La Milano-Sanremo e i suoi scenari

Milano Sanremo: corsa che ha del filosofico. Marcia ambigua: polarizzante nel dibattito che la precede e nel suo svolgimento. Corsa che non lascia speranze allo spettatore: ore di nulla prima di un finale che si accende all’improvviso; quaranta, quarantacinque minuti di crescendo che spesso ti manda il cuore in orbita.
Si vive in maniera empatica con i corridori:  il mal di gambe aumenta progressivamente, è vero si sta in pancia al gruppo per mezza giornata, ma dopo un po’ le ore ti consumano, così come le ore ti consumano a guardare poco e nulla se non panorami che conosci a memoria, fino a quello che il più delle volte è un tumultuoso epilogo finale. Più che Tarkovskij, Hamaguchi.
Corsa dai risvolti più disparati, da lì forse il fascino, quando questo non è legato a una meravigliosa abitudine.

 

---

Abbiamo provato a immaginare cinque scenari, consapevoli che poi sarà il sesto quello che si avvera.

SCENARIO 1 - Ovvero Pogačar e van der Poel che se ne vanno.

Milano Sanremo 2023 - 114th Edition - Abbiategrasso - Sanremo 294 km - 18/03/2023 - Tadej Pogačar (SLO - UAE Team Emirates) - Filippo Ganna (ITA - INEOS Grenadiers) - photo Luca Bettini/SprintCyclingAgency©2023

Le Manie o non Le Manie (nel momento in cui scriviamo non è stata ancora presa una decisione in merito all’inserimento della salita a causa di problemi di viabilità sul percorso per via di una frana) questo è lo scenario che tutti ci aspettiamo. Gara dura dalla Cipressa: UAE a tutta, con Covi, Hirschi e Ulissi; si scollina ancora in tanti, ma non tantissimi, soprattutto pochi quelli che salvano le gambe. Si arriva in pianura, tirano sempre loro, a tutta, fino al Poggio e poi di nuovo marce alte, ancora l’UAE che usa prima Del Toro e poi Wellens che a un certo punto si sposta. Sparata di Pogačar - stavolta solo una e al momento giusto  - e van der Poel unico a rispondere. I due se ne vanno. Discesa, rettilineo finale, vince il migliore. In alternativa Pogačar fa il vuoto anche su van der Poel che resiste in discesa al rientro del gruppo o ciò che c'è dietro: fanno primo e secondo. La costante è un gruppetto dietro che si gioca il terzo posto sul podio e gli altri piazzamenti.

Favoriti scenario 1

⭐⭐⭐⭐⭐Pogačar, van der Poel
⭐⭐⭐⭐
⭐⭐⭐ Laporte, Pedersen, Pidcock
⭐⭐
⭐ Bettiol, Van Gils

 

SCENARIO 2 - In solo, ma più a sorpresa: ricordate Nibali o perché no, Mohorič?

Milano Sanremo 2018 - 109th Edition - Milano - Sanremo 294 km - 17/03/2018 - Vincenzo Nibali (ITA - Bahrain - Merida) - photo Luca Bettini/BettiniPhoto©2018

È una corsa un po’ sorniona, sonnacchiosa, il vento contro non permette chissà cosa sulla Cipressa, sull’Aurelia si sta bene a ruota e così sul Poggio. Tutti aspettano una mossa: UAE, Alpecin, chi altro? Ci prova qualcuno, si guardano i migliori, un corridore da solo se ne va, allunga o mantiene in discesa, vince in solitaria. Scegliete voi chi, il ventaglio dei nomi è ampio.

Favoriti scenario 2

⭐⭐⭐⭐⭐ facciamo venticinque, trenta corridori di ogni genere. È il bello della Sanremo, no?

 

SCENARIO 3 - Il Gruppetto assottigliato.

Milano Sanremo 2021 - 112th Edition - Milano - Sanremo 299 km - 20/03/2021 - Jasper Stuyven (BEL - Trek - Segafredo) - photo POOL Tim de Waele/BettiniPhoto©2021

Restiamo sul classico. La corsa inizia a farsi seria sulla Cipressa dove a un’andatura alta, ma costante, buona parte del gruppo risponde bene. Sul Poggio si va su una meraviglia, anche qui regolari, ma sempre più forti, a ruota, nemmeno a dirlo, si sta da Dio e si risparmia qualcosa. Fondamentale il posizionamento, già essere intorno alla quindicesima, ventesima ti taglia fuori. Poi iniziano gli attacchi, ci prova Pogačar (chi sennò?), rispondono bene van der Poel, Laporte, Pedersen, spunta la sagoma di Cosnefroy, con i denti anche Bettiol, Mohorič, Trentin, Pidcock, Skuijns, c'è persino Del Toro, inserito all'ultimo e all'esordio in una corsa così lunga, poi altri restano lì in scia. Differenza c’è, ma poca. Si arriva su, alla svolta, e in discesa si resta sfilacciati. Nel gruppetto c’è un po’ di tutto: uomini da classiche fatti e finiti, novità degli ultimi tempi, gente che ha una certa affinità con la Sanremo, sorprese assolute. L’epilogo in questo caso è avvolto nella nebbia. Una cosa è certa: non bastano velocità ed esplosività, ma ci vuole fortuna magari nel partire al momento giusto e c’è poi bisogno che nelle gambe sia rimasto qualcosa: alla Milano-Sanremo, nonostante si viaggi in gruppo per quasi tutta la gara, il serbatoio si svuota inevitabilmente.

Favoriti scenario 3

⭐⭐⭐⭐⭐ Laporte
⭐⭐⭐⭐Pedersen, van der Poel
⭐⭐⭐ Pogačar 
⭐⭐ Van Gils, Bettiol, Pidcock, Scaroni, Mohorič
⭐Skuijns, Cosnefroy, Trentin, Zimmermann, Ganna, Neilands, Wellens, Kwiatkowski, Narvaez, Velasco, Albanese, Del Toro

 

SCENARIO 4 - La Cipressa oppure il pensiero pieno di fiducia.

Milano Sanremo 2020 - 111th Edition - Milano - Sanremo 305 km - 08/08/2020 - Cipressa - Tadej Pogacar (SLO - UAE - Team Emirates) - Giulio Ciccone (ITA - Trek - Segafredo) - Foto POOL Nico Vereecken/PhotoNews/BettiniPhoto©2020

Gli inglesi usano un termine che suona benissimo: wishful thinking. In italiano esiste il suo corrispettivo, pensiero speranzoso, fiducioso, e visto che siamo alla Sanremo lo preferiamo, anche se magari in altre sedi siamo indotti a usare l’espressione anglofona. Senza entrare nel merito di cosa sia giusto o sbagliato, immaginiamo un attacco sulla Cipressa. È Pogačar che ci prova, non fa il vuoto ma porta via i migliori. In discesa il vantaggio aumenta, al ritorno sull’Aurelia, quando di solito da dietro si fa in tempo a chiudere, in gruppo ci si guarda un po’ troppo. E il gruppetto, quello di testa, invece, e che comprende i favoriti, gira a meraviglia, diverse le squadre di punta rappresentate e la corsa è già selezionata prima del Poggio, dove, succeda quel che succeda, tanto già fino a questo momento è stata una corsa bellissima. Il Poggio darà comunque il suo verdetto definitivo: sparpaglio dato dalla durezza della corsa. Si arriva, giù a Sanremo, uno alla volta o poco più mentre dietro ci si raggruppa per un piazzamento nei dieci, venti.

Favoriti scenario 4

⭐⭐⭐⭐⭐Pogačar 
⭐⭐⭐⭐ Laporte, van der Poel, Pedersen, 
⭐⭐⭐Pidcock, Bettiol, Vermaerke, Mohorič, Van Gils
⭐⭐ Scaroni, Cosnefroy, Matthews, Vendrame, Albanese, Pithie, Strong, Wellens
⭐ Milan, Trentin, Mayrhofer, Beullens, Lamperti, Velasco, Del Toro, Hirschi, Ganna, Kooij, Philipsen

 

SCENARIO 5 - La volata di gruppo

Milan Sanremo 2017 - 108th Edition - Milano - Sanremo 291km - 18/03/2017Ê- Fernando Gaviria (COL - QuickStep - Floors) - Alexander Kristoff (NOR - Katusha - Alpecin) - Arnaud Demare (FRA - FDJ) - John Degenkolb (GER - Trek - Segafredo) - Foto Dario Belingheri/BettiniPhoto©2017

Gruppo a giocarsi la vittoria più o meno numeroso - scegliete voi, un po’ come il triennio 2014 (Kristoff), 2015 (Degenkolb), 2016 (Démare), o quelle di inizio millennio - tra i venticinque e i trenta corridori. E allora in questo caso entrano in scena quelli veloci, che resistono alle ore di corsa, alla Cipressa fatta con buona andatura, al Poggio a tutta, ma non così selettivo. Venticinque, trenta corridori, e in mezzo a loro i più forti velocisti resistenti al via. Sì, pure Philipsen o Kooij.

