La storia di Federica Zavischi è una storia di sguardi dall’alto. Dalle parole di mamma che nei momenti no le diceva «stai investendo su di te, sul tuo futuro, ed il futuro è troppo bello per lasciarlo alla casualità», alle notti in maneggio, quando era la prima ad arrivare e l’ultima ad andarsene. La storia di Federica è la storia di chi ha voluto cambiare prospettiva e ha deciso che «dall’alto si vede tutto diversamente, non so se è meglio, ma di sicuro mi piace di più perché puoi guardare gli altri ed imparare». Federica è cresciuta fra quei cavalli anche quando passava ore sui libri o faceva l’assistente di volo, anche quando l’agonismo era diventato troppo invadente per essere sopportato, provava qualcosa di troppo forte per lasciar perdere. Il momento di lasciar perdere arriva solo quando ti accorgi che le cose non sono più come prima e che non c’è più possibilità di ritorno, non è la fatica a causarlo, è la delusione.

Federica Zavischi lo ammette: l’idea di tornare a casa e non avere più una passione di quelle vere, di quelle non sai manco tu come sono arrivate a te, ma sono lì e le senti forte, la spaventava. «L’ultima volta che ho cavalcato, sulla strada parallela alla nostra c’era una gara ciclistica. Ho pensato che forse avrei potuto ripartire dalla bicicletta». C’è voglia di intensità, quella voglia sparita da tempo: Federica compra una bici, è agosto. In due mesi la usa talmente tanto da distruggerla. «L’ho torturata quella bicicletta, ma dovevo conoscerla. Dovevo fare ciò che mi veniva in mente. Anche se sembrava impossibile, anche se non ero capace e finivo col farmi male».

Quando le viene l’idea di partecipare alla Tre Valli Varesine, si rende conto di dover cambiare bicicletta. Manca poco più di una settimana ma lei vuole esserci. «Ero folle. Non ero per nulla preparata, me lo hanno sconsigliato in molti, non li ho ascoltati. Ho fatto una fatica assurda ma al traguardo sono arrivata. Non ho mai messo il piede a terra». E questo concetto di fatica, Federica lo conosce molto bene: «Mia madre non mi ha mai obbligato a fare nulla. Avevo iniziato a sciare grazie a lei ma non mi piaceva. Ho smesso ed era contenta quanto me. Lei ha amato l’equitazione alla follia ed era orgogliosa di ciò che stavo facendo, quando ho smesso e ho lasciato la mia cavalla ad un’amica ne ha capito le ragioni e sapevo che era dalla mia parte. Mamma mi ha sempre fatto capire che abbiamo tutta la libertà di scegliere e dobbiamo usufruirne a piene mani perché è nostra. Poi, però, dobbiamo essere coraggiosi e andare avanti. Non esiste libertà di scegliere senza coraggio di decidere». Le prime pedalate di Federica sono un inno all’avventura e l’avventura è anche correre il rischio di essere impreparati.

Quando si corre la Bourgogne Cyclo diluvia, lei non é preparata, non ha l’abbigliamento ideale e non sa nemmeno cosa la aspetti. Il suo allenatore la invita a non partire. Lei non vuole sentire ragioni: «Quando cavalcavo avevo l’assillo del risultato, adesso no. Adesso pedalo perché voglio riprovare la sensazione di un gruppo che si muove, che viaggia, che condivide. Se avessi dovuto pensare al risultato, non sarei partita. In quel momento pensavo a me».

Da quel giorno Federica inizia a viaggiare. «Quando cavalchi ci sono mille possibilità, puoi essere preparatissimo e sbagliare tutto. Si tratta di una sintonia. In bicicletta la responsabilità è tua, dove arrivi o dove ti fermi sei tu a deciderlo». In bicicletta, torna la condivisione di un punto di vista diverso: «Ho scalato lo Stelvio con una compagnia variegata: da Como, alla Svezia, al Sudamerica. Vuoi la verità? Non conoscevo quasi nessuno. Molti dicono “ho fatto lo Stelvio”, per me puoi dire di aver fatto lo Stelvio solo se lo hai fatto in bici. Solo se, verso gli ultimi tornanti, ti sei affacciato e vedendo quanta strada mancava hai pensato fosse meglio non guardare. Se poi ci hai ripensato e hai sorriso. Perché hai capito quanto è valsa quella fatica, cosa ti sei costruito anche mentre non ce la facevi più. In bicicletta si parte quasi sempre da sconosciuti e si arriva che, pur non conoscendosi, ci si sente legati. Così fai la foto di gruppo davanti al cartello che indica la località, perché devi raccontare che ce l’hai fatta. Che ti sei portata lì».

La bicicletta per Federica non è solo questo, è soprattutto un luogo ed un cambio di vita. «Sono stata in vacanza all’Hotel del bosco” sulle Dolomiti. Cosa vuoi che sia una vacanza? Vai in un luogo, lo vedi, ti piace, ti diverti poi torni a casa. Io da lì non sono stata più capace di tornare davvero a casa. Ci sono tornata solo apparentemente». Così Federica cambia ancora prospettiva e decide di trasferirsi a vivere in Trentino Alto Adige, dalla Lombardia. La prima cosa che chiede quando arriva e se ci sia una squadra di ciclismo. Sono in tre, ma non conta. «Quando ho detto che mi sarei trasferita in molti mi hanno detto che ero pazza. No, non sono pazza. Sono solo giovane e voglio provare. Sbaglio? Si può tornare indietro, non è un destino scritto, non è irreparabile. Succede come quando cadi dalla bicicletta e torni subito in sella. Se non avessi provato non saresti caduto, certo. Ma se non avessi provato non saresti neppure in sella». E da lì, dal Trentino, Federica Zavischi vuole poche cose: «Voglio godermela questa bicicletta e riprendermi tutto quello che la velocità e l’agonismo mi avevano tolto. Per guardare bene devi rallentare. Se vai troppo veloce non puoi. Io voglio prendermi la libertà di pedalare al mio passo, di andare dove voglio e magari di provare quella nostalgia di quando sei arrivato e puoi rilassarti ma in realtà vorresti tornare indietro per ripartire. Voglio godermi il viaggio, come una buona cena, un buon vino e tutta la compagnia che desideri».