Un nuovo inverno per Ferrand-Prévot

La notizia è di questi giorni. Dalla prossima stagione Pauline Ferrand-Prévot indosserà la maglia Ineos Granadiers. Interessante perché Ferrand-Prévot sarà la prima donna a firmare con Ineos per un progetto ambizioso che ha come orizzonte l'Olimpiade di Parigi 2024, ma che parte da un inverno pieno di programmi, in direzione ciclocross, con il campionato europeo di Namur e i Mondiali di Hoogerheide. Ma si parla anche della Coppa del Mondo di Mountain Bike a Valkenburg in primavera.
Quando si tratta di traguardi, tra l'altro, all'atleta francese non si possono proprio porre limiti. Sembra in grado di declinare la bicicletta come un sostantivo greco o latino, ovvero in ogni forma, in ogni specialità. Conoscendone casi, eccezioni, particolarità. Non solo ci prova, sarebbe già un bel segnale, ma ci riesce. Quest'anno si è laureata quattro volte Campionessa del Mondo in quattro diverse specialità, l'ultima volta proprio qualche giorno fa, nel gravel. Prima c'erano stati lo Short Track, il Cross Country e il titolo Marathon. Il talento nelle sue forme, una delle quali è l'esplorazione, la prova, la possibilità di divertirsi sempre più anche in quelle cose che, diventando importanti (come importante è una maglia iridata) dovrebbero diventare sempre più "pesanti", difficili.
Questo piacere si impara. Ferrand-Prévot lo ha imparato, sulla propria pelle, nel 2016 quando avvertiva il peso dell'essere chi era, dell'essere una campionessa, una di quelle atlete a cui si chiede sempre la perfezione, la vittoria, l'essere al posto giusto nel momento giusto. Senza la capacità di scindere atleta e persona: l'atleta può anche illudersi di non sbagliare mai, o quasi, la persona non può farlo. C'è la fragilità, c'è la paura, c'è l'errore. Serve un permesso: il permesso di essere come tutti gli altri, di cadere, di lasciar perdere. Quando ci si permette questa possibilità, arriva quel piacere, quell'entusiasmo, quella estrema manifestazione della bellezza del talento. La forza di Ferrand-Prévot è stata quella di concedersi questo permesso. E guardatela adesso, guardate il rapporto che ha con quella bicicletta, la stessa che per qualche tempo non poteva vedere, perché le ricordava quella finzione di infallibilità.
Per l'arrivo in Ineos, ha parlato di sperimentare materiali, possibilità, di migliorare perché vuole fare ancora di più, ha parlato della libertà di scegliere un calendario di gare, di prendere un volo per un altro luogo del mondo con la consapevolezza di questa decisione. Si è soffermata sulle presenze, sulle persone che ci sono, che puoi chiamare quando hai bisogno, senza troppe domande o remore. Le gare? Sì, le gare le vedremo e saranno un'occasione di divertimento anche per chi guarda, di chiedersi e dirsi: «Cosa ha fatto? Cosa ha fatto anche questa volta?».
In questo modo il legame con la bicicletta si è rafforzato. Una bicicletta è diventata il modo per esprimere tutti i modi di essere di una persona: forte, fortissima, incredibile, quattro volte iridata in quattro specialità diverse nella stessa stagione, ma anche fragile, mentre riscopre la goduria di due ruote e di un equilibrio straordinario, e si permette di lasciare andare tante cose. Nello stesso tempo, Ferrand-Prévot ha permesso a quella bicicletta di essere tutto ciò che poteva essere e di farlo con la stessa perfezione delle ruote che girano assieme, simili alla perfezione. Sarà un inverno da vivere.


Pauline Ferrand-Prevot e... i leoni da tastiera

Torniamo sul rapporto tra social network e atleti professionisti, dopo il post di qualche giorno fa sulle dichiarazioni di Chris Froome. Non prendeteci per ripetitivi, nemmeno per ossessionati. Semplicemente riteniamo che il rispetto della persona venga prima di tutto, prima del tifo e delle aspettative di prestazione.
È per questo che ci piace dare voce agli atleti che provano ad opporsi a questa brutta deriva. Magari il messaggio arriverà a poche persone, ma se riuscisse ad ingenerare un piccolo cambiamento, sarebbe già un successo.
Dopo le gare dei Mondiali di MTB della Val di Sole, Pauline Ferrand-Prevot, vera superstar del settore (nel 2014/15, a soli 23 anni, ha indossato la maglia iridata di campione del mondo in tre discipline ciclistiche diverse contemporaneamente, prima volta nella storia del ciclismo maschile e femminile), affida ai suoi canali social un messaggio di risposta ai numerosi attacchi ricevuti a seguito di quelle che sono state ritenute dai suoi fan delle prestazioni deludenti ai recenti Campionati del Mondo di Mountain Bike.
«La vita non ha a che fare solo con la vittoria o la sconfitta.
La vita di una persona ha piuttosto a che fare con l’essere o meno felici.
Non ho letto i commenti delle persone sulla mia gara di ieri perché non voglio che qualcuno possa decidere come mi devo sentire. Quello che posso dire a tutti è che sono molto felice della mia vita, anche se non ho vinto la medaglia olimpica e se non indosso la maglia iridata, e non ho alcuna intenzione di cambiare la mia vita per vincere un titolo olimpico o un mondiale.
La mia famiglia, i miei amici, la mia piccola Mauricette ed io siamo in salute.
Mi guadagno da vivere facendo ciò che più amo al mondo, correre in bici, e ho la fortuna di non definire tutto ciò ‘un lavoro’. Ho il privilegio di viaggiare per tutto il mondo, conoscendo nuove persone e potendomi confrontare con culture diverse dalla mia.
La vita non ha a che vedere solo con le vittorie o le sconfitte.
La vita ha a che vedere con l’imparare qualcosa, con i tentativi andati male ma con la possibilità di riprovarci.
Io vivo per raggiungere gli obiettivi che mi sono posta e non credo di averli ancora raggiunti tutti. Potrò sbagliare e potrò fallire, ma questo non mi impedirà di provarci ancora. Fino a quando non li avrò raggiunti».
Foto: Red Bull Content Pool