Favoriti scenario 5

⭐⭐⭐⭐⭐ Kooij
⭐⭐⭐⭐Milan, Philipsen
⭐⭐⭐Pedersen, van der Poel
⭐⭐Waerenskjold, Kristoff, Matthews, Lamperti, Strong, Pithie
⭐Ewan, Mayrhofer, Trentin, Cimolai, Stuyven, Girmay, Vendrame, Van Poppel, Bol, Démare, Bittner, Ganna

E voi, quale scenario immaginate?


Un fattore esaltante, catalizzante

Lo conosciamo così e in nessun altro modo. Quando sta bene, in bicicletta vuole solo andarsene. Il gusto dell’avventura solitaria è il motore che lo spinge, le sue azioni sono paragonabili alla sete di conoscenza. Conosce e ama questo sport, Tadej Pogačar, assorbe e ogni anno si rimette in gioco. Ogni anno e in ogni corsa. Conosce il piacere che provocano le sue azioni, anche qualche prurito, si sa; è ben cosciente di come lui e pochissimi altri abbiano in questo momento in mano il potere di trasformare l'idea in forza catalizzatrice per rimettere il ciclismo al centro del discorso. In Italia è complicato, se non impossibile, ci si può provare, ma i risultati sono scarsi: sono ormai più di vent’anni e non sono bastati un paio di ottimi corridori come Nibali e Ganna a rilanciare, il dopo Pantani è questo. Noi Pogačar, dalle nostri parti, lo abbiamo visto - Strade Bianche - lo vedremo fra qualche giorno - Milano-Sanremo - e poi ce lo godremo tutto al Giro d’Italia, dove, imprese come quelle di settimana scorsa alla Strade Bianche saranno gioia e dolore della Corsa Rosa. Rischierà di ammazzarla, ma allo stesso tempo sarà un fattore esaltante, catalizzante, sarà un gesto di spessore vedere il suo atto carnale in sella alla bicicletta. Il suo sorriso, anche, come successo verso Siena, anche perché la sua sofferenza l’abbiamo già percepita al Tour contro Jonas Vingegaard Hansen: avrà pensato come sia meglio prendersi tutto il prendibile da subito, poi al resto ci penserà, ci penseremo. Lui, van der Poel, Evenepoel, van Aert, nessun altro (non ce ne vogliano il pur fortissimo Pedersen, il ritornante Bernal), sono loro che bramiamo vedere correre, sono loro che hanno spinto il ciclismo di nuovo in alto, che ci fanno maledire le dirette che partono alle 14 invece che tre ore prima. Abbiamo pensato: vi sareste immaginati se il gruppo fosse andato un po’ più forte alla Strade Bianche prima di imboccare Sante Marie? Ci saremmo persi l’attacco di Pogačar, per l’anno prossimo bisogna porre rimedio in qualche modo. Tuttavia, Pogačar. Uno che ama e rispetta il ciclismo, che a volte sembra prenderci per i fondelli, che scherza così tanto da sembrarci quasi costruito, ma in realtà lui è questo. Uno che fra qualche giorno, alla Milano-Sanremo, potrebbe pure inventarsi qualche diavoleria atta a negare il canovaccio. Uno come Pogačar. Unico. Come quando prende e parte, se ne va.


Breve guida alla Strade Bianche 2024

Sabato 2 marzo, Strade Bianche, con una modifica al percorso che aumenta ulteriormente il blasone di una gara che in pochi anni - siamo alla diciottesima edizione - si è elevata a rango di grande classica del calendario: appuntamento imperdibile per i tifosi e obiettivo da perseguire per alcuni tra i corridori più forti del momento.

L’albo d’oro, da questo punto di vista, non mente. Nelle ultime edizioni spiccano, nell’ordine, van der Poel, Alaphilippe, van Aert, Pogačar e Pidcock. Di questi, ahinoi, al via non ci saranno i due van che ritroveremo uno alla Sanremo, l’olandese, l’altro un po’ più avanti, il belga, mentre Alaphilippe, nonostante la buona volontà, ci pare da diverso tempo sulla via di un inesorabile declino.

IL PERCORSO

Un cambiamento deciso: intanto facciamo un sentito applauso agli organizzatori che hanno deciso di mettere mano a un percorso già (quasi) perfetto così com’era e ci chiediamo se magari un giorno quella stessa mano, ma ne basterebbe una simile, verrà data anche alla Milano-Sanremo: lo sappiamo, non succederà, ma siamo inguaribili ottimisti.

Si passa da 184 a 215 chilometri, con quindici settori in sterrato rispetto agli undici del 2023; 71,5 i chilometri di strade bianche contro i 63 dello scorso anno. Trentuno in più per una corsa già dura di suo peseranno e non poco, considerando, poi, che lo sterrato sarà, sì, battuto, sia per via della pioggia caduta in questi giorni  - e che dovrebbe dare tregua sabato - e dal passaggio dei tantissimi mezzi che precedono la corsa, ma rischierà in diversi tratti di appesantire e indurire la gara. E poi perché quei chilometri aggiunti non sono casuali tratti in asfalto a inizio gara come si poteva temere. No, perché il passaggio di Colle Pinzuto e Le Tolfe, il più scenografico, variopinto, spesso anche tecnicamente decisivo, raddoppia.

Questo darà la possibilità ai tifosi (che saranno come sempre tantissimi) di vedere i corridori passare due volte e renderà il finale ancora più selettivo, ma chissà, forse rischierà di far diventare Monte Sante Marie, ora situato a quasi ottanta chilometri dall'arrivo, non un tratto meramente caratteristico, ok, perché comunque una selezione naturale avverrà, ma magari non più decisivo, o quasi, ai fini del risultato finale. Vedremo, perché poi funziona sempre come recita la più nota delle frasi fatte legate al ciclismo: la corsa la faranno i corridori e se qualcuno di importante vorrà portare via un gruppo sul tratto dedicato a Cancellara, la possibilità ci sarà. Inutile, per concludere, soffermarci ulteriormente su quello che sarà il finale, arcinoto, piuttosto andiamo a vedere i nomi più interessanti al via.

FAVORITI

⭐⭐⭐⭐⭐

Tadej Pogačar. Qui ha corso quattro volte e una volta ha vinto. Ha deciso di partire da lontano e nessuno gli è stato dietro: era il 2022. Può vincere in qualsiasi modo, anche perché viene da chiedersi, senza l’amico rivale van der Poel, chi può stargli dietro? Ecco, forse l’unico dubbio deriva dal fatto che sarà la sua prima corsa stagionale e non gli è mai capitato di vincere all’esordio. Mettiamo le mani avanti: una sua controprestazione (da leggere come risultato diverso dal primo posto) sarà legata all'alea di uno sport come il ciclismo e in particolare a una corsa con così tante insidie come cadute o problemi meccanici.

⭐⭐⭐⭐

Tom Pidcock. Vincitore uscente, ha mostrato una buona gamba tra Portogallo e Belgio, buona, ma non irresistibile, anche se questa è stata finora la sua caratteristica più spiccata almeno nelle gare su strada. È un corridore che non sembra mai poter fare la differenza eppure è sempre lì, anche quando conta. Guida la bici come pochi, lo scorso anno l’attacco decisivo arrivò in discesa sullo sterrato. Ecco, potrebbe essere una delle debolezze del suo avversario principale: chissà che non possa provare qualcosa di simile giù per le Sante Marie, un attacco magari congeniato con la squadra - avere qualcuno in appoggio più avanti nel lungo tratto tra la discesa delle Sante Marie e il settore successivo, potrebbe essere una buona idea. Anche se, vista la distanza dal traguardo, appare un'azione da tutto o niente: ma lo scorso anno l'azione dalla media distanza pagò e, se si vuole battere lo sloveno, qualcosa bisognerà pur inventarsi.

Sepp Kuss. Perché sugli sterrati va e come, perché la corsa sa premiare anche i pesi leggeri, perché se corresse più spesso le corse di un giorno dure ci farebbe divertire, e quindi ci aspettiamo che ci faccia divertire, perché sarà il capitano della squadra più forte al mondo e quindi non è un caso averlo inserito così in alto. E poi perché preferiamo corridori che si mettono in gioco anno dopo anno allontanandosi da quella che è la propria zona di benessere. Kuss è uno che, quando lo fa, lo fa bene.

