Dispacci dal World Tour #7
La Strade Bianche disputata settimana scorsa ci dà l’opportunità per un paio di riflessioni. Stavolta non mi vorrei di nuovo soffermare, per l’ennesima volta, sull’onnipotenza di Tadej Pogačar, quanto piuttosto sulla sudditanza degli avversari (un lapsus: inizialmente avevo scritto “dei suoi compagni di squadra”).
Vero: se uno è più forte è più forte, non è arte, anche se..., ma è sport, agonismo, ci sono numeri che tendono a rimarcare la sua grandezza e Tadej Pogačar è ormai unità di misura dei più grandi di sempre con buona pace di chi fa fatica ad accettarlo. Il ciclismo è uno sport di gambe in cui la testa serve a spingere per elevare lo sforzo e superare alcuni limiti che, fisiologicamente o anche inconsciamente, ci imponiamo. C’è da dire, però, che chi dovrebbe provare a sconfiggerlo è, mentalmente, poca roba - non parlo degli assenti, non di tutti, diciamo - e la competizione sta andando a farsi benedire anche a causa di atteggiamenti da vogliamoci tutti bene che hanno un po’ annacquato l’agonismo.
Spesso si scopre come siano amici fra di loro, si mandano messaggini durante l’inverno e la stagione, addirittura dichiarano di essere uno il mito dell’altro, un esempio massimo da seguire. Io che, a volte, mi sento un cinico bastardo (scusate il termine, ma non saprei come meglio descrivere questo pensiero, tuttavia: pronti alla considerazione nostalgica del secolo?) mi chiedo: dove sei finita sana, cattiva (agonisticamente parlando) rivalità? Avrei preferito vivere, in questa epoca meravigliosa di sfide tra alcuni dei più grandi corridori di sempre, sfide anche verbali, dialettiche, corridori che si stanno sulle palle in corsa e fuori, insomma un po’ di proverbiale ciccia, che, fra strette di mano, abbracci, attese, ringraziamenti, fra un po' baci con la lingua e altre effusioni, si fatica a trovare.
Ci sono stati momenti in cui i belgi si facevano la guerra tra di loro e non entro nel discorso dei dualismi del ciclismo italiano dagli anni 80 a metà dei duemila che già la retorica nostalgica mi sta uscendo dalle orecchie. Avremmo bisogno di sale, aglio, olio, pepe e peperoncino, per magari ogni tanto incrinare la convinzione di chi, in questo momento, è già più forte di diverse spanne. Vero anche che Pidcock in parte c'ha provato, dichiarando che avrebbe fatto di tutto per stare con lo sloveno, e provando a trasformare le parole in fatti.
La seconda considerazione post Strade Bianche riguarda l’eccessivo esaltare (ci sono anche anche io, nel post gara, in questo giochetto) lacrime e sangue, in un ciclismo che, più che sembrare postmoderno, cerca una retorica antica per provare ancora a fare breccia nel cuore degli appassionati. E dunque ecco come si rimarca corridori arrivati al traguardo ricoperti di sangue, si fanno passare i bollettini delle squadre sui feriti come qualcosa che dovrebbe fare bene a questo sport, esaltandone una presunta spettacolarità e superiorità nei confronti di altre discipline (la solita dicotomia calcio-ciclismo, per esempio).
Nel momento in cui scrivo si stanno correndo, ma sono agli sgoccioli, Parigi-Nizza e Tirreno-Adriatico e visto che mancano ancora delle tappe si rischia di essere molto deboli nell'analisi quindi mi limiterò a elencare i vincitori delle tappe con brevi considerazioni: Milan e Merlier vincono in volata, dominandole, praticamente senza avversari in attesa di vederli sfidarsi di nuovo. Sono loro i migliori velocisti al mondo al momento? Sì! è l'unica risposta valida al momento e sono anche accompagnati dai pacchetti da volata di maggiore livello.
Ganna dà spettacolo nella crono alla Tirreno, la Visma, invece, si prende quella a squadre della Parigi Nizza. La domanda sorge spontanea: chi avrebbe vinto se si fossero sfidati il Ganna formato 10 marzo al Lido e la Visma intera alla Parigi-Nizza?
Vingegaard mostra il fianco in Francia ed è forse la notizia più interessante - vedremo, e infatti per questo parlo di debolezza nell'analisi - se mi smentirà a riflessione già uscita. È parso subito chiaro che, nel momento dell'attacco, il danese fosse differente da quello delle ultime stagioni. Ha attaccato e quando si è seduto è parso, anche visivamente, meno straripante del solito, meno macinatore di watt e distacchi, meno annichilitore di speranze altrui. Il vantaggio sugli avversari non prendeva mai una misura tale da metterlo al sicuro fino all'arrivo. Anzi, sul traguardo viene bruciato da Almeida. Certo, è stata una giornata difficile, con pioggia, neve, grandine, poi sole, tappa interrotta per quasi un'ora e perciò la si potrebbe inserire alla voce eccezione. Oppure è il primo segno di qualcos'altro? Chi ha buona memoria, tuttavia, ricorderà come alla Parigi Nizza di due stagioni fa in salita fu staccato, ok, da Pogačar, ma anche da Gaudu.