Il cielo sopra Pauline Ferrand Prévot

«Credo che essere campionessa del mondo di tre discipline nello stesso anno sia la peggior cosa che mi sia mai accaduta. Anche ammalata ho continuato a lavorare sodo. Alla fine sono stata costretta a ritirarmi da una gara dopo l’altra. Ho concluso la mia stagione con un ritiro e non so quando tornerò in sella. La bicicletta è sempre stata il mio più grande amore, ora è diventata un terribile incubo». Quanto coraggio è servito a Pauline Ferrand Prévot per scrivere queste poche righe? Era passato solo qualche giorno da una delle mattinate più difficili della sua vita. Nell’agosto del 2016, a Rio, durante la prova olimpica di mountain bike, l’allora ventiquattrenne francese, era scesa di sella e, delusa in volto, si era ritirata. Invano i giornalisti presenti avevano cercato di dare una spiegazione a quella decisione: la stagione di Ferrand Prévot era stata costellata di problematiche fisiche ma, nonostante questo, i risultati non avevano tardato ad arrivare ed in quel momento la ragazza di Reims sembrava non aver proprio nulla da chiedere. La città delle cattedrali, non aveva più vetrate e nessun cielo dentro una stanza. Qualcosa dentro era andato in frantumi e dei vetri erano rimasti solo i tagli: Pauline era stanca. Non fisicamente, o per quanto non solo. Pauline era stanca mentalmente, psicologicamente. La tremenda verità è che Ferrand Prévot sul finire di quell’estate era stanca di essere se stessa. Avrebbe preferito essere una ragazza qualunque, sconosciuta ai più, magari studiosa di architettura o di lettere in qualche università locale. Pauline Ferrand Prevot avrebbe voluto essere una delle tante ragazze che ancora potevano permettersi di fallire, di sbagliare, di rinunciare, di ritirarsi, di cambiare vita, di andare al mare, magari.

Quel grido scritto era una protesta: «Non sono quella che credete. Non sono invincibile. Soffro, sto male, sono fragile anche io. Sono stanca. Guardatemi: sono stufa. Voglio essere una ragazza qualunque». Una richiesta di debolezza, se così possiamo chiamarla. I mesi trascorrono, viene autunno e poi inverno. Ferrand Prévot non riesce a riprendere in mano una bicicletta. Il team manager della Canyon SRAM, Ronny Lauke, la conosce in quel periodo ed è in quel periodo che avviene la firma con il nuovo team. Sì, perché puoi essere completamente distrutta ma il lavoro è lavoro ed in qualche modo devi proseguire. «In Pauline si è spento qualcosa. Noi l’abbiamo contattata- racconta Lauke- perché cercavamo un’atleta polivalente, forte come lei. Non immaginavamo quasi nulla di ciò che sarebbe accaduto poco dopo. Pauline era una ragazza, una ciclista, che non riusciva più a essere contenta di vedere una bicicletta». Pauline Ferrand Prevot deve ripartire. Il punto, in questi casi è: da dove si riparte? Da tre mesi in cui non ha mai toccato una bicicletta mentre le sue pause anteriori erano state al massimo di quindici giorni? Da quelle maglie, quelle coppe e quelle medaglie sul letto? Dal passato che nei ricordi della gente, ora, è stupendo a confronto di uno scialbo quotidiano? Dalla paura: e se riparto e scopro che, oltre a stare male, non so più vincere? Cosa faccio dopo? In realtà, se vuoi ripartire davvero devi guardarti allo specchio e sbatterti in faccia verità più crude di sberle.

«Quando vinci tutto- racconta Ferrand Prévot a Cyclingtips- quando hai vinto tutto, vivi nel terrore perché non sai più cosa fare per continuare a vincere. Quante cose si possono ancora vincere? Per quante cose puoi ancora lavorare? Quanti sogni e traguardi puoi ancora porti? E anche se trovassi nuovi obbiettivi non li fronteggeresti in maniera serena. Li affronteresti con la pressione di dover garantire un risultato, di non essere mai da meno». Ferrand Prévot non è più quella ragazza lì. Forse per questo guardando indietro sorride: «Non si può vincere tutto, non si può vincere sempre. Non è possibile essere sempre al massimo, fare sempre il meglio. Sembra quasi ovvio. Forse lo è. Adesso lo capisco anche io. All’epoca no, all’epoca non lo sapevo, non lo capivo. Ci ho messo tempo ed è stato quel tempo a ridarmi la piacevolezza del salire in bicicletta, del godermi la possibilità di pedalare e di farlo serenamente». E c’è ancora quel rumore di vetri rotti, come dopo ogni incidente, come dopo la recidiva della endofibrosi iliaca, frantumati a terra, ma torna anche il cielo. I vetri possono rompersi per diversi motivi, talvolta sono gli spettri della nostra mente a frantumarli, talvolta sono questi stessi spettri a cadere a terra. Un vetro a terra taglia sempre e qualunque finestra distrutta è un faccia a faccia con ciò c’è fuori e che ci spaventa. Passa l’aria, passa il freddo, talvolta il gelo. Ma senza questo, senza tutto questo, non può esistere cielo. Questo Pauline Ferrand Prévot lo ha capito, prima e molto meglio di altri.

Foto: Pauline Ferrand Prévot/Instagram