⭐⭐⭐

Romain Grégoire. Trenta chilometri in più per il classe 2003 potrebbero non essere banali, ma visto l’impatto avuto in questo primo anno e tre mesi con il professionismo, pensiamo che difficilmente potranno scalfirlo. Profilo perfetto per questa corsa: guida benissimo, sa tenere su salite non troppo lunghe, è veloce, oltretutto pure lui corre in una squadra che sta bene ed è particolarmente agguerrita. Lo scorso anno all’esordio ha chiuso ottavo.

Ben Healy. Ha terminato in crescendo la Volta ao Algarve mandando un segnale per quella che sarà la sua lunga primavera - che chiuderà con il Giro d’Italia. Domani, alla Strade Bianche, Ben Healy sarà uno dei profili da seguire con maggiore attenzione soprattutto lontano dal traguardo. Un suo attacco a lunga gittata non è nemmeno quotato e chi volesse anticipare per poi chiudere con un piazzamento dignitoso è pregato di seguire la maglia del campione irlandese. Oltretutto è uno che non soffre, anzi, le tante ore passate in sella: per lui il podio è alla portata.

Tim Wellens. Nelle prime uscite stagionali, come peraltro accadeva con regolarità in passato, Tim Wellens ha mostrato di avere una gamba tirata a lucido. Eccezionale soprattutto alla Kuurne Brusseles Kuurne dove non ha mai esitato agli allunghi di van Aert. Mai peggio di tredicesimo in Piazza del Campo, e sul podio nel 2017, approfittando della spinta UAE, domani Wellens è uno dei maggiori candidati a un posto tra i primi tre.

Toms Skujiņš. Fino a due anni fa era un ottimo corridore in gare di secondo piano, importantissimo di fianco ai suoi capitani, a volte riusciva a tirare fuori una zampata a livello personale anche nelle corse importanti, con colpi da top ten. Lo scorso anno ha fatto un ulteriore salto di qualità, quest’anno, alla Omloop Het Nieuwsblad, ci ha impressionati: a un certo punto ha staccato van Aert su uno strappetto. Le conclusioni traetele voi.

Matej Mohorič. È vero, non ha un grande feeling con questa corsa, a eccezione del 2023 quando chiuse a ridosso del podio. È vero, non è partito così forte, nonostante abbia già vinto e si sia visto al contrattacco sia alla Omloop Het Nieuwsblad che alla Kuurne Bruxelles Kuurne. L’impressione è che manchi ancora qualcosa per vedere il miglior Mohorič, in generale la migliore Bahrain, ma escluderlo dal novero dei favoriti sarebbe un errore.

⭐⭐

Lenny Martinez: dopo la vittoria al Laigueglia è da tenere d'occhio. L'altimetria non gli fa paura, è migliorato nella guida del mezzo e la giovane età e l'inesperienza ormai non sono più una debolezza nel ciclismo di oggi;
Attila Valter: è il piano B in casa Visma, andato fortissimo già l'anno scorso;
Neilson Powless: come il suo compagno di squadra Healy è uno che più la corsa è dura e lunga e più va forte;
Romain Bardet: qui ha già fatto molto bene e con condizioni di meteo simili e insieme a Kevin Vermaerke forma una coppia di outsider molto interessante;
Michał Kwiatkowski: ha un talento noto innato e un feeling particolare con una corsa già vinta due volte. Magari la sua parabola sarà discendente, ma per un piazzamento nei 10 lui c'è;
Quinn Simmons: qui ha offerto sempre ottime prestazioni. Non lo aiuta il suo essere spesso indecifrabile a livello di risultati e anche la discontinuità nella stessa gara;
Daniel Felipe Martinez: è forse nel miglior momento della carriera e sulle salite brevi non teme nessuno;
Bastien Tronchon: giovanissimo, è uno dei leader di una Decathlon partita fortissimo e lui per caratteristiche ci sembra il più adatto;
Maxim Van Gils: migliora di gara in gara, di anno in anno. Esplosivo, dotato di spunto veloce, resistente su salite da 5, 10 minuti. Cliente molto scomodo per tutti.
Krists Neilands e Dylan Teuns: la coppia della Israel PT è partita forte e mira a un piazzamento nei dieci; ,
Jan Christen e Marc Hirschi: potranno essere sfruttati in diversi modi da quella che sarà a tutti gli effetti la squadra di riferimento in corsa. Entrambi a nozze con questo tipo di percorso hanno dimostrato, recentemente, di stare molto bene.

Filippo Zana, Davide Formolo, Carlos Canal, Magnus Sheffield, Quinten Hermans, Valentin Madouas, Lenny Martinez, Axel Zingle, Alberto Bettiol, Richard Carapaz, Julian Alaphilippe, Simone Velasco, Lennard Kämna, Andrea Vendrame, Paul Lapeira, Lorenzo Rota, Simon Clarke, Andrea Bagioli, Lennart Van Eetvelt, Gianluca Brambilla, Julian Alaphilippe, Davide De Pretto, Jonathan Restrepo, Sergio Higuita, Ben Tulett e Kevin Vauquelin, sono alternative con poche ambizioni da vittoria, ma con buone possibilità di fare una buona gara e ottenere un ottimo piazzamento.

 

 


Štybar bedankt

L’ultima pietra, quella della Roubaix, Zdeněk Štybar non è riuscito a portarla a casa. Una carriera, su strada, con un chiodo fisso: vincere L'Inferno del Nord. Lo spazio, in bacheca, l’avrebbe trovato: quello spazio sembrava pronto per essere riempito già nel 2013, 6° dopo essere stato in lotta con i migliori. «Ero davanti con Cancellara e Vanmarcke, avevo le mie chance, sono veloce e ho pensato di farcela. Ho urtato uno spettatore, o era un fotografo, poco cambia, se non che ho perso l’attimo giusto. Cinque secondi, forse dieci…» ed ecco che il treno buono se ne va. Arriva sesto ma con in testa il pensiero di tornare a vincere. Nella stagione dopo, ormai una vita fa, Zdeněk Štybar c'arriva fresco del suo terzo titolo mondiale nel ciclocross a Hoogerheide, il primo lo aveva conquistato proprio a Tabor nel 2010, a Tabor dove, pochi giorni fa, ha certificato il suo addio al ciclismo. In quella Roubaix vinse Terpstra («ho vinto, come compagno di squadra, la Sanremo di Alaphilippe, la Roubaix con Terpstra e Gilbert, il Fiandre con Gilbert, mi ritengo soddisfatto da questo punto di vista») e Štybar chiuse 5°, dopo avere difeso in tutti i modi l’allungo del corridore olandese; fu 2° la stagione successiva, forse il miglior Štybar mai visto su quelle strade, dove riuscì a portare ai massimi la sua attitudine cresciuta a pane e fuoristrada: venne battuto in volata soltanto da un John Degenkolb in stato di grazia, che poche settimane prima aveva trionfato alla Milano-Sanremo. Nel 2016 la Roubaix la disputò nonostante fosse ammalato, durante la gara gli sembrò di essere uno di quei marinai imbarcati senza una data di ritorno: sconfortato e pieno di nostalgia di casa. Roubaix non fu mai così lontana, così dura, travolgente come un destino infame che ancora una volta gli volse le spalle. E nel 2017, ancora 2°, arrivò per l’ultima volta così vicino (fu 9° nel 2018 e poi 8° nel 2019, sempre però a distanza dai primi) a portarsi a casa quel pezzo da museo, battuto allo sprint da Greg Van Avermaet, precedendo Langeveld, Moscon e Stuyven quest’ultimi due piombati sul terzetto davanti soltanto una volta entrati nel velodromo. Ha vinto una Strade Bianche, la corsa che più si avvicina a quello che è sempre stata la sua predilezione, amava il Fiandre per la sua atmosfera, ma sui muri fiamminghi non è mai riuscito a esprimersi come voleva: tre volte nei dieci con il miglior risultato l’8° posto del 2016.

Per l’addio alle corse, Zdeněk Štybar, elegante in bici come ai microfoni, ha scelto proprio il suo primo amore, il ciclocross, ha scelto proprio la corsa di casa, Tabor, ha scelto quel tipo di competizione, il Mondiale, vinto tre volte, che lo ha consacrato, nei primi anni del 2010, come uno dei più forti interpreti della disciplina. Ha chiuso in lacrime, con gli occhi gonfi così, prendendosi la giusta ovazione del pubblico, dicendosi dispiaciuto per non aver trovato un contratto per questa stagione su strada: «Ma tra un’operazione al cuore, una all'arteria iliaca, il Covid avuto quattro volte, capisco sia andata così. Peccato, perché ho sempre lavorato duro per tornare ai miei livelli e non ero pronto per chiudere già quest’anno». Avrà tempo, però, per dedicarsi ad altro. «Prenderò uno zaino e partirò sei mesi in solitaria in India dove cercherò delle risposte che probabilmente non avrò, ma di sicuro troverò la pace. Poi mi dedicherò interamente alla mia famiglia prima di prendere una decisione sul mio futuro. Gli ultimi anni sono stati duri, non solo per me, ma anche per casa, e ora è tempo di dedicarmi completamente a loro. Mia moglie ha avuto problemi di salute, ha abortito due volte e pochi mesi fa ha subito un intervento chirurgico. Per diversi motivi la nostra relazione ha sofferto seriamente, ma stiamo insieme da vent’anni e abbiamo deciso di andare avanti: sarebbe un peccato se dicessimo: “ora basta”». E poi c’è anche il loro figlio a cui è stato diagnosticato l’autismo e che lo ha seguito proprio a Hoogerheide qualche settimana fa, nella sua penultima uscita nel ciclocross a livello internazionale. «È stato un momento magico, quando inizialmente gli ho chiesto di venire mi ha risposto fermamente di no, credo che tutto ciò abbia a che fare con la folla e con il fatto che tante persone si fermano a parlare. Poi ha deciso di venire ed era felicissimo». Ci mancherà la sua classe, grazie Štybi, ma come pare, stando ai si dice, ci vedremo presto in ammiraglia.


