Quando a fine agosto 2016 Elisa Scalambra e Andrea Schillirò al rientro a Milano dopo il mondiale di triathlon al quale Elisa (mamma, triatleta amatore e sportiva a tutto tondo) aveva partecipato in Australia, non si erano ancora abituati al cambio di fuso orario. Occhi sbarrati nel mezzo della notte, l’alba era per loro già mattina inoltrata. Svegliandosi ogni giorno prestissimo, nel pieno della forma, Andrea ed Elisa non riuscendo a stare fermi, si erano guardati in faccia e si erano detti: «E adesso cosa facciamo? Andiamo a pedalare!». E così hanno fatto un giro “a tutta” sul Naviglio, trascorrendo un paio d’ore in totale pace, prima del risveglio della città e dell’inizio delle varie attività lavorative, sfruttando quella parte della giornata per allenarsi. Qualche giorno dopo motivati dalla prima prova, hanno ripetuto l’uscita con alcuni amici e vedendo che la cosa riscuoteva successo, decisero di far diventare il Jetlag Ride in un appuntamento fisso, tutte le settimane stesso posto, stessa ora stesso percorso.

Il Jetlag sarebbe durato fino a che la luce e il passaggio all’ora solare lo avrebbero permesso e verso fine stagione si partiva con le luci accese: sveglia presto, prestissimo e due ore tirate, con l’obiettivo di spingere sui pedali senza pensare ad altro. «Era una figata!» ricorda Elisa entusiasta. Ripreso poi ad aprile e durato per tutta l’estate, il Jetlag Ride era un momento in cui ci si divertiva e si stava assieme fra amici, con la sola voglia di pedalare.

Nonostante sia molto legato ai protagonisti del triathlon milanese, il Jetlag Ride nasce in maniera più spartana rispetto alle tabelle di allenamento del mondo delle gare e legato a quel mondo del ciclismo a cui Elisa si era particolarmente affezionata. L’appuntamento era fisso alle 5.45 davanti alla chiesetta di San Cristoforo, «Chi c’è c’è e chi non c’è…amen! Magari ci ribeccava dopo». Si andava in gruppo sulla base di una traccia creata da Elisa e Andrea che si sviluppava principalmente lungo i Navigli con alcune deviazioni in stradine laterali per quando si aveva poco tempo. La traccia era rigorosamente sempre la stessa, tranne una variante “short edition” per quando la luce scarseggiava nei mesi autunnali inoltrati e una deviazione soprannominata “giro dei rilanci” – variante ricca di curve a gomito che obbligavano a rilanciare continuamente sui pedali pur di stare in gruppo e non perdersi.

Il mondo del triathlon è un po’ più organizzato – ma lo spirito del triatleta é diverso, si fanno più allenamenti con i compagni di squadra e si crea meno un substrato comunitario: «Il nostro scopo, dice Elisa, era più quello di coinvolgere le persone e pedalare assieme, creare una community, un gruppo di persone che volevano uscire in bici assieme. Pur praticando triathlon, anche se in maniera un po’ anomala, infatti durante la prima parte dell’anno fino ad aprile dedicavo più tempo al ciclismo che non alle restanti discipline. Ed era qualcosa che ci divertiva di più perché potevamo gareggiare insieme in bici».

Era reduce dell’esperienza in Australia dove «Anche se eri appena atterrato e non conoscevi nessuno riuscivi, facendo una semplice ricerca online e sui social media, a contattare i numerosi gruppi che si ritrovavano la mattina o dopo il lavoro, con la voglia di allenarsi e di condividere la passione per lo sport».
Questo era quello che a Milano mancava, un gruppo di amici o conoscenti con la stessa passione per lo sport che avevano voglia di fare cose assieme, ma soprattutto dove rintracciarle.

Lo scopo del Jetlag Ride era proprio sopperire a quel silenzio, a quella mancanza di comunicazione di qualcuno che dicesse, «Ehi noi ci siamo, tre volte la settimana pedaliamo qui, se vi va unitevi!» Se qualcuno da zero voleva pedalare e fare qualcosa assieme ad altri, il Jetlag era un buon momento per trovare un gruppo.

Il mondo del triathlon della domenica mattina alla Villa Reale di Monza é un po’ diverso, dato che le persone vogliono più che altro uscire e portare a casa il loro allenamento quotidiano e poi rientrare a casa o alle loro vite – meno legato al concetto di community come era invece lo spirito del Jetlag Ride.
Il triatleta vuole rispettare la tabella di allenamento con i propri compagni di sempre, quando uscivi per il Jetlag invece, facevi due chiacchiere, magari poi rischiavi di simulare una garetta con tanto di volata finale con persone sempre nuove che si aggregavano mano a mano.

«In Italia la concezione di triatlon organizzata su gruppi Facebook o Strava come è presente all’estero, non esisteva, se qualcuno da zero si fosse voluto allenare oppure uscire in bici o correre o nuotare con dei gruppi di sportivi non esisteva, quindi lo scopo del Jetlag Ride era anche quello, la creazione di una comunità ciclistica che vivesse altrove. C’erano anche ciclisti più lenti che non riuscivano a stare assieme e seguire il gruppo per tutta la durata del giro, ma la parte più tranquilla veniva fatta assieme e poi ci si separava in due e si continuava – poi magari ci si ribeccava alla fine e si viveva la bellezza di quello stare insieme, ritrovarsi e pedalare».

Lo scopo del Jetlag Ride è nobile e altamente comunitario, ma non dimentica la forte componente sportiva e di allenamento. Elisa e Andrea hanno avuto un bimbo nel 2018 e quindi, in quanto anima del tutto, non sono più riusciti a stare dietro pienamente alla gestione dell’evento e la cosa è andata un po’ scemando.

Elisa ricorda quelle uscite in maniera incredibilmente piacevole e speriamo tutti che il Jetlag Ride riprenda a breve o se volete crearne uno voi, sicuramente troverete un gruppo di volenterosi pronta a seguirvi!

Intanto vi alleghiamo qui la traccia della versione ufficiale – Spring Edition – se volete iniziare a scaldarvi le gambe e studiarvi il tracciato!

https://www.strava.com/activities/1465300724

Foto: Jetlag Ride/Facebook