Alla Tirreno-Adriatico, lo stesso giorno, medesimo scenario: pioggia per tutta la tappa. Cadute (coinvolto anche Milan) e finale con sprint di un gruppo non troppo numeroso e vittoria, bellissima, di Andrea Vendrame. Forse lo scrissi già, ma ho sempre avuto un debole per il corridore veneto, che ha avuto un passato turbolento caratterizzato da un grave incidente in allenamento da Under 23 che rischiò di fargli chiudere lì la carriera e poteva avere anche conseguenze peggiori. Di quell'incidente restano ancora i segni sul volto. Il debole per lui deriva soprattutto per quel capolavoro realizzato nel 2019 quando, in maglia Androni, vinse una delle corse più belle del calendario: il Tro-Bro Léon.
Come una bistecca
Lo chiamano, in maniera concisa, "Tadej Pogačar", forse perché “Campione del mondo, capace di conquistare quasi ogni corsa a cui si presenta e pure la terza Strade Bianche - raggiunto Cancellara - anche quando inizialmente non riesce a staccare tutti i suoi avversari, sbaglia in malo modo una curva, cade e si fa male e arriva al traguardo insanguinato, ma vincente” sembrava troppo lungo.
Nella collezione delle sue vittorie ne mancava una in cui all’arrivo pareva la bistecca tanto desiderata da Vincent Vega in Pulp Fiction: grondante sangue. Nelle foto della Strade Bianche abbiamo visto gente arrivare con facce da golem, altri come mummie risvegliate da un sonno millenario, altri ancora buttarsi per terra stremata dalla fatica, ancora un po’ serviva qualche macchinario per fargli riprendere fiato, oppure chi ancora lo abbiamo visto tagliare il traguardo dopo aver saltato un pezzo di percorso ed essere ugualmente inseriti erroneamente nell’ordine d’arrivo. Ma non abbiamo mai visto vincere qualcuno conciato in questa maniera, almeno non qui a Siena.
Si va a prendere pure questo primato Pogačar, che a 26 anni infila l’ennesima grande vittoria della sua carriera, questa, per certi versi, la più scontata alla vigilia, per quello che è successo in corsa intorno alle tre e venticinque di oggi pomeriggio, con un effetto sorpresa che a tratti ha smarrito spettatori, tifosi, membri del suo team. Forse per qualche attimo anche lui e gli avversari.
Quando ha ripreso Pidcock - o meglio Pidcock, grande corsa la sua, lo ha aspettato - abbiamo provato ad analizzare al dettaglio ogni piccola smorfia del suo volto, abbiamo fatto la conta dei tagli sulla spalla, sulle mani, sulle gambe come fossimo novelli studenti di anatomia. Abbiamo vissuto un paradosso: pensavamo che così ammaccato non ce l’avrebbe fatta e invece, un’ora più tardi della caduta, ha tagliato il traguardo di Piazza del Campo a Siena festeggiando con i tifosi.
Quei tifosi che ancora oggi si dividono: c’è chi si esalta, chi è stufo, chi vorrebbe vedere qualcuno in grado di contrastarlo, ma come abbiamo già detto altre volte, lui appartiene a un altro mondo, a quello dei più grandi di sempre. Ed è questo che oggi importa. Scambiamoci un saluto in segno di pace e rendiamo grazie a questo qui capace di arrivare sorridendo e vincere anche quando è conciato come una bistecca.
10 nomi da seguire alla Strade Bianche
Alla Strade Bianche 2025 Tadej Pogačar avrà pochi avversari. Ha vinto due delle ultime tre edizioni con un totale di centotrentuno chilometri di fuga, con una settantina farebbe cifra tonda o poco più, con ottanta avrebbe passato in fuga interamente almeno una delle tre Strade Bianche vinte (sì, ok, la terza deve ancora vincerla...) come puntualizza un lettore nel nostro gruppo Telegram.
Pochi avversari, nessun alter ego. Uno può essere proprio lo stesso Pogačar, ma non riesco a pensare come possa andare contro se stesso, non ha mai dato segni di scompenso in tal senso. L’altro avversario, più plausibile, in uno sport dove “può accadere di tutto”, al massimo sarebbe legato a qualche fattore esterno come una caduta, una foratura in un momento chiave, per il resto è difficile immaginare lo sloveno sconfitto in una corsa perfetta per lui sotto ogni punto di vista.
RCS l’ha indurita lo scorso anno, venendo ancora di più incontro alle caratteristiche del campione del mondo in carica e per il 2025 ha aggiunto altri (quasi) 10 km in più di sterrato, anche se, giova ricordare come, andando verso l’arrivo, le "strade bianche" diminuiscano nettamente rispetto alla parte centrale in cui sono assolute protagoniste.

Gli avversari più credibili non ci sono: van der Poel, scelta tecnico-tattica direbbe un Fabio Capello d'annata, consapevole forse di andare incontro a una sconfitta, pensa ad altri traguardi e, assente della penultima ora, Van Gils, uno dei più accreditati outsider. Gli altri correranno per il secondo posto, lo hanno già, più o meno, affermato. Lo scenario più credibile è l’attesa di un Pogi-show, come e quando vorrà lui e dietro rimescolamenti, caos, magari organizzato, gara al ciapa no dove, via via, usciranno alla distanza i corridori più tagliati per fondo- corsa molto esigente con un finale verso Siena che spacca le gambe - forma, capacità di tenere ai continui su e giù, sia in sterrato che non. Sempre che qualcuno non sia preso dalla voglia di provarci veramente (anticipando, inventandosi qualcosa, magari anche seguire Pogačar con il rischio di saltare per aria e buttare via un buon piazzamento) e non partire battuto, come ha, piuttosto banalmente, ricordato Michael Albasini, uno dei DS della Q36.5, la squadra di Tom Pidcock: «Pogačar è il più forte ed è il favorito, ma se parti sconfitto di testa, lui sarà ancora più imbattibile».