Un momento di nostalgia

Il campionato nazionale colombiano lo ha conquistato Alejandro Osorio, evviva Alejandro Osorio. Un passato che prometteva: prima di quest’anno aveva vinto soltanto una volta al Giro Under 23. Era il 2018, si arrivava sul Passo Maniva, conquistò tappa e maglia e alla fine di quella corsa fu 6°. La classifica finale la vinse Vlasov davanti ad Almeida; Osorio passò professionista a fine anno con la Nippo Vini Fantini. Andava forte in salita, ma dopo essere salpato nel World Tour - ha vestito la maglia della Bahrain - è tornato indietro per cercare nuove soddisfazioni e quelle soddisfazioni sono arrivate. Con una lunga fuga, staccando i compagni di quella scorribanda, vestendo a fine corsa una maglia che in Colombia fa sognare e che potrebbe aprirgli nuovamente la strada verso un ingaggio in qualche squadra alla ricerca di corridori come lui.

Al secondo posto del campionato nazionale colombiano è arrivato Sergio Higuita, evviva Sergio Higuita. Lo chiamano “El Monstre de Medellin” in quanto pare assomigli al “Mostro di Gila”, conosciuto anche come lucertola perlinata. Si tratta di un tipo di lucertola velenosa, ma dall’aspetto simpatico, dalla forte mandibola e che vive perlopiù tra le rocce: secondo la breve biografia del corridore, che si può trovare sul sito della sua squadra, la BORA-hansgrohe, il nomignolo deriva dal fatto che Higuita è piccolo come questo particolare sauro, ma pieno di sorprese. In patria è un idolo, tanto che il più famoso (almeno prima di lui) Higuita, ovvero Renè Higuita, celebre quanto bizzarro ex portiere della nazionale di calcio del suo paese, si è impuntato tempo fa per conoscerlo e invitarlo a pranzo. Higuita (Sergio) ha numeri da far strabuzzare gli occhi: ogni tanto è fortissimo, spesso se lo dimentica, prima di alcune corse ascolta i Metallica per caricarsi e da bambino suonava la chitarra. Domenica, mentre la fuga con dentro Osorio andava, quanto mancavano una cinquantina di chilometri all’arrivo, è partito all’inseguimento portandosi dietro, tra gli altri, Bernal. Sono arrivati a tanto così dal riprendere Osorio: cronometrati soltanto quattro secondi di distacco all’arrivo.

Terzo è arrivato Egan Bernal, viva Bernal, altroché. Un paio di giorni prima della corsa in linea, le idee positive sul suo pieno recupero, dopo il grave incidente di due anni fa, iniziavano ad andare in pezzi: sesto nella cronometro a oltre tre minuti da Daniel Felipe Martinez. Certezze, sì, ma più sulle sue difficoltà che sull’effettivo momento di svolta, che invece, potrebbe essere arrivato. Mentre pedalava all’inseguimento, in compagnia di Sergio Higuita, ha avuto una specie di sussulto che ha descritto così: «Un momento di nostalgia di quello che è stato l’Egan di prima». Quell’effetto ha pervaso anche noi, grazie anche al commento della televisione colombiana che non smetteva di incitarlo a modo loro.

È vero, è solo una corsa, e siamo lontani da quelli che erano i palcoscenici che Bernal calpestava, brillando. Solo una corsa, è vero, seppur tiratissima come ogni campionato nazionale, ma Egan non conquistava un risultato nei primi tre di una gara dal Giro d’Italia vinto nel 2021. Qualcosa forse è cambiato, ora appare, all'improvviso, l’altro volto della speranza. È una gigantesca immagine che significa strada del recupero.


Sensazioni australiane: intervista con Luca Vergallito

Non che sia successo chissà cosa da lasciare agli annali di questo sport: il livello era buono, sicuramente, ma si tratta pur sempre di ciclismo a gennaio, della prima gara della stagione, che, come ci racconta Luca Vergallito, intercettato telefonicamente al suo arrivo in aeroporto a Parigi, mentre fa ritorno a casa, e con ancora il jet lag a scombussolarne la routine, «una corsa dove si è andati forte, sì, ma dove il livello è mediamente più basso rispetto a diverse corse World Tour che affronteremo in stagione, ma anche rispetto a un Giro di Lussemburgo che ho disputato l’anno scorso, per esempio».

Tour Down Under 2024 - Oscar Onley (GBR - Team dsm-firmenich PostNL) - Stephen Williams (GBR - Israel - Premier Tech) - Jhonatan Narvaez (ECU - INEOS Grenadiers) - Julian Alaphilippe (FRA - Soudal - Quick Step) - Foto Kei Tsuji/SprintCyclingAgency©2024

Una corsa disputata a temperature differenti da quelle che a inizio stagione si trovano in Europa, «ma il caldo vero c’è stato soprattutto nella frazione con arrivo a Willunga Hill, la penultima tappa, quella a cui tenevo di più. Gli altri giorni abbiamo gareggiato a temperature normali, anzi, e forse per questo ho pagato nel finale: non abbiamo avuto modo di abituarci al caldo. Certo è un problema che hanno affrontato anche gli altri, sia chiaro. Però, riguardando i dati a fine corsa, credo che le temperature abbiano inciso sulla mia prestazione: le sensazioni non erano come quelle dei giorni precedenti e in una situazione normale avrei potuto anche conquistare una top ten». Era ben posizionato il 27enne della Alpecin, intorno alla settima, ottava posizione, alle spalle di Alaphilippe, fino a poche centinaia di metri dal traguardo, poi sul cambio di ritmo, prima della volata finale vinta da Onley, ha ceduto qualcosa, chiudendo in 20a posizione. Tutto sommato un ottimo risultato. «E poi va considerato come queste non siano le mie salite» specifica Vergallito, uno che preferisce quelle lunghe da passista scalatore qual è. E preferirà un altro tipo di corse a tappe. Lo vedremo di nuovo in gara a L'Etoile de Besseges, altra corsa con un percorso non proprio adatto, ma sempre utile ad accumulare esperienza e chilometri, e poi probabilmente, se tutto va come deve andare, al via di Volta ao Algarve, Tirreno-Adriatico e Paesi Baschi. «Il problema - precisa, provando a smorzare con una risata - è che lì troverò salite più adatte a me, ma allo stesso tempo un livello decisamente più alto. Sarà comunque importante per capire a che punto mi trovo con il mio percorso di crescita».

Erano le prime pedalate più o meno serie per tutti: c'era chi stava lì già da tempo, chi è arrivato all’ultimo; chi è già entrato in forma - è fisiologico, non sempre una scelta ben precisa. Insomma, il Tour Down Under qualche indicazione la può anche dare, ma, da quello che si è visto non dipende certo la stagione 2024.

