Le professioni in bici a Milano sono le più diverse, ma vivendo in città il grande mito dei bike messenger è stato uno dei primi motori che hanno avvicinato sempre più persone alla bicicletta.
Io stessa sono stata vittima del fascino delle bici a scatto fisso e della sotto cultura dei messenger nordamericani che popolavano video e momenti dell’espansione del fenomeno delle bici da pista utilizzate fuori dai velodromi, per la loro semplicità di manutenzione e leggerezza.
Lavorare in bici, sempre di fretta, pianificando itinerari, modalità di carico e trasporto è come una piccola sfida quotidiana e togliersi il più possibile l’eventualità di problemi meccanici, è già un grande aiuto.
Negli ultimi anni la consapevolezza dei ciclisti urbani e di chi ha scelto di muoversi in bici a Milano è cresciuta notevolmente. Sicuramente i corrieri hanno rivestito un ruolo chiave in questa consapevolezza e nel modo di approcciarsi al pedalare in città, non solo come mezzo per spostarsi, ma più come un sistema nuovo di vivere e scoprire Milano, di far crescere una sottocultura variegata che continua ad evolversi e prendere sempre più spazio ed importanza, come ci spiega Matteo Castronuovo, uno dei soci di UBM, la prima società di corrieri in bici milanese.
Più persone inizieranno a popolare le strade in sella alle due ruote, più tutto il sistema dovrà agire di conseguenza.
Le consegne in bici possono essere uno dei vari modi per aiutare a migliorare la qualità della vita delle persone che vivono in una città come Milano perché, oltre ad essere ad impatto zero, sono veloci e il segno visibile di un ingresso della bici anche in quei settori in cui si pensava che i mototaxi o furgoni fossero i soli possibili protagonisti. «Ci vorrà ancora un po’ di tempo, ma sono sicuro che siamo nella direzione giusta e le persone lo stanno iniziando a capire» – racconta fiducioso Andrea Lardera, fondatore di Milano Bici Couriers, un’altra grande società di corrieri, nata un po’ per caso dopo un’alley-cat e poi diventata una realtà che muove cinquemila consegne al mese con venticinque corrieri.
Mi piace sentire il senso del dovere e che emerge in persone giovani, ma estremamente capaci e consapevoli del loro ruolo all’interno della società.
Spesso mi emoziono un po’ quando sento altre campane risuonare un eco fermo e motivato sull’importanza sociale delle professioni del ciclismo. «Oltre all’aspetto green, il vero valore aggiunto dei corrieri in bici credo sia stato quello di pensare ad un modello sostenibile da un punto di vista aziendale nei confronti dei propri dipendenti e dell’offerta verso i propri clienti. Avere dipendenti assunti ed assicurati, in un mercato grigio come quello delle consegne espresse, è stata una scelta etica e di valore che nel corso degli anni ci ha premiato, ma che allo stesso tempo rimane una sfida costante per provare a dimostrare che un modello diverso di fare azienda, in questo settore, esiste.
Se ci mettiamo a confronto del nord Europa ci sono delle differenze abissali. Il vero grande problema sono delle scelte strutturali non solo legate alle infrastrutture, ma ad una rivoluzione culturale, da troppi anni attesa, che metta al centro della mobilità i più fragili, a partire dai pedoni. Manca una seria e strutturata visione di futuro e di conseguenza delle scelte pragmatiche che ne permettano lo sviluppo.
«La sfida/possibilità creata da questa pandemia può essere un’enorme chance in questo senso, ma solo se si avrà la forza, la visione e il coraggio di guardare lontano, mettendo in conto di fare scelte impopolari (come la drastica diminuzione dell’auto privata in ambito urbano) per garantire alle nuove generazioni un futuro più vivibile» queste le parole di Matteo mentre descrive il ruolo fondamentale dei messenger nella creazione del tessuto urbano della città.