I nomi che possono concorrere al podio sono diversi: da Scaroni a Pidcock, fino a Van Eetvelt, passando per corridori più esperti come Kwiatkowski, Bilbao, Skuijns, Wellens ad altri più giovani come Vacek, Grégoire, Adria e Simmons, o magari Hirschi, Madouas, Mohorič, Valter o Healy dovessero salire di colpi rispetto alle prime uscite stagionali.
Le sorprese, però, verso Piazza del Campo, potrebbero non mancare come succede spesso. Ed è proprio su questo che voglio basare i dieci nomi da seguire alla Strade Bianche 2025. Quei corridori meno attesi, meno gettonati, magari più lontani dai riflettori (anche se non tutti lo sono tra quelli che seguiranno) e che potrebbero riuscire a ottenere un piazzamento importante al termine di una corsa che, comunque vada, si attende dura, selettiva, di quelle che rimarrà nelle gambe per diversi giorni. Speriamo anche nella mente degli appassionati, anche se ultimamente, quando Pogačar è in gara, la lotta per la vittoria resta annacquata e si divide tra chi gioisce nel vedere e nel vivere un campione che sta scrivendo la storia di questo sport affiancandosi ai più grandi di sempre e chi invece di tutto ciò è un po' stufo.
Ben Tulett 🇬🇧 (2001) - Visma Lease a Bike
Il britannico della Visma Lease a Bike sembrerebbe aver finalmente, dopo stagioni complicate coincise con l’addio all’Alpecin, trovato la retta via e per caratteristiche - guida, esplosività, resistenza - è corridore perfetto in un percorso come la Strade Bianche. Fratellino di Pidcock se ce n’è uno (in realtà ce ne sono due, vedremo a breve).
Filippo Zana 🇮🇹 (1999) - Team Jayco AlUla
Insieme a Scaroni è la carta migliore che abbiamo in casa Italia seppure da segnalare le presenze di Formolo - che qui è sempre andato forte, ma non sembra stare benissimo in questo avvio di stagione - Bettiol, Busatto e De Pretto. Adatto a percorsi mossi e a terreni come quelli della Strade Bianche, Zana ha dichiarato di voler migliorare il 9° posto dello scorso anno. Interessante accadesse perché sarebbe un altra conferma della sua crescita come corridore.
Clément Berthet 🇫🇷 (1997) - Decathlon AG2R
Ci sono più francesi da seguire, ormai è una costante, forse il nome più lontano dai radar è quello di Clement Berthet. Ex biker, tiene bene in salita, corre in una delle squadre più forti del gruppo, può ambire a una top ten facendo gara regolare. Certo, in casa Decathlon si parte in tanti con simili ambizioni: Prodhomme, Tronchon e Labrosse sono tutti nomi che possono chiudere nelle prime 20 posizioni, magari qualcuno di loro anche qualcosa meglio.
Joe Blackmore 🇬🇧 (2003) - IPT
Altro fratellino di Pidcock è Joe Blackmore. Anche lui con un passato nel fuoristrada e per caratteristiche, esplosivo, tiene bene in salite più o meno lunghe, sarà un corridore da tenere d’occhio. È all’esordio assoluto sugli sterrati delle Strade Bianche, ma questo non dovrebbe frenare le sue ambizioni che sono alte e può anche puntare a essere una delle sorprese di giornata.
Alan Hatherly 🇿🇦 (1996) -Team Jayco AlUla
Sarà tutta una scoperta per lui e per la squadra. Nelle sue prime sparate stagionali su strada - AlUla Tour - ha già chiuso davanti a tanti bei corridori. Vero, domani verso Piazza del Campo si troverà a dover gestire un contesto completamente differente e probabilmente sarà chiamato a dare una mano alla squadra, però, se nel caos degli sterrati dovessimo vederlo uscire nelle prime venti, venticinque posizioni non saremmo stupiti. Il dubbio, piuttosto, è sulla distanza, anche se i suoi giurano che diventerà forte anche lì.
Carlos Canal 🇪🇸 (2001) - Movistar
Uno che potrebbe diventare specialista di questa corsa: Carlos Canal, anche se bisogna ammettere come il galiziano forse avrebbe preferito la vecchia versione di Strade Bianche, quella più vicina ai puncheur che agli scalatori. Anche lui, però, con background da crossista e buone doti di fondo, ne può recuperare tanti strada facendo e provare a raggiungere un’ambiziosa top ten
Kévin Vauquelin 🇫🇷 (2001) - Arkéa B&B Hotels
Occhio a Vauquelin che lo scorso anno chiuse a ridosso dei primi 20 all’esordio in questa corsa e che è l’esempio più fulgido a livello mondiale di corridore che migliora di corsa in corsa. A suo agio su certi percorsi, potrebbe pure anticipare e poi tentare di resistere in ottica piazzamento nei primi 10. Alla sua portata.