Tour Down Under 2024 - La volata per il 5° posto nell'ultima tappa del Tour Down Under con arrivo a Mount Lofty  - Foto Kei Tsuji/SprintCyclingAgency©2024

Anche perché per alcuni sarebbero dolori: per Simon Yates, ad esempio, dato tra i favoriti, a maggior ragione dopo la caduta (con ritiro) del compagno di squadra Plapp, non è mai parso a suo agio sui due arrivi in salita (oddio, salita… ma questo è un altro discorso), ma il gemello della Jayco AlUla avrà modo di rifarsi dalle prossime gare. Sui due arrivi decisivi, invece dell’inglese di Manchester, si sono imposti uno scozzese, Oscar Onley, giovanissimo, ma già ben a suo agio alla seconda stagione piena tra i professionisti, uno che dagli Yates può trarre ispirazione come tipo di corridore, e un gallese, Stephen Williams, che tra alti e bassi inizia a confezionare un buon palmarès: tappa finale, quella del Mount Lofty, vinta, che gli ha permesso di portare a casa anche la classifica generale della corsa. Luca Vergallito, quel giorno, arriva 15° migliorando rispetto al giorno prima e chiudendo 17° e primo degli italiani anche nella generale. «Sul Mount Lofty stavo meglio, non c’era il caldo del giorno prima, poi sono partiti i quattro più forti e dietro nel gruppo siamo rimasti un po’ a guardarci, a controllarci, ma ho comunque chiuso nel secondo gruppo, e se vedi i nomi che c’erano, erano nomi di un certo peso, significa che sono andato forte». Vergallito aggiunge anche un altro particolare su cui sta lavorando per migliorarsi: il posizionamento. «Per questo preferisco corse un po’ più dure, dove magari la ricerca della posizione all’imbocco delle salite è meno complicata perché c’è già stata selezione. Tuttavia, questo è un aspetto che proverò a migliorare con l’esperienza. Già ho visto dei progressi, ma non sono ancora al livello in cui vorrei essere, anche se, c’è da specificare, non si tratta di un aspetto legato al fisico, dove dici: “mi alleno e se ho margini lo miglioro”; qui non è detto che ci si riesca, entrano in gioco altri fattori più tecnici e tattici. Io credo di poter migliorare anche all’interno della settimana, l’ho già visto in corsa: ho fatto progressi dalle prime alle ultime tappe. Oppure, a proposito di altri fattori in gioco, è importante avere una squadra che ti supporti. Certo, a me l’aiuto non è mancato, anzi, avendo la possibilità di fare la mia corsa ho avuto uno, due compagni che mi hanno supportato e che mi hanno messo nelle condizioni migliori».

Tornando alla corsa in generale: se il Tour Down Under fosse una corsa da verdetti già chiari, per alcuni sarebbero dolori: per gli altri velocisti, ripensando alle volate di Welsford che fa tre su tre spinto da una squadra compatta, la BORA-hansgrohe, con Mullen ad allungare il gruppo nel finale e Danny van Poppel a prenderlo per mano e lanciarlo verso il traguardo. Poi sia chiaro, bisogna avere la gamba giusta e Welsford in questo, proprio come successo lo scorso anno in Argentina, pareva messo proprio bene: è uno che sa partire forte. Sarebbero dolori per tutti ripensando ai numeri di un neoprofessionista come Del Toro, già in evidenza lo scorso anno tra gli Under 23, e pronti, via capace di vincere una tappa e di vestire la maglia di leader per un paio di giorni. Il giovanissimo messicano dell’UAE ha chiuso la corsa sul podio finale. La stagione è iniziata dando già diversi spunti, ma per fare sul serio e tirare le prime somme, bisogna pazientare ancora un po’.

Foto in apertura: Chiara Redaschi


In cerca di successo: 10 corridori che inseguono la prima vittoria da professionista

La stagione sta per iniziare, non pare vero. Il tempo vola se ci riferiamo a un arco ristretto, ma accade lo stesso e ci guardiamo indietro: “sembra ieri” diciamo il più delle volte. E allora facciamo un gioco, direbbe "L’Enigmista" (non Bartezzaghi anche se pure stamattina gli saranno fischiate le orecchie, lo si ama e lo si odia).

Tuttavia, non sbrodoliamoci e veniamo al dunque: sembra ieri che alcuni corridori, che qui elencheremo, sono passati professionisti, invece è già qualche anno, e alcuni di questi non hanno ancora assaporato il gusto della vittoria. C’è stato chi, come Pastonesi in passato, ne fece un vero e proprio cavallo di battaglia, oggi, noi, almeno chi scrive, non persegue lo stesso lato romantico della faccenda, ma vuole far conoscere 10 corridori (ce ne sono di più, logico, alcuni interessanti sono rimasti fuori) che non hanno ancora vinto e che inseguiranno il primo successo da professionista in questo 2024.

Una sola regola: non si è tenuto conto di chi è passato professionista nel 2023.

TIM DECLERCQ

Tim Declercq (BEL) - Foto Massimo Fulgenzi/SprintCyclingAgency©2023

Il trattore ha cambiato squadra, dalla Quick Step alla Lidl-Trek. Fa quasi rima. Ha cambiato squadra, ma non attitudine, con gli americani lo troveremo a tirare, tirare, tirare, tirare, tirare, eccetera. Qualche anno fa, quando ritirò il premio del miglior gregario dell’anno, indetto da non ricordo bene quale rivista, sito o cose simili, usò una delle frasi fatte più note che accomunano corridori lenti come la melassa (cit.): “in una volata a tre, io arrivo quarto". Tra l’altro pare sia successo davvero. Si sbloccherà?

% di possibilità di ottenere la prima vittoria nel 2024: 0%

FREDERIK FRISON

Frederik Frison (BEL - Lotto Dstny) - Foto Roberto Bettini/SprintCyclingAgency©2023

Un vecchio adagio del ciclismo afferma come i corridori in scadenza di contratto all’improvviso inizino ad andare più forte. In particolare questa sindrome - lo racconta, se non sbaglio, De Gendt nel suo libro - colpisce duramente i belgi. Forse è qualcosa nell’aria, nell’acqua, nella birra o nel cioccolato. O forse è colpa degli abitanti di Namur e della loro invenzione (le patatine fritte!). Insomma, Frison, dopo anni di anonimato lo scorso anno volava al Nord, fino a ottenere il rinnov… no, non è vero Lotto non l’ha rinnovato ma lui è andato in una squadra ambiziosa, simpatica e che al posto di un nome ha una sigla strana. Avrà il suo spazio per provarci.

% di possibilità di ottenere la prima vittoria nel 2024: 5%

JUANPE LOPEZ

Juan Pedro López (ESP - Lidl - Trek) - Foto Luis Angel Gomez/SprintCyclingAgency©2023

Non lo sapevo e ci sono rimasto male, ero convinto che al Giro avesse vinto una tappa, poi sono andato a riprendere l’arrivo sull’Etna - ero lì, ma faceva freddo e c’era vento e stavamo mangiando cannoli e arancini (sì, arancini e non arancine) - e ho visto che vinse Kämna, mentre Lopez prese la maglia rosa che gli stava pure bene. Ho come un sogno su di lui, un articolo che non ho mai più ritrovato e che raccontava un fatto curioso: prima di correre o forse nel tempo libero, faceva il panettiere o pasticcere, se trovate qualche informazione aiutatemi. Ah, per vincere deve arrivare tutto solo soletto e in una tappa di montagna. Difficilissimo, ma non del tutto impossibile.

% di possibilità di ottenere la prima vittoria nel 2024: 10%

HAROLD TEJADA

Harold Tejada (COL - Astana Qazaqstan Team) - Foto Tommaso Pelagalli/SprintCyclingAgency©2023

Ci sono corridori e corridori. Ci sono quelli che vincono e scompaiono per mesi e anni, altri che diventano corridori di livello assoluto e ci rimangono, che sanno vincere e sanno essere pure continui. Ci sono quelli che sembrano persino crescere stagione dopo stagione! E li si può anche aspettare con calma. Com’è possibile? Ci sono quelli regolari su cui puoi contare, e Tejada è uno di questi. Ha l’età giusta pure per vincere una tappa al Giro d’Italia, però prima c’è da chiedere il permesso a Pogačar.

% di possibilità di ottenere la prima vittoria nel 2024: 15%

MATTEO FABBRO

 

Matteo Fabbro (ITA - Bora - hansgrohe) - foto Luis Angel Gomez/SprintCyclingAgency©2023

Segna per noi, Matteo Fabbro, segna per noi Matteo Fabbro oooh-oooh ecc ecc. Il friulano sarà la punta di diamante della scintillante nuova squadra di Bassoeccontador, il team Polti. Peccato solo non aver scelto una maglia con il design che richiami quella degli anni ‘90 (ma secondo me hanno in serbo qualche sorpresa, una maglia speciale per il Giro pronta a sbancare il botteghino), altro discorso. Insomma, Matteo Fabbro, come dobbiamo fare per vincere? Per me si può fare, ma la strada è solo una e si chiama F-U-G-A. Se vogliamo vincere una robetta di peso, una tappa al Giro, alla Tirreno cose così. Se invece vogliamo iniziare, com’è giusto anche che sia da qualcosa di piccolo, allora fatti portare in Spagna, dove si sta bene e c'è il terreno adatto e cerchiamo di rosso un bell’arrivo in salita, possibilmente in una gara con una concorrenza non elevatissima e sprigioniamo i cavalli friulani, quelli che da Under facevano presagire un buon futuro. Per me, ripeto, si può fare.