I modi per migliorare e costruire qualcosa sono tanti e possibili e si è vista negli ultimi anni una parte di opinione pubblica che ha capito l’importanza di scelte a favore di una mobilità dolce e sostenibile, nonostante la strada da fare. «La qualità della vita dei cittadini non può essere ancora vincolata ad una diatriba tra guelfi e ghibellini o pensare che il bene comune abbia un colore; come è follia pensare che dare spazio alla ciclabilità voglia dire fare una guerra alle auto. Le strade sono di tutti, a partire dal più fragile e se non si metterà questo principio alla base delle scelte dei prossimi anni a pagarne le conseguenze saremo tutti noi in termini di morti sulle strade, di costi altissimi della sanità e di una pessima qualità della vita. Non so pensare ai miei spostamenti quotidiani se non in sella ad una bici o a piedi.
Questa cosa mi permette di mappare e di vedere Milano in maniera del tutto diversa rispetto a chi preferisce rinchiudersi in una scatoletta a motore.
Ho imparato ad apprezzare il passare delle stagioni pedalando quotidianamente, ho avuto la fortuna di conoscere centinaia di persone unite da questa stessa passione, ho avuto l’opportunità di lavorare con persone uniche che quotidianamente mi permettono di continuare a credere che un modo diverso di vivere e vedere Milano esista».
A tutti quelli che dicono che Milano non è una città per le biciclette e la risposta è chiara e all’unisono: “Vi state perdendo qualcosa.”
Ebbene sì, ci stiamo perdendo la possibilità di poter vivere e conoscere una città diversa, a misura d’uomo, percorribile da una parte all’altra in pochissimo tempo, non essendo costretti in delle scatolette a motore. Pedalare a Milano vuol dire ri-mapparla in funzione delle proprie necessità, rispettando gli altri e godendo di angoli di Milano che in auto non si possono ammirare.
Una persona che adora conoscere strade, nomi di vie e scorciatoie, tanto quanto la sottoscritta, non può che apprezzare l’esempio fatto da Matteo chiedendomi quale fosse (in macchina) la strada da piazza Gramsci per arrivare in porta romana? Un incubo!
Tra semafori, ingorghi e lavori. Chiedo qui scusa a tutti i non milanesi alla lettura, ma se volete divertirvi potete provare a vedere che effetto fa cercare questo itinerario su qualsiasi navigatore per auto e poi fare il confronto con la sua versione pedonale e capite subito di cosa stiamo parlando.
«In bici – spiega Matteo – vi basterebbe tagliare parco Sempione per trovarvi in Piazza Castello per poi accedere a Piazza del Duomo, ovviamente off-limits alle auto, essendo gran parte del percorso all’interno di zone a traffico limitato o a pagamento. Continuando per vie poco frequentate dalle auto, come piazza santo Stefano potreste scegliere di evitare il pavè e il traffico di Porta Romana. Ci sarebbero mille di questi esempi e spero che tanti milanesi capiranno che una città a dimensione d’uomo, che dia importanza ad una mobilità dolce, è quanto di meglio possiamo auspicare per il bene di tutti».
Scegliere di utilizzare la bici a Milano vuol dire dare a tutti la possibilità di vivere una città più sicura, meno inquinata, più vivibile e libera dalla congestione provocata dalle auto e di chi ne fa un uso improprio.
Lavorare in bici non è facile, non è sempre estate e gli inverni milanesi sono lunghi, umidi e piovosi e spostarsi sul pavé, affrontando binari del tram e automobilisti rinchiusi in veicoli dai vetri appannati e magari disattenti è estremamente stancante, ma non c’è niente di più gratificante che lavorare per se stessi.
«La mia vita, da quando ho aperto BiciCouriers, è cambiata tanto, in primo per le responsabilità e poi ovviamente non è facile stare sempre sul sellino per otto ore sotto pioggia e freddo», però si sa, i cambiamenti, soprattutto quelli più grandi, non sono mai delle passeggiate.
Più le persone modificheranno le loro abitudini più la città si adatterà. «È stato fatto molto negli ultimi anni e sono sicuro che continuerà cosi, ma siamo noi che dobbiamo aiutare il cambiamento – ribatte Andrea – più useremo la bici, più cambieremo le nostre abitudini, più sarà facile creare infrastrutture per permetterci una migliore ciclabilità».
Il fatto che la bici unisca e renda tutti incredibilmente più vicini è quanto viviamo ogni giorno, fermi al semaforo o spostandoci in posti più lontani.
Foto in evidenza: Tito Capovilla