Louis Barrè 🇫🇷 (2000) - Intermarché Wanty
Tra i corridori più continui di questo inizio di stagione c'è Louis Barrè, corridore completo, capace di andare forte su percorsi vallonati o sulle pietre, di tenere discretamente bene su salite brevi e dotato anche di un discreto spunto. Forse, come tutti quei corridori buoni ovunque, ma forti veramente da nessuna parte, rischia di vincere poco in carriera, ma ciò che importa è che domani alla Strade Bianche possa continuare a mantenere il filotto di risultati in stagione dove non è mai andato peggio che 17°. Da valutare la tenuta: in corse molto lunghe finora non ha mai ottenuto grandi risultati.
Albert Withen Philipsen 🇩🇰 (2006) - Lidl Trek
Menzione d’onore per il più giovane al via che non domani, certo, ma in futuro, sì, potrà tornare su queste strade per vincere. Il danese farà esperienza, aiuterà la squadra e qualsiasi risultato verrà sarà positivo. Tanto il futuro è suo.
Tobias Halland Johannessen 🇳🇴 (1999) - Uno X Mobility
La Uno X è squadra che passa sotto traccia nei pronostici, ma riesce spesso a sorprendere con piazzamenti o persino vittorie anche in corse che contano: l’ultimo esempio è Wærenskjold alla Omloop Niewsublad di settimana scorsa. Potrà essere la giornata di Tobias Halland Johannessen? Chissà. Il più forte dei due gemelli norvegesi sarebbe tagliato perfettamente per un percorso di questo genere avendo anche lui un passato nel ciclocross ed essendo amante di percorsi impegnativi come quello che si presenterà ai corridori nelle prossime ore. Ce lo aspettiamo in fuga mentre magari Cort Nielsen, apparso in grande condizione in questo inizio di stagione, potrà nascondersi nelle pieghe e provare a fare risultato pescando avversari a strascico. Uno dei due nordici in top ten potrebbero essere una scommessa interessante.
Dispacci dal World Tour #6
Tanto tuonò che alla fine non piovve, ma nemmeno una goccia, sia in senso figurato che letterale. Fine settimana asciutto, seppure fresco, in Belgio e che lascia un sapore amarognolo in bocca, senza nulla togliere ai due vincitori di Omloop Nieuwsblad e Kuurne Brussel Kuurne, due signori vincitori: Søren Wærenskjold e Jasper Philipsen. Fine settimana un po’ sotto tono, non era quello che ci aspettavamo, ma spunti ce ne sono stati ugualmente.
Emerge Søren Wærenskjold in tutta la sua forza e (pre)potenza. Quando la sua squadra, la Uno X, alla Omloop, aveva iniziato a prendere in mano la situazione, cosa che fa spesso al Nord, avevamo sentito suonare nella testa il solito ritornello: “belli da vedere nella loro casacca giallorossa, ma ancora non pronti a competere per il successo e a volte fuori tempo. Poi, vuoi mettere con tutti quei nomi che ci sono davanti?”. E invece Søren Wærenskjold, classe 2000 norvegese con un passato importante in tutte le categorie giovanili, dove ha sempre lasciato il segno e un presente che fa il velocista adatto pure alle prove contro il tempo, vince. 14° successo in carriera tra i professionisti, mica male. Primo successo in una corsa in linea del WT. Per fare un confronto con altri talenti, più o meno coetanei, gente come Milan, Ayuso, Skjelmose corse di un giorno nel World Tour non ne ha mai vinte. Girmay, De Lie e Kooij sono a quota una, esattamente come il norvegese.
Cosa sta succedendo a Wout van Aert (e in generale alla Visma)?, squadra apparsa lontana parente di quella che negli ultimi anni ha spesso dominato al Nord, quando van der Poel e Pogačar lo hanno permesso? Succede che è tutta conseguenza di ciò che pare essere in questo momento il proprio leader, che ha poche gambe e poca testa. Wout van Aert ha passato la giornata tra Gent e Ninove a inseguire, a fare buchi, spesso sorpreso in coda al gruppo nelle (poche, per la verità) azioni che i migliori portavano avanti nel tentativo di sgranare o mandare via la fuga giusta. Matteo Jorgenson, al suo esordio stagionale, non è mai parso ispiratissimo, Tiesj Benoot si è incaricato del lavoro sporco, Per Strand Hagenes e Matthew Brennan sono giovani e arriveranno, ma non è questo il loro momento. Qualcuno potrà vedere il bicchiere mezzo pieno ribaltando la chiave di lettura: spesso gli anni scorsi si sono presentati in forma e dominanti all’inizio della Campagna del Nord salvo poi calare alla distanza - anche per via di cadute, malanni, eccetera. Il problema è che in questo week end mancavano Pogačar e van der Poel e queste sono le occasioni in cui non solo raccogliere - d'altra parte vince solo uno - ma anche mostrare qualcosa di buono. Quello che invece ha mostrato la Visma sono i segni di una squadra in difficoltà.
