Non c’è molto di diverso tra quello che è accaduto a Camaiore stamattina e quello che è capitato a Sovicille questo pomeriggio. Una partenza e un arrivo, certo, ma, a parte questo, si parla sempre, come dicono da queste parti, a Sovicille per l’appunto, di “una corsa di biciclette”. Che poi, a ben vedere, a correre è l’uomo più che la bicicletta ma, nei vecchi paesi, si dice ancora così, come si aspetta la “partita di pallone”.
Non c’è molto di diverso ma in realtà è tutto diverso. A Sovicille ci sono le domande, fuori da un vecchio bar, col sole radente, e un piatto di crostini neri, fegato e milza. Qualcuno vuole che gli si spieghi bene perché un gregario fa tutta la fatica che fa, perché quei cinque corridori sono scattati stamattina senza alcuna possibilità, altri cercano di capire di che nazionalità è un corridore dalla lingua che parla. Accade anche a noi, mentre un giornalista francese cerca di spiegarci perché segue il ciclismo e, per dire che lo segue per ciò che gli permette di sentire, poggia una mano sullo “stomaco”. Ecco, a Sovicille a questa cosa non erano abituati.
Non sappiamo spiegare neanche noi lo scatto di Pogačar al traguardo volante, se non col fatto che sta bene, che, comunque, ha guadagnato un secondo, che punta a vincere questa Tirreno. Sappiamo spiegare il fatto che Cavendish si stacchi su una pendenza per nulla rilevante: se la gamba non c’è, non c’è. Tutte cose su cui riflettiamo noi e chi “le corse di bicicletta” le vive quotidianamente, per chi non è abituato tutto questo è estremamente naturale, mentre le spiegazioni si cercano per le cose che, col tempo, sembrano semplici, forse scontate, che poi, talvolta, non sono nemmeno così semplici. Per esempio quante borracce ha una squadra all’inizio di una gara come questa.
Anche per una volata accade così. Chi attraverserebbe campi e campi con semplici scarpe da ginnastica, anche graffiandosi, per una volata? Spettacolare quanto vuoi, ma certe cose, nel ciclismo, accadono sopratutto in salita. Come tante formiche per i campi, le persone. Ci dicono che qui vicino c’è un paese talmente sperduto da non essere conosciuto quasi da nessuno: Castiglion che Dio sol sa. Qualcuno sarà arrivato pure da lì.
E non solo per vedere Merlier vincere, per molto di più. Per fare attenzione a ogni movimento di un ciclista dopo l’arrivo: “Guarda quello che si è seduto sul muretto. E adesso cosa fanno? Ah lo coprono. Ma hanno la Coca Cola in mano, la bevono dopo il traguardo?”. E così via.
Mentre Merlier vince e Ganna resta in maglia azzurra. Mentre Merlier cerca dall’altra parte delle transenna la compagna e non gli interessa nulla del fatto che lo stanno aspettando alle interviste: certe cose vanno dette subito, altrimenti le perdi. Ed è un bene che sia successo, qui, a Sovicille, dove le persone, quando ti conoscono ti accompagnano a vedere un’incisione di un uomo che caccia un animale fantastico, sulla Chiesa di San Lorenzo. E tu resti lì, stupito, ad ascoltare.
Qui dove non sapere è anche meglio di sapere perché puoi stupirti e guardare ciò che non avresti mai visto. Fosse anche solo un tubolare.