ha il profilo giusto.