Non che Red Bull, UAE e Lidl abbiano fatto vedere chissà cosa, sia chiaro, ma siamo solo all'inizio. L’UAE Team Emirates pensava di fare la selezione, ha portato una squadra per giocarsela facendo la corsa dura, ma così non è stato: Tim Wellens c’ha messo più cuore che gambe, Jhonatan Narvaez non ha lo smalto di gennaio, ma lo recupererà, Nils Politt si è visto poco e niente, Antonio Morgado sbaglia ancora del tutto i tempi. A questa UAE serve Pogačar anche al Nord, va detto, manco stessimo parlando del campione del mondo e più forte corridore degli ultimi anni.
Oltre al sorprendente successo di Wærenskjold, da sottolineare la bellezza delle prove da parte di uno slovacco e di un ceco, di Lukáš Kubiš e di Mathias Vacek. Il primo è un classe 2000 che se ne esce con un 6° e un 9° posto dal week end in terra belga. Erano le sue prime corse World Tour in carriera e le ha affrontate con la squadra cenerentola del gruppo, la Unibet Tietema Rockets, squadra che conferma ancora una volta la bontà del lavoro di scoperta e reclutamento. Kubiš, facilmente distinguibile per la maglia di campione slovacco, oltre a piazzarsi bene e con disinvoltura in volata è stato sempre tra i migliori sui muri ed era entrato anche nell’azione con (quasi) tutti i migliori che alla Omloop Nieuwsblad pareva potesse andare al traguardo. A proposito di migliore sui muri: Mathias Vacek. Il corridore ceco della Lidl Trek è sicuramente la nota più positiva di un week end che ha visto le grandi squadre del gruppo (UAE, Red Bull, Visma e Lidl Trek) prendere qualche ceffone inaspettato e raccogliere molto meno del previsto - il secondo posto di Kooij è il miglior risultato e arriva alla Kuurne, mentre alla Omloop il miglior piazzamento è di van Aert: 11°. Vacek, tuttavia, è il corridore che desta la migliore impressione sui muri. Vediamo fra qualche settimana fin dove potrà arrivare il classe 2002, quando, con il rientro in corsa di Pogačar, van der Poel e Pedersen e la crescita degli altri avversari, il livello si alzerà.
Jasper Philipsen è un altro che quei muri li affronta davanti e in modo brillante e, visto l’esito delle due corse (3° e 1°), non sembra nemmeno aver perso lo smalto in volata. Ha fatto la gamba all’UAE dove invece aveva subito cocenti sconfitte da Merlier e Milan, prendendosi la rivincita nel momento migliore. A inizio stagione aveva detto come questa sarebbe stata una stagione fondamentale per capire quanto fosse cresciuto nelle corse di un giorno in Belgio. Per il momento tutto ok.
Vorrei parlare dell’Italia, ma c’è veramente poco da dire: Milan è il migliore della due giorni (6° alla KBK), Trentin è il solito, sempre presente nelle azioni salienti, Albanese desta una buona impressione su pietre e strappetti. Il resto è notte fonda, ma è un buio a cui, salvo eccezioni, ci stiamo ormai abituando.
Foto: Sprint Cycling Agency
Dieci nomi da seguire alla Omloop Het Nieuwsblad e alla Kuurne Brussel Kuurne
Inizia come un lampo. Arriva quel momento della stagione tanto atteso e che potremmo sintetizzare in quattro semplici parole da brivido: le corse del Nord. Arriva, con odore di fritto e rumore di brusche frenate, il fine settimana di apertura, ormai tradizionale. Dal Belgio: Omloop Het Nieuwsblad, sabato 1 marzo, e Kuurne Brussel Kuurne, domenica 2 marzo. Lo chiamano: "The Opening Weekend", per dargli un tono.
Abbiamo scelto per voi dieci nomi da seguire, cinque per corsa, cercando però valide alternative a quelli che saranno i favoriti e anche a gli outsider più quotati. Non sono per forza corridori che vedremo alla fine lottare per la vittoria, ma sicuramente profili interessanti per le due tipologia di gara.
OHN - Matthew Brennan 🇬🇧 (2005) - Visma Lease a Bike
Esordio al Nord per il britannico classe 2005, il più giovane in assoluto al via. Farlo con una squadra faro di queste corse, la Visma, vincitrice delle ultime tre edizioni, significa che nei Paesi Bassi credono tantissimo nel van Aert del nord dell’Inghilterra. Farà esperienza, ma occhio a porre limiti a un corridore così veloce e resistente.
OHN - Laurenz Rex 🇧🇪 (1999) - Intermarché-Wanty
La sua squadra non è partita fortissimo a eccezione di Barrè ed è, insieme all’Alpecin, l’ultima WT rimasta ancora a secco di vittorie. Mancherà Bini Girmay, capitano designato alla vigilia su queste strade, al momento in breve vacanza per la nascita del figlio e allora la responsabilità peserà sulle spalle - grosse - di Laurenz Rex numero due della squadra belga al Nord. Veloce, nome fuori dai radar. Outsider di qualità soprattutto in caso di piazzamento da dietro in uno sprint ristretto.
OHN - Dries Van Gestel 🇧🇪 (1994) - Soudal-Quick Step
Corridore solido, quasi granitico, dal piazzamento assicurato, ma che prova il salto di qualità anche nei risultati dopo averlo fatto nella sua carriera passando in estate da Total a Soudal, da una Professional al World Tour. Veloce, adatto a queste corse anche per il modo che ha di correre sempre davanti nelle fase cruciali, Van Gestel è uno dei corridori dai quali prova a ripartire una squadra un tempo riferimento al Nord, ora alla ricerca di certezze smarrite.
