Federico Rossi è nato e cresciuto a Città di Castello, poi, le circostanze della vita l’hanno portato a Milano e lì, nella grande metropoli, ha conosciuto Anna, così una parte della sua quotidianità, negli ultimi quindici anni, ha fatto radici nel capoluogo lombardo. La città, qualunque città, prende, dona, talvolta toglie: da un lato le opportunità dell’agglomerato urbano, dall’altro le mancanze ed è ciò che manca ad essere seme per quel che verrà. A mancare è la natura, l’outdoor, in cui sperimentare quelle biciclette che, anche a Milano, per Federico sono pane, per mestiere e per passione. Ad un certo punto la domanda che si fa strada: «Siamo sicuri che davvero non ci sia altro? Siamo veramente certi di non desiderare qualcosa in più per la nostra esistenza?». Un’esistenza simile pare quasi mutilata e la risposta arriva presto, con all’interno la consapevolezza che altro c’è, deve esserci per forza. Allora torna in mente l’Umbria selvaggia, in cui la natura cresce ed esplode, talvolta divora i sentieri, li ridisegna. Un luogo dove, a otto chilometri dal centro, già ci si perde, tra alberi, rovi, animali selvatici, pastori maremmani: si chiama Città di Castello ed è l’origine.
Federico e Anna ripartono verso una nuova casa, forse due: quella in cui abitare e quella da cui diffondere biciclette e racconti di bici. La seconda sarà in Via Mario Angeloni 7, in pieno centro storico, ed è di questa che vogliamo parlare: in un palazzo storico, dai muri bianchi, dalle volte a crociera, con grandi stanze piene di luce, quasi la portassero dentro, e muri spessi, in cui scavare e riporre libri, quasi fossero piccole cripte riservate alla conoscenza. Al centro della stanza un tavolo da falegname enorme, qua e là vecchie bici appese, quelle del padre di Federico, il primo telaio mtb Bianchi, prodotto negli Stati Uniti d’America, quello di alluminio incollato, una piccola opera d’arte, e ancora numeri delle granfondo e chicche di storia, in un ambiente minimale per scelta. Il locale l’ha scelto Anna, si chiama GoCycling e nasce nel centro storico di Città di Castello, non per un caso, ma per una precisa filosofia, con forti elementi etici, di non facile comprensione immediata.
«Non è una scelta comune, soprattutto in un mondo autocentrico, anche perché la stradina che conduce qui è stretta, in pietra serena, difficile da percorrere con la macchina, caratteristica delle città rinascimentali. Il venditore ci ha subito scrutato stranito, noi abbiamo proseguito- raccontano i due- e ne siamo orgogliosi, altrimenti nei centri storici cosa resta? Solamente bar e tavolini per gli aperitivi serali?». Il territorio che circonda GoCycling è pieno di bellezza, di storia e cultura: San Francesco, Raffaello, Piero della Francesca, musei e chiese di valore inestimabile. La nuova realtà, che ha aperto le porte ai visitatori lo scorso 20 settembre, cerca di restare in sintonia con questo sottofondo: lo spazio commerciale e di “rent a bike” si sovrapporrà con qualcosa che somiglia più a un centro culturale per tutto quel che è outdoor, ovvero piacere e scoperta della natura, delle attività nuove, di nuove idee e nuove invenzioni. La metafora di Federico è esemplificativa: succede come se la provincia, dopo tanto tempo, decidesse di spalancare le proprie porte e di aprirsi all’altro. «Forse è una caratteristica insita in certe zone quella di restare un poco chiusi all’altro, al resto, come se l’altro non interessasse o non fosse importante. La verità è l’esatto contrario: abbiamo bisogno come l’aria di condividere, di chiamare qui persone e bici, sogni, avventure».
Perché, proseguono Anna e Federico, se vi è una sicurezza, un punto fermo, quando si inventa un progetto simile, questo non è certamente in un riscontro economico, necessario, ma sempre sottoposto ai tempi e alle circostanze, bensì da piccoli piaceri quotidiani che un mestiere simile è ancora in grado di consegnare: «Il sollievo del sorriso di chi acquista la prima bicicletta, ad esempio, cancella tante cose che non vanno: più è la prima volta, più il brivido è forte. Si costruisce così una sorta di bagaglio culturale nel rapporto con il cliente: prima di parlare di bicicletta, si parla di dove si vuole andare, di quanto si vuole pedalare per arrivare in quei posti e di come si immagina il percorso. L’anima delle persone e delle cose, per noi, non è solo importante, è fondamentale. La sfera tecnica viene dopo, nonostante anch’io abbia sempre montato e smontato biciclette per capirle meglio. Amo alla follia qualunque bicicletta, per questo proietto questo mezzo in una sfera umana: quella del dialogo continuo, anche con i turisti, del racconto continuo anche delle proprie esperienze».
