Ecce Homo

Può Pogačar vincere senza dominare? Risposta semplice a domanda ambigua: oggi sì. Perché gli basta uno scatto sul traguardo per poi rischiare di strapparsi di dosso la maglia gialla dalla gioia, lassù, sul Col du Portet, dove la nebbia nasconde sullo sfondo l'assidua imponenza dei Pirenei. Per poi distendersi, stravolto, in una posa dove sembra stare lì a prendere il sole e a godersi ogni momento della sua vita.

Semplice la risposta, vero? Perché far sembrare tutto semplice è il paradigma dei fuoriclasse; perché ai tre dall'arrivo sembrava su una Graziella in ciclabile, gli mancavano solo la busta della spesa attaccata al manubrio e la ragazza di fianco, ma di fianco aveva un danese (forte, sorprendente) e un ecuadoriano (furbo, scaltro, ma non forte quanto vorrebbe).

Perché dopo aver fatto sfogare Carapaz in quell'ultimo assalto all'arma bianca ha deciso di vincere - e ha vinto. Perché sul suo volto la fatica si nasconde bene, mentre quello dei suoi avversari è tutto un compendio di stregua resistenza a volte malcelata.

Come il bel profilo di Perez che si trasforma da acqua e sapone a quello dell'ecce homo: da pulito come piace alle ragazze, a sconvolto come un martire, cercando l'impresa nel giorno più importante per i francesi. Che spingono Gaudu, finalmente un bel Gaudu. Che senza una giornata orrenda come quella sul Ventoux oggi lotterebbe per ben altro.

Perché il viso di Uran è quello scavato dalle intemperie: più che un ciclista sembra non abbia fatto altro che tirare su palle di fieno nei campi per tutta la vita. Perché la faccia di O'Connor non si è praticamente mai vista, se non quando chiude quinto al traguardo. Mentre Mas all'arrivo sembra sorridere, col cerotto sul naso come Casiraghi a Euro '96. Ma non è un sorriso: è solo un ghigno di fatica.
E allora si ritorna alla domanda iniziale: si può vincere senza dominare? Dipende, oggi Pogačar lo ha fatto, ma solo perché come i fuoriclasse fa sembrare tutto semplice. Non una bella notizia per gli altri, per chi lo segue, invece, vederlo vincere, un discreto piacere.


A volte basta l'idea

Ci esalta Colbrelli. È vero non ha ancora vinto al Tour, ma è lana caprina. Certo: vincesse metterebbe il punto esclamativo al suo Tour e forse pure alla carriera. Ma diciamolo: non avere ancora vinto ce lo rende persino più simpatico, quell'emozione che trasmette chi ci prova, ma arriva secondo, sfuggendo la retorica del primo dei perdenti.

Colbrelli, con i suoi secondi posti, è tutt'altro che un perdente. I primi giorni c'erano tappe adatte a lui, ma aveva notato come altri (Alaphilippe, van der Poel) mostravano un passo migliore e allora ha rischiato, anticipandoli. Furbizia non ripagata, ma che ci ha fatto dire: "Bravo Sonny, c'hai provato".

Poi sono arrivate le montagne, soprattutto la pioggia e il freddo. Ecco, poi glielo chiederemo a fine Tour: cosa gli succede quando il clima è avverso? Diventa un corridore diverso. Secondo a Tignes, tappone alpino, superando nel finale Guillaume Martin, solo O'Connor gli è sfuggito. Secondo ieri a Saint-Gaudens, antipasto dei due tapponi pirenaici, resistendo al forcing di Gaudu, che non sarà il miglior Gaudu, ma resta pur sempre un buon Gaudu.

Diversi punti in comune nelle sue azioni: intanto il tricolore che, in un bagno nazionalpopolare che ci travolge in questo periodo, non può che farci piacere vederlo aperto sventolante sul petto. La grinta che trasmette, e poi, con pioggia e freddo, mentre i corridori soffrono, lui, che soffre, sì, e stringe i denti, riesce a dare un quid in più.

E poi: il viso simpatico, il corpo tozzo, la tranquillità nelle risposte a fine corsa. Sì, c'è un gesto di stizza al traguardo, ma la consapevolezza di andare forte come non mai e di averci comunque esaltato in un Tour avaro di gioie per i colori italiani. Ora, se in questi due giorni di montagna immaginiamo possa stare più tranquillo, venerdì ci sarebbe l'ultima occasione per vincere.

Eventualmente facciamo come antichi credenti e chiediamo a Giove di mandarne giù un po'. Nulla di che, quello che basta per esaltare Colbrelli e di conseguenza farci sognare. Sì, ci accontentiamo così, perché non sempre serve vincere, a volte basta un pensiero, un'idea, un'azione.