OHN - Fred Wright 🇬🇧 (1999) - Bahrain-Victorious
Anche se Fred Wright predilige probabilmente corse di maggiore durata, il fatto di essere partito forte in stagione deve far drizzare le antenne ai suoi avversari che marcheranno perlopiù Mohoric ed è per questo che il britannico potrebbe approfittarne. Anche Wright come altri citati qui è dotato di spunto veloce e quindi potrà nascondersi - anche se a lui non dispiace anticipare - per poi spuntare quando conta per un buon piazzamento finale.
OHN - Rick Pluimers 🇳🇱 (2000) - Tudor Pro Cycling Team
Tra i nomi scelti per la OHN quello di Pluimers è forse il meno conosciuto, ma anche l’unico che ha già alzato le braccia al cielo in stagione. L’olandese della Tudor, cresciuto nella Jumbo, è corridore che può andare forte sia sulle pietre che nelle classiche vallonate, ma con una costante: è veloce e scaltro. La Tudor quest’anno punta molto (anche) su di lui per la classiche del Nord. mica male se l’investimento te lo dà Cancellara.
KBK- Milan Fretin 🇧🇪 (2001) - Cofidis
Lo attendevamo tra le rivelazioni allo sprint di questa stagione e l’inizio è stato confortante. Ora per Milan Fretin il compito è provare a mantenere ciò che di buono sta dimostrando anche nelle semi classiche del Belgio che paiono curcite su misura su di lui. Alla KBK trova avversari di grande spicco, ma è questo il modo che si ha per crescere.
KBK- Marijn van den Berg 🇳🇱 (1999) - EF Education-EasyPost
A fari spenti il corridore olandese punta alle gare dell’Opening Week end non disdegnando eventualmente una corsa anche selettiva. EF non è partita col botto, ma lui è sempre davanti quando c’è da sgomitare, può piazzarsi in volata e sa restare a galla anche con un gruppo ristretto. Occhio a lui da qui in avanti.
KBK - Taco van der Hoorn 🇳🇱 (1993) - Intermarché-Wanty
Poche certezze in una corsa difficile da interpretare come la KBK, una di queste è che la presenza di Taco van der Hoorn significa una sola cosa: lo vedremo all’attacco. Vista la capacità di rendere concreti all’arrivo, spesso e volentieri, i suoi tentativi, un consiglio ai chi pedala e vuole evitare lo sprint: nel caso, seguitelo.
KBK - Jakob Söderqvist 🇸🇪 (2003) - Lidl-Trek
Non è il più giovane al via, ma è di certo uno dei meno esperti. Non sarà il favorito, né il capitano della sua squadra - c’è Milan - ma è di certo uno dei più in forma. Il profilo di Jakob Söderqvist è uno dei più interessanti da seguire da domenica agli anni che arriveranno al Nord perché potrebbe riscrivere la storia del ciclismo svedese rinverdendo i fasti di un certo Magnus Bäckstedt.
KBK - Rasmus Søjberg Pedersen 🇩🇰 (2002) - Decathlon AG2R-La Mondiale
Altro uomo del Nord giovane, non giovanissimo, ma da seguire con estremo interesse. Rasmus Pedersen non ha la potenza in pianura di Söderqvist, non ha l’esperienza del più illustre omonimo Mads, ma è corridore che sembra fatto appositamente per questo tipo di corse. Veloce, si muove bene in gruppo, tiene sugli strappi brevi, ma ripidi, negli anni sta maturando una certa esperienza di corse all’ultimo sangue in Francia. Corre in una delle squadre più in forma del gruppo e avrà anche una certa libertà nel fare la sua corsa.
Dispacci dal World Tour #5
La settimana del World Tour riparte dall’UAE Tour e dall’UAE Team Emirates, in particolar modo dal numero uno al mondo, Tadej Pogačar, numero uno di fatto, di maglia e a fine corsa: vince due tappe su due con arrivo in salita e conquista la classifica finale. Non si limiterà a controllare o vincere, ma stravincerà. Dà spettacolo anche quando calca la mano, forse un po’ troppo: attacca in pianura in una tappa a cui lui non avrebbe dovuto chiedere nulla perché nulla avrebbe dovuto ricevere in cambio. Una tappa piatta in mezzo al niente. Però, si sa, è fatto così: «avevo fatto una scommessa con Florian Vermeersch, mio compagno di squadra - ha raccontato al termine della quinta giornata, su sette, di gara - qualora avessi vinto la tappa lui si sarebbe tatuato il suo soprannome».
C’è una scena particolare che resta sempre da quel giorno ed è il momento in cui il gruppetto in fuga (dentro oltre a Pogačar e al solito mix italo-centroamericano formato da corridori di Vf Group Bardiani e Solution Tech, ci sono anche van Eetvelt e Langellotti, uomini di classifica, e Novak compagno di squadra dello sloveno campione del mondo) incrocia da una carreggiata all’altra il gruppo inseguitore e Novak saluta con gesto di scherno. Hybris o goliardia fate voi, in gruppo rispondono sottintendendo, platealmente, “ci vediamo dopo!”. Chissà come sarà andata nel dietro le quinte di quello show. Fatto sta che una volta ripresi il finale sarà un caos tra cadute prima e durante la volata e persino dopo il traguardo, con Merlier, vincitore, che si ribalta, inscenando un virtuoso treesessanta non riuscito del tutto, nel tentativo di evitare un cameraman, rischiando di farsi molto male, seriamente male.