L’analisi di Federico Rossi è lucida: se il settore bici, a tratti, sembra implodere è perché per lungo tempo si è considerata la bicicletta in maniera troppo fredda, distaccata, come si considererebbe una lavatrice. Allora la bicicletta è divenuta un oggetto asettico, lontano e, quando questo accade, prevale una forma di “machismo” che si concentra solo su numeri e cifre, soprattutto in un tempo in cui è avvenuto un grosso cambiamento e le informazioni tecniche arrivano a getto continuo da qualunque fonte, rispetto ad ogni bene materiale: si tratta di informazioni commerciali, massificate e ultra dettagliate. «Talvolta i clienti possiedono anche informazioni che tu stesso non conosci, ma il gesto della pedalata va oltre quel tecnicismo. Io dico sempre: “Prima fai un giro su quella sella, poi mi racconti se ti è piaciuto, se ti sei divertito”. Se ne parla e si interpreta il dato che, altrimenti, non vuol dire nulla: una bicicletta deve comunicare qualcosa. Colui che si interfaccia con il cliente ha il compito di leggere le emozioni del cliente e proiettarle su un mezzo piuttosto che un altro. Questo non potrà mai accadere in un centro commerciale, con turni lunghi, talvolta sottopagati, la domenica pomeriggio: non potrà mai accadere perché quel tipo di logica non lo permette, nonostante la buona volontà del lavoratore».
L’Umbria è una regione che sta crescendo e sta cambiando: il turismo è in aumento, ma anche la scelta di vivere in questa terra viene presa da sempre più persone. La bellissima Toscana, raccontano Federico ed Anna, è sempre colma di persone, qui il processo è differente, tuttavia è in corso. Si esce dal garage di casa e, nel raggio di qualche chilometro, ci si ritrova nel selvaggio, dove è necessario anche fare attenzione ai cinghiali, tra sentieri carrabili, mezzadri, luoghi disabitati che il ciclista medio tifernate, ovvero originario di Città di Castello, conosce. Tuttavia il suo giro classico è di un paio d’ore, con ritorno a casa verso le undici: «Pensiamo sia un peccato e, anche qui, portiamo un dato. Nella zona di Milano, seimila chilometri in mtb corrispondo a 17000 chilometri in auto per giungere in luoghi in cui è possibile pedalare: magari a Biella o in Lomellina. A queste condizioni, si capisce bene quanto sia difficile scegliere la bicicletta, anche il gravel, attraversando le campagne, che, visto il problema sicurezza che vivono le nostre strade, è, senza dubbio, maggiormente indicato, da questo punto di vista. In Umbria la storia è differente. Allora la domanda è: perché non ampliamo quelle due ore di pedalata? Anche qui si tratta di uscire, di aprirsi al resto, all’altro. Vorremmo smuovere le acque, proponendo una giornata e mezza di viaggio, un bikepacking con una notte fuori, magari al sabato ed alla domenica».
Il papà, adesso, è un signore novantenne e Federico si sente fortunato all’idea di averlo vicino, anche in GoCycling, perché è bello e perché è un valore aggiunto, come il tempo che si dedica ad un genitore e come il tempo che un genitore dedica ad un figlio. È felice vedendo le sue biciclette appese al muro, quelle biciclette viste, amate e poi acquistate. Anche gli amici del liceo e dell’università hanno ritrovato Federico e per loro è stato come incontrare l’uomo di città che, per amore, torna in provincia, dopo tanti anni. «Molte volte si ha il timore di iniziare qualcosa di nuovo soprattutto per quel che potrebbe dire la gente se non funzionasse. Abbiamo il timore di essere considerati un poco “sfigati”. No, non si è sfigati: se si fa qualcosa con il massimo degli intenti, con passione, senza fare i furbi, senza fare scorrettezze, non si è sfigati nemmeno se non va. Certo, così facendo ci sono notti insonni con le bollette da pagare e tanti pensieri, ma pazienza, va bene così. Me lo ripeto spesso». Nel frattempo la bicicletta per Federico ed Anna continua ad essere avventura, a coincidere con la domanda “chissà com’è quel sentiero?” e con la voglia di andarci. La bicicletta è la meraviglia di quando si vede una bici caricata su un aereo per volare da un’altra parte ad esplorare strade, è risata quando, nel 1999, non si sapeva esattamente cosa fosse un “single track”, lo si chiedeva a chiunque ed in molti non avevano risposta eppure tutti non vedevano l’ora di pedalarlo. La fitta rete stradale umbra pone varie alternative, così i ciclisti possono sentirsi maggiormente sicuri, non trascurando mai l’alternativa del gravel, che abbina sicurezza e natura. La raccomandazione è sempre la solita: rendersi visibili ed indossare il casco, anche nei pacchetti turistici che Federico, Anna e GoCycling propongono e dove la responsabilità di garantire la sicurezza di ciascuno è prioritaria. L’auspicio, invece, è che sempre più persone possano conoscere meglio il codice della strada, perché spesso è proprio la cultura di base a difettare.
I piedi, per Federico, devono essere sempre ben saldi a terra, mentre lo sguardo deve avere il più ampio orizzonte immaginabile per sperimentare, creare, inventare. GoCycling è sempre lì e cerca di essere presente nel modo migliore possibile, ovvero con quell’apertura di cui tanto Federico Rossi ci ha parlato. Aperti per un caffè, una chiacchierata, per l’inaugurazione e un prosecco, per consigli e scambi di idee. Probabilmente è per questo motivo che molte persone si sentono proprio partecipi del negozio e quando ne parlano usano il noi: «Dobbiamo fare…». In realtà, a metterci mano saranno sempre Federico ed Anna ma questa voglia di far parte di una realtà è così bella che nessuno osa mai dire nulla e quel “noi” sperano tutti di sentirlo spesso, più spesso ancora.
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