% di possibilità di ottenere la prima vittoria nel 2024: 25%

MAX KANTER

Max Kanter (GER - Movistar Team) - Foto Ilario Biondi/SprintCyclingAgency©2023 

Ha un nome a metà tra un filosofo e un pornostar, se lo guardi in faccia sembra appartenere alla gioventù kitteliana, è un velocista di buon livello, tiene pure bene se il finale è tortuoso. Ha già 27 anni, e tra una cosa e l’altra questa è l’ottava stagione tra i professionisti. Insomma: cos’è andato storto? Non si sa, pare un giorno abbia comprato uno strano oggetto al mercato e abbia scoperto che strofinandolo (non sappiamo cos’era quell’oggetto, e non ci teniamo a scoprirlo, ne sappiamo cosa si intenda per "strofinandolo" né dove, né come) avrebbe dovuto rispondere alla domanda: preferisci arrivare 50 volte secondo o vincere una corsa? Ha scelto la prima perché la domanda gli era stata posta in kazako e lui la lingua non la conosce, andando in confusione.

% di possibilità di ottenere la prima vittoria nel 2024: 40%

 

ANDREA PICCOLO

Andrea Piccolo (ITA - EF Education - EasyPost) - Foto Luis Angel Gomez/SprintCyclingAgency©2023

Andrea, piccolo grande uomo. A sprazzi ci fai godere, ad altri ci fai arrabbiare (si fa per dire, ti si vuole un mondo di bene), abbiamo un desiderio (magari proviamo a strofinare anche noi l’oggetto di Kanter, anche se in effetti non funzionava proprio così…) ovvero quello di vederti vincere una corsa, anzi adesso barattiamo noi, fateci parlare con chi ha inventato quella cosa che al mercato Maxkanter comprò. Insomma, in cambio di una carriera opaca o di alti e bassi ti vogliamo one-season-wonder e quest’anno vinci tutto il possibile. Affare fatto?

% di possibilità di ottenere la prima vittoria nel 2024: 50%

LEWIS ASKEY

Lewis Askey (GBR - Groupama - FDJ) - Foto Jan De Meuleneir/PN/SprintCyclingAgency©2023 

L'ho visto salire sull’Alpe d’Huez zaino in spalla, divisa della FDJ, sorridente. Era il 14 luglio e c'era una festa assurda su quella salita tanto mitica quanto brutta. Tutti aspettavano Pinot, lui era un ragazzo in gita, anche se ben tirato. Askey fa così perché ama l’aria aperta e il ciclismo, il ciclismo per il momento non sembra amare lui, se è vero che alla Roubaix ha chiuso con un ginocchio aperto in diversi punti, e se è vero anche che, non ce lo siamo immaginati, lo scorso anno ha perso la Paris-Tours da favorito, almeno in quel gruppetto, la volata con uno stagista americano di età non ben definita e che sinceramente non avevo mai sentito nominare. Gli do buone chance, però deve essere più cattivo e iniziare a odiare questo sport di merda.

% di possibilità di ottenere la prima vittoria nel 2024: 75%

ANDERS HALLAND JOHANNESSEN

Anders Halland Johannessen (NOR - Uno-X Pro Cycling Team) - Foto ReneÕ Oehlgen/HRSprintCyclingAgency©2023

 

Ci sono gemelli e gemelli, ecco lui è il gemello meno forte, ma non per qualcosa, perché Tobias non è solo quello forte dei due, ma perché Tobias lo è proprio a livello assoluto. Anders è un po’ la sua stessa versione con qualche watt in meno, ma si può lavorare per limare alcuni aspetti. Nel caso non dovesse riuscire a sbloccarsi entro fine stagione pare abbiano già fatto il patto che l’uno prenderà i panni dell’altro per andare a vincere. Poi come succede in questi casi capaci che a parti invertite finisca per vincere Anders nei panni di Tobias, e che Tobias nei panni di Anders finisca secondo. Chiaro il concetto, no?

% di possibilità di ottenere la prima vittoria nel 2024: 90%

NICOLA CONCI

 

Un altro che mi ha lasciato senza parole alla scoperta delle zero vittorie in carriera, anche perché questo da Under 23 andava fortissimo, vinceva, scattava, era esplosivo, eccetera, eccetera. Io faccio una scommessa, con chi se la sente, per me quest’anno si sblocca e vince una corsa importante.

% di possibilità di ottenere la prima vittoria nel 2024: 100%

 


Le cose del cuore

Succede sempre così nel ciclismo. C’è l’attesa che per un attimo trasforma tutto in silenzio: lo conosciamo quel momento. Accade quando ti guardi dentro e cerchi una risposta. Che tu sia su una bici a patire il piacere del dolore, oppure a bordo strada ad aspettare i corridori appagati dalla sofferenza altrui: non è una forma di sadismo ma di empatia.
C’è il silenzio collettivo, di massa. Silenzio che ti tormenta e diventa bisbiglio, quasi un ronzio, prima di mutare, in un attimo, in quella sensazione che provano a descrivere nei film con una particolare tecnica legata al sonoro: è un frastuono, silenzioso tormento che si trasforma estasi. Non è ipercomunicazione che snatura il modo di essere, ma è il silenzio che ora si rumore assordante, è la festa che si riappropria di tutto, degli spazi e del tempo.

Succede così per ogni vittoria di Tadej Pogačar che, per un appassionato, è un piacere, una cosa-del-cuore. Ogni suo scatto supera la normale sofferenza, squarcia l’oblio, distrugge quell’attimo. Appaga. Probabilmente c’è una particolare parola in tedesco per spiegare tutto questo, beati loro che hanno la capacità di riassumere tutto in un termine. Forse ci sarà anche in sloveno, ma non la conosciamo: ci accontentiamo di vedere Tadej Pogačar attaccare, che sia sulle pietre del Fiandre, sul Poggio di Sanremo, sulle lunghe salite francesi o sui colli lombardi, non importa.
A ogni corsa ci sono le braccia dei tifosi che cercano di agguantarlo, quasi di strapparlo via dal suo cavallo-mezzo. Telefonini che volano in aria sbattuti lì in faccia ai corridori come innaturale prolunga del corpo umano. Bottiglie di vino, cappellini, maglie, bandiere. C’è chi ti domanda se corre ancora Battaglin o se Carapaz passerà in maglia rosa. C’è quella sua bici: Pogačar addomestica il mezzo per farne una parte di sé, pur nel suo essere gioviale sceso di sella, è un combattente delle due ruote, ve lo riuscireste a immaginare in un’altra maniera se non vincente, scattante in sella alla sua Colnago? Nato e cresciuto per fare questa cosa qua. Nulla di più.