Altro momento della corsa lo regala Jonathan Milan che vince due volate in modi totalmente differenti. La prima nella tappa d’apertura con arrivo in leggera salita, partendo da lontano, sfruttando i rilanci altrui e offrendo una progressione e una resistenza che ha visto finora pochi eguali in sprint di gruppo. Una delle sue volate più belle… fino a due giorni dopo, quando, sulla linea del traguardo, batte Tim Merlier e Jasper Philipsen. Prove generali di Tour de France, dove i tre più forti sprinter al mondo si ritroveranno a giocarsi l’ambito appellativo. Al momento non ci vergogniamo a sbilanciarci e sostenere che, forse, il corridore friulano ha qualcosa in più degli altri, a partire dai margini dati dall'età. La volata è stata un compendio di meraviglie dello sprint: Simone Consonni pilota Milan partendo come una pallottola e permettendo al suo compagno, anche di nazionale su pista, di iniziare il suo sprint in testa. Milan parte alla pari con Welsford: l’italiano vincerà, l'australiano chiuderà 17°, questo a simboleggiare lo strapotere milaniano. Bert Van Lerberghe trascina fuori Merlier dal pantano della venticinquesima, trentesima posizione, lasciandolo a ruota di Milan nel momento più opportuno, Jasper Philipsen si muove col solo Robbe Ghys in aiuto e i tre riusciranno a regalarci uno sprint ricco di classe, velocità, esplosività, potenza, magnetismo. Vero che gli sprint fanno paura, ma con quei tre sanno essere anche un grande divertimento.
Poi, certo, non vogliamo peccare di partigianeria e va detto come Merlier pareggi i conti a fine corsa sul 2-2, vincendo tappa 5 e tappa 6, inventandosi un’azione d’anticipo strepitosa tutta da rivedere, partendo dalla quindicesima posizione e vincendo per distacco, azione da lasciare a bocca aperta e che finisce dritta dritta nell'immaginario libro dei migliori ricordi della stagione che tutti pensiamo di compilare e completare quando siamo ancora a febbraio.
Due parole per uno che più giovanissimo non è ma che sembra aver maturato la giusta intenzione: Giulio Ciccone è nella dimensione di chi si può giocare le grandi corse e qui lo ha dimostrato, mostrando persino miglioramenti a cronometro. Peccato sia nell'epoca dei fenomeni, ma quando ne avrà l'occasione (ovvero le assenze di quelli lì) dovrà coglierla, magari al Giro.
E applausi finali per due corridori ancora acerbi: Ivan Romeo che cresce, ne abbiamo già parlato e visto che è giovane lo diciamo come direbbe la sua generazione: gasa. Chiude quarto la classifica generale conquistando la maglia di miglior giovane. Joshua Tarling che vince la cronometro, settima vittoria tra i professionisti, seconda nel World Tour per un ragazzo che ha compiuto 21 anni dieci giorni fa esatti. Tarling ha tenuto per diversi giorni la maglia bianca e ha provato anche a resistere in salita. Occhio a lui nelle classiche del Nord perché è completo e ha il profilo giusto.
Il ritorno di Alex Krieger
Oggi, 17 febbraio 2025, torna in corsa Alex Krieger, vittima, ormai nove mesi fa, di un gravissimo incidente al Giro d'Italia di cui si è parlato molto poco. Il pezzo che state per leggere è stato tradotto e adattato dalla nostra redazione e lo potete trovare in originale sul sito della Tudor Pro Cycling, la squadra in cui milita il corridore tedesco.
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"Una cosa che ho imparato è che nessuna emozione dura per sempre. È importante apprezzare i bei momenti della vita e lottare per averne di più, perché siamo noi gli artefici della nostra esistenza."
12 maggio 2024 - Giro d'Italia, tappa 9. Il gruppo si sta dirigendo verso il traguardo di Napoli quando un corridore della Tudor Pro Cycling cade violentemente è Alexander Krieger. Viene trasportato d'urgenza in ospedale e lì i medici diagnosticano fratture multiple alle costole e una frattura al bacino.
17 febbraio 2025 - UAE Tour. Nove mesi dopo la sua ultima gara, Alex è sulla linea di partenza, pronto a tornare nel gruppo.
Quei nove mesi si ripetono nella sua mente come un film: immagini nitide che si mostrano in tutta la loro tensione.
Dalle quattro notti in un ospedale di Napoli alle altre due settimane in Germania, Alex ricorda il dolore e un momento decisivo: l'operazione al bacino. Un punto di svolta, la chiave che ha portato alla guarigione e alla possibilità di avere ancora una carriera in bicicletta. Prima le stampelle a sostenerlo per 6 settimane, poi un respiro di sollievo quando ha potuto iniziare il suo programma di riabilitazione, principalmente confinato a casa a causa della difficoltà di movimento.
Alex ricorda quel periodo: «L'inizio è stato davvero duro. Provavo un dolore enorme. Ma ora, quando ci ripenso, è una sensazione... quasi bella. Perché so che bello è stato il finale». Tra tutti gli infortuni della sua carriera, questo rivaleggiava con il trauma subito dopo un incidente d'auto del 2020. Ma questa volta il danno è stato ancora peggiore, fisicamente ed emotivamente. «Sei o sette settimane dopo l'incidente, avremmo potuto accelerare la mia guarigione, ma insieme alla squadra abbiamo deciso che non avrei più corso nella stagione. Non c'era bisogno di correre rischi inutili per il mio futuro. Guardando indietro, è stata la scelta giusta. Ci si aspettavano delle battute d'arresto, ma alla fine non sono mai arrivate».
Quella decisione è stata fondamentale, un sollievo per Alex. Il team lo ha supportato e i medici dell'ospedale hanno fatto la differenza. I legami che ha costruito durante la convalescenza sono continuati anche dopo aver lasciato l'ospedale.
Il suo primo ritorno in bici è stato quasi traumatico, è durato circa un quarto d'ora ed avvenuto il 18 luglio: «Passati otto minuti non avevo idea di come sarei tornato a casa».
Sebbene abbia trascorso l'intera estate a casa, cosa insolita per un ciclista professionista, non si è mai annoiato: «Inizialmente è stato fondamentale come gli amici si siano presi cura di me. Poi quando ho iniziato a camminare e muovermi un po' di più, ho iniziato a intraprendere una vita sorprendentemente normale, forse persino migliore del normale. Andavo a nuotare al lago, cenavo con gli amici, organizzavo serate di barbecue e ping-pong, andavo in giro con la Vespa. Ho amato questa parte della mia esistenza».
Oltre a questi momenti personali, Alex ha anche trovato nuovi modi per restare in contatto con il Team. A luglio, ha visitato il campo di allenamento in quota del Team per un paio di giorni a Kühtai, in Austria. Al Tour of Germany, ha visitato la sede centrale della SRAM e ha pedalato per supportare i suoi compagni di squadra. La sua prima vera e propria corsa è stata alla Granfondo Vaduz, parte della serie Chasing Cancellara, dove ha guidato uno dei gruppi insieme al suo migliore amico. Al campionato mondiale UCI a Zurigo, ha trascorso la settimana con la divisione marketing del Team, ospitando una corsa BMC e interagendo con sponsor e ospiti.
La sua curiosità per le persone, il suo desiderio di entrare in contatto, non facevano che rafforzarsi. Voleva restituire qualcosa. Ecco perché, ad agosto, Alex ha assunto un nuovo ruolo: è stato direttore sportivo per il team Devo nei criterium in Germania e Svizzera: «Quando ero in ospedale, ho avuto molto tempo per pensare e un'idea mi è rimasta impressa: colmare il divario tra i team Pro e Devo. Ho spiegato la mia visione a Raphi (Meyer) e Boris (Zimine), ed entrambi erano d'accordo. Volevo aprire gli orizzonti dei ciclisti più giovani e, poiché Boris era desideroso di migliorare i leadout, i criterium erano il campo di allenamento perfetto. Ogni 10 chilometri, uno sprint e così un altro modo e un'altra possibilità per perfezionare le tattiche».
Racconta ancora Alex: «Al di là della performance, questa esperienza è stata fondamentale per stabilire una rapporto, una connessione. Abbiamo trascorso del tempo insieme, condiviso storie, imparato gli uni dagli altri. Spero che un giorno ripenseranno a quella settimana e la considereranno un'esperienza preziosa. Personalmente, lo spero: mi ha insegnato molto. Ho gestito la logistica, la strategia, la preparazione e la distribuzione delle borracce».
In procinto di tornare alle corse, Alex confessa: «Non vedol'ora. Sono teso, ma è una tensione positiva. La prima gara della stagione è sempre speciale, ma questa volta significa ancora di più. Non sono ancora al massimo della forma, ma sono sicuramente abbastanza forte da fare il mio lavoro per la squadra. Onestamente, metterò più pressione su me stesso che sulla squadra. Ho un ruolo chiaro da svolgere. Mi integrerò in un nuovo treno di testa (per Arvid De Kleijn), quindi il mio compito è duplice: imparare il loro processo e portare la mia esperienza. Idealmente, ne trarremo tutti beneficio l'uno dall'altro. Oltre a ciò, cercherò di supportare Michael (Storer) per le tappe di montagna. Ma soprattutto, non dimenticherò di divertirmi. Sono stato ambizioso in questi mesi. Ora, spero solo di riuscire a gestire la pressione come facevo prima».
Dispacci dal World Tour #4
Ancora niente World Tour, ma, nella settimana in cui è passato San Valentino, siamo qui a parlare di amore: Egan Bernal e Ivan Romeo, c'è pure assonanza.
Egan Bernal tornato alla vittoria è un fatto tutt'altro che banale ed è quello che ci interessa. Quando taglia il traguardo nella prova in linea del campionate nazionale colombiano si lascia andare e mima con le mani, gesticolando, il cuore. Forse dedicato a qualcuno oppure gli sarà venuto fuori così, in un impeto d'amore e passione; forse non importa perché a volte ci sono delle vittorie che hanno un sapore diverso a seconda di chi le ottiene e da come arrivano.
A Egan