Il cielo di questo ottobre 2023 è un giallastro paglierino e solo quando il gruppo ha superato il Passo di Ganda si inizia a fare più blu. In mezzo al bosco si fa il ritmo, si scandisce come un tam-tatum-tam-tatum. Il gruppo sembra una nave che risale l'Amazonas e in testa risuona la musica lirica di Enrico Caruso. C’è il sibilo delle catene ben oliate, c’è il ronzio delle radioline, lo stridere dei freni lo lasciamo alla temibile discesa giù dal Selvino dove sbagliare significa rischiare di fare un brutto volo. I rami degli alberi inneggiano all’arrivo di un autunno ancora leggermente sbiadito, a volte coprono gli sguardi dei corridori, altre sono una perfetta cornice a dei bizzarri e inquietanti quadri contemporanei creati dall’intelligenza artificiale. La stringa dice: “ciclista che scatta in salita e tutto intorno alberi, pittura contemporanea”. Le maglie UAE si nascondono come una tribù che ti osserva dietro le fronde, e poi come d’incanto attaccano. Davanti al gruppo, Quick Step e Jumbo Visma: fino a poche ora prima sembravano sul procinto di diventare una cosa sola, ma ora, in provincia di Bergamo, non fanno più prove generali sul futuro, piuttosto gettano in concreto sulla strada tutto quello che hanno. Da una parte si pensa di lottare per Evenepoel, Alaphilippe, perché no Van Wilder, ma d’improvviso è il momento di Bagioli. Dall’altra tutti uniti per Primoz Roglic alla sua ultima gara in giallonero, promesso sposo alla BORA-hansgrohe.
Ci prova Adam Yates su questo Passo di Ganda, il gemello allunga ed è solo l’anteprima sui nostri schermi. Un trailer dove si vede un uomo UAE fare l’andatura davanti. Quando si stacca Pogačar pensi: sogno o bluff? Non si capisce in verità: poiché rientra con un balzo non c’è tempo di perdersi in elucubrazioni. E quando riparte, ormai il gruppo si è già accartocciato su se stesso come una lattina piegata con la sola forza della telecinesi. Restano in pochi. Con loro Pogačar, oppure Tadej, oppure Pogi, ormai è diventata consuetudine chiamarlo con diversi nomi: a furia di vederlo entrare nelle nostre case tramite quelle sue azioni e la sua maglia bianca al Tour (che dall’anno prossimo non vestirà per sopraggiunti limiti di età, come vola il tempo!). Spinge forte con ogni parte del suo corpo, mentre chi gli sta dietro arranca, si attacca con ogni mezzo lecito alla sua bici. C’è di nuovo quell’attimo di calma su in cima. Lo riprendono. Sono ancora meno di quei pochi. Ci si guarda, di nuovo, ci si avvicina e ci si annusa come segugi che fanno tra di loro conoscenza. Uno sguardo tira l’altro, uno scatto, tira tu, sembrano dire i superstiti in testa. Poi parte di nuovo Pogačar. Dove non possono gambe che non sono certo le migliori della stagione, può l’astuzia.
Tadej Pogačar nel 2023 ha conquistato, giova ricordarlo: Giro delle Fiandre, Parigi Nizza, Amstel Gold Race, Freccia Vallone, podio al Tour e al Mondiale, soltanto due settimane dopo, eppure è arrivato a Il Lombardia con l’idea di vincere ancora. Nonostante il dolore che provoca la stanchezza.
Non è al meglio, non puoi umanamente essere al 100% dopo una stagione così, arrivato alla prima settimana di ottobre. Nemmeno al 90%, forse sarai intorno all’80%, ma giusto perché sei Pogačar. Non è al meglio, ma tra Passo di Ganda e Bergamo vola, squarcia quell’attesa sull’ultima salitella prima del traguardo.
Le braccia dei tifosi, quando la strada ricomincia a salire e allo striscione d’arrivo manca sempre di meno, non cercano più di strapparlo via, ma sono tese, il palmo spalancato per dare un cinque, una spinta, se possibile, dopo aver sofferto insieme a lui: pochi minuti prima di affrontare il Largo di Colle Aperto, infatti, a Pogačar vengono i crampi e alla corsa un sussulto, ai suoi tifosi algofobici, smarrimento.
Per un attimo le carte paiono potersi mescolare ridando un senso di incertezza a una gara che pareva già segnata soltanto pochi chilometri prima. Quel dolore passa. Quel silenzio si fa rumore. Pogačar gestisce. Citando Byung-Chul Han: «Non glorifico il dolore, tuttavia senza di esso la nostra esistenza sarebbe incompleta». Pogačar spezza quella gabbia, verso la libertà e oltre, verso il traguardo di Bergamo, verso il terzo Lombardia. Il primo accoppiato con il Fiandre, come Kuiper e van Looy, come nemmeno Merckx. Succede sempre così nel ciclismo. Ci si sbatte, si supera il dolore, poi quando vince Tadej Pogacar diventa una cosa-del-cuore.


Ma davvero i fenomeni uccidono il piacere dell'incertezza?

Guardavo scendere Marco Odermatt dalla Gran Risa. Era lunedì mattina, era il 18 dicembre. Lo ammiravo mentre lui annichiliva gli avversari. Più lo osservavo e più nella mia testa si faceva spazio una domanda, mi chiedevo fino a quale punto si potesse ritenere spettacolare l’ennesima impresa di uno sciatore che a tutti gli effetti può ritenersi, già oggi, uno dei più grandi di sempre. Il più forte della sua generazione, senza ombra di dubbio.

Pensando a Marco Odermatt, al modo in cui vince e chiude la pratica in (quasi) ogni Slalom Gigante, soprattutto, mi è venuto istintivo il parallelismo con Tadej Pogačar, non fosse altro poi che, proprio qualche ora dopo la vittoria di Odermatt nel Gigante della Val Badia 2023, vittoria in entrambi gli slalom giganti, arrivava la notizia della partecipazione di Pogačar al Giro d’Italia 2024.

L’annuncio della sua presenza ha, prima di tutto, regalato entusiasmo ai tifosi, ma in generale a tutto il mondo che ruota attorno al ciclismo. A coloro i quali a dicembre possono consolarsi solo con il ciclocross o con le prime foto - e giri su strava - dai ritiri. La notizia ha aperto il dibattito, che, personalmente, si è sviluppato in maniera definitiva quando un amico e collega mi ha scritto in privato - mi perdonerà se riporto il suo messaggio, e mi perdonerà, almeno spero, se lo faccio più o meno fedelmente, al netto di qualche omissis:

Pogačar è un bel colpo per il Giro. La mia paura è che venga, schianti tutti subito e il Giro diventi noioso. È già successo? Sì, non sarebbe la prima volta, ma che palle. Speriamo si inventi modi diversi di vincere, se no è veramente un corteo. Io spero di sbagliarmi, ma che Quintana, van Aert e Ciccone, faccio tre nomi a caso, lottino alla pari o anche poco sotto con lui non ci credo nemmeno se lo vedo e non lo dico perché è Pogačar eh, avrei detto uguale se fosse venuto Vingegaard. Pogačar, più un altro big, sarebbe uno spettacolo davvero; Pogačar e basta in questa mediocrità, secondo me, rischia di dar vita allo spettacolo più noioso degli ultimi anni. E tu dirai: ma Merckx è diventato Merckx perché dominava. Sì, infatti a volte doveva essere di una noia mortale.”

Il Lombardia 2023 - 117th Edition - Como - Bergamo 238 km - 07/10/2023 - Tadej Pogacar (SLO - UAE Team Emirates) - photo Luca Bettini/SprintCyclingAgency©2023

Lo trovo un punto di vista necessario, anche se diametralmente opposto al mio. Uno spunto di riflessione da cui partire.

Ma davvero “i grandi campioni ammazzano lo spettacolo”? Sono convinto valga un discorso opposto e non lo dico per il debole nei confronti del corridore sloveno. Il gesto tecnico o, nel caso di un corridore in salita o allo sprint, perlopiù il gesto atletico, agonistico, che i primi della classe sanno imprimere e di conseguenza riescono poi a trasmettere, restano unici. Sono quelli che fanno la differenza e ti fanno innamorare dello sport - a me basta pensare agli anni di formazione da appassionato di sport e tornando a sci e ciclismo, penso a Tomba e Pantani, è vero, due modi diversi di concepire vittorie e domini, quello di Tomba spesso arrivava dopo seconde manche in rimonta, la poetica pantanesca spinge verso tutto un altro tipo di significato. Restano comunque i gesti di atleti, di corridori sopra tutti gli altri. Gesti che catturano, che si infilano direttamente nella testa e restano vivi nella memoria.

Pogačar fa parte proprio di questa categoria: di quelli che trascinano un movimento, che fanno innamorare di uno sport, che fanno parlare di sé, travolgono. Di questi tempi sono pure parte di un meccanismo che sarei ipocrita se definissi deprecabile, per quanto possa essere moralmente discutibile: è una perfetta operazione di marketing. Nei giorni dell'annuncio e di Pogačar al Giro non si è parlato di altro nel mondo del ciclismo, mica male, eh? Altro che Tour con il suo tratto in sterrato, la partenza dall’Italia, il finale a Nizza oppure altro che Vuelta - presentata abbastanza in sordina un paio di giorni dopo, e un paio di giorni dopo si parlava ancora della presenza di Pogačar al Giro. E immagino anche cosa sarà sulle strade il coinvolgimento ancora più emotivo che ci sarà in attesa di veder passare Pogačar anche solo per una frazione di secondo. Ecco, quello per me, che ancora conservo qualche languido atteggiamento non privo di sentimentalismo, è spettacolo.

Importa davvero se Pogačar dovesse ammazzare il Giro il secondo giorno a Oropa? Anzi, tifo per lui, e per la ricerca della storica doppietta - vien da sé nuovamente il paragone Pogačar-Pantani, con il filo conduttore non solo della superiorità in salita, ma anche unito da un luogo, Oropa. Questo per me sarà spettacolo.

Lo scorso anno abbiamo assistito a un Giro noioso, corso col braccino da tutti i pretendenti alla maglia rosa finale, in attesa della penultima tappa. Eppure quei pretendenti erano vicini l’un l’altro. Dove stava lo spettacolo? Meglio quello visto lo scorso anno, giocato sul filo dell’incertezza, ma senza attacchi, senza verve, senza un vero e proprio slancio, senza che qualcuno spiccasse su un altro o un possibile dominio dal secondo all’ultimo giorno dello sloveno? Io non ho dubbi su cosa sceglierei. D’altra parte pure nel Giro 2023, dopo il ritiro di Evenepoel, è un po’ calato l’interesse. Perché, dominatori o meno, abbiamo bisogno di certi grandi nomi.

Del Giro di due anni fa ricordate di una sfida accesa tra i pretendenti alla maglia rosa finale? Ma quando mai. A parte Torino e gli ultimi due chilometri del Fedaia, calma piatta, ciò che resta più impressa è la presenza, ingombrante, di van der Poel, in fuga quasi tutti i giorni - persino nelle tappe di montagna. Lo spettacolo risponde ai nomi di van der Poel, di Pogačar (e al Giro 2024, per fortuna, anche quello di van Aert, mi sento di dire: grazie Vegni); lo spettacolo, concetto forse più soggettivo di quello che pensassi, lo trasmette quel gruppo di corridori che stanno facendo la storia di questo sport; e pazienza se ce ne sarà soltanto uno, forse due, ben venga lo sloveno al Giro, pur con il piglio del cannibale, ben venga a scrivere la storia di questo sport, passando per le strade italiane. Io mi accontento così. Anzi, che dico mi accontento, bramo già quelle tre settimane di Giro.

 


Freddo, fango, oche, corse a piedi: una settimana di ciclismo invernale

Bisognerebbe fare come Andreas Leknessund. Fregarsene. È uscito a -24 gradi, ha fatto un video in cui si mostra sorridente. ha fatto un video per dimostrare di essere uscito davvero a quelle temperature - una volta si diceva: ”se non è scritto su Internet non esiste”, ora è l’epoca in cui se non lo fai vedere sui social, non è mai accaduto. Nel breve tempo in cui si è inquadrato con il telefono si vedono pezzi di ghiaccio formati sulle sopracciglia. Lo scenario, poi, è delizioso: in mezzo alla neve, in Norvegia, ed essendo lui norvegese, pedalare gli pesa molto meno che a noi, o comunque a me. È vero: tutto molto bello, ma se dovesse capitarmi una proposta di uscita a certe temperature probabilmente non accetterei nemmeno a pagamento, sotto tortura, ricatto o minaccia, vi direi: prendete tutto quello che volete ma lasciatemi stare. Il freddo in bicicletta è mio nemico e in questi giorni i miei due compagni di giochi in bicicletta mi stanno chiedendo di uscire, ma non mi avranno mai.

Ma appunto Andreas Leknessund è norvegese e quando era un ragazzo molto più giovane di come appare adesso, oltre a essere uno specialista giocoliere abilissimo nel diablo, era pure un provetto sciatore, sci di fondo per l'esattezza. E quando senti dire che in Norvegia “si nasce con gli sci ai piedi” capisci come non sia un luogo comune certificato, anche se il futuro corridore della Uno X Pro Cycling (dove ritorna dopo esserci cresciuto da giovane e dopo la parentesi agrodolce in DSM) ha sempre sostenuto di non essere così bravo con gli sci ai piedi. Già, meglio affrontarli con il giusto mezzo come si vede nel video: meglio usare una bici. Che pare fatta apposta per ogni situazione.

Leknessund è bravo in bici, ma sugli sci niente a che vedere con i suoi più giovani connazionali: Per Strand Hagenes, lui sì, sciatore provetto nelle categorie giovanili, e soprattutto Nordhagen. Uno che sembra uno sportivo fatto in provetta.

Per Strand Hagenes vince la Ronde van Drenthe 2023 - Foto Dion Kerckhoffs/CV/SprintCyclingAgency©2023

L’anno prossimo Per Strand Hagenes correrà la sua prima stagione da professionista a tempo pieno, in maglia Jumbo Visma, e qualcosa mi fa pensare che al Nord, quando farà freddo, ci sarà pioggia, lui potrebbe essere da subito uno dei protagonisti - trasformazione in gregario da corse a tappe permettendo, ma voglio fidarmi di una certa lungimiranza tra gli olandesi. Quest’anno è già accaduto che in una delle prime gare corse tra i grandi - era la quarta della sua carriera - vincesse. Era una Ronde Van Drenthe fredda e piovosa e dove si arrivò al traguardo stremati battendo i denti. In una corsa così selettiva Hagenes apparve un demonio e vinse in solitaria attaccando nel finale. Pur essendo dotato di un interessante spunto veloce, se ne fregò, meglio non correre rischi, avrà pensato.

Nordhagen, invece, sarà al suo primo anno tra gli Under 23, vestirà la maglia che ha appena mollato Hagenes: quella della Jumbo Visma Team Devo (che si chiamerà Team Visma -Lease a Bike Devo). E lui nel fondo andava forte forte, tanto da piazzarsi anche ai campionati nazionali correndo in mezzo ai senior, battendo pure un certo Sjur Roethe (veterano della nazionale norvegese tra gli sci stretti), impressionando una come Therese Johaug, una delle più grandi fondiste della storia: «Sono sbalordita» - disse quella volta. E immagino anche che faccia abbia fatto dopo aver visto uno junior che va tra i senior e li batte. Chiuse, se la memoria non mi inganna al 6° o al 7° posto. Tempo fa, Nordhagen disse di non aver preso una decisione in merito al suo futuro o meglio, che avrebbe continuato a dare allo sci di fondo la stessa importanza che dà al ciclismo, ma io credo che aver firmato un contratto fino al 2027 con la squadra olandese abbia messo abbastanza in chiaro qual è il suo futuro. Tra gli junior, parlo di ciclismo in questo caso, arriva da due buone annate dove a tratti ha dimostrato di essere tra i più forti 2005 al mondo, ma, nonostante i numeri che hanno fatto innamorare di lui i tecnici della futura Visma-Lease a Bike, l’impressione è che ci siano dei margini, abbastanza ampi, su cui lavorare.

Figlio di uno dei più grandi crossisti di tutti i tempi, Thibau Nys continua la sua crescita sia su strada che nel fuoristrada. Il prossimo passo? Diventare più continuo, non prima di aver risolto i problemi alla schiena che affliggono lui e tanti altri crossisti. - Foto Billy Ceusters/PN/SprintCyclingAgency©2023

Dove non è arrivata la neve c’è il fango, nell’ultimo week end di ciclocross ci sono state anche le oche. Ronhaar per la verità non dà la colpa a Qui, Quo, Qua come li ha definiti, se è scivolato, nella prova di Coppa del mondo a Flamanvile, Francia, dal 1° al 3° posto. «All’improvviso mi sono trovato davanti Huey, Dewey e Louie». In realtà come ha raccontato a fine corsa, era in calo già da prima, venendo rimontato poi da Iserbyt e van der Haar. Nemmeno Nys cerca alibi di nessun genere: dopo aver vinto il Koppenbergcross è entrato in una sorta di spirale negativa che vado qui ad elencare: ritiro al Campionato Europeo, 27° al Superprestige di Niel, 7° e 6° in Coppa del Mondo a Troyes e Dublino, 6° a Boom, 19° a Flamanville. Mal di schiena, stanchezza, vuole vederci chiaro. Sbaglio o anche lo scorso anno, a un certo punto, la sua stagione del cross prese una piega simile, per poi rilanciarla nel finale con tanto di titolo iridato tra gli Under 23? Se tanto mi dà tanto un po’ di risposo e poi si può andare a Tabor a sognare una medaglia tra i grandi, prima di un’intensa stagione su strada dove è atteso a un ulteriore salto di qualità, alla ricerca di quella maturità che significherebbe raggiungere gli obiettivi prefissi con maggiore continuità. Il ragazzo c’è e verrà fuori, non ho dubbi al riguardo.

Dove invece non sono arrivati fango, neve, cross, oche o mal di schiena, è arrivato David Gaudu. Però non in bici, ma a piedi. L’occhialuto ciclista francese che si diletta nel portare avanti carriere nel videogioco Pro Cycling Manager, ha corso la mitica staffetta a coppie di SaintéLyon insieme a un veterano del trail come Alexandre Fine. Gaudu, che da ragazzo andava forte correndo a piedi prima di capire che il ciclismo sarebbe stata la sua naturale vocazione - a̵l̵t̵r̵i̵m̵e̵n̵t̵i̵ ̵n̵o̵n̵ ̵s̵i̵ ̵p̵a̵s̵s̵a̵n̵o̵ ̵o̵r̵e̵ ̵a̵ ̵g̵i̵o̵c̵a̵r̵e̵ ̵a̵ ̵P̵C̵M̵ , altrimenti non si vince un Tour de l'Avenir o si sfiora un podio alla Boucle - prima della partenza si era visto davanti a un bivio: «Vincere o andare in ospedale». La corsa si è disputata in notturna e i due, che si sono conosciuti qualche anno fa proprio durante una corsa invernale a piedi, hanno chiuso la gara, in mezzo al freddo e alla neve, al secondo posto. «Penso che il Trail running sia la cosa che più si avvicini al ciclismo in termine di sforzo. È una lotta contro te stesso, come quando sei in salita, su un passo di montagna. Ci sono i tuoi avversari, ma i limiti che devi superare sono i tuoi e devi fare affidamento solo su te stesso. E poi mi aiuta a staccare dalla bici, fa bene ai muscoli, e mi fa bene alla testa perché io ho sempre amato correre. Ecco, per esempio, Thibaut Pinot praticava sci di fondo in inverno, è la sua passione. La mia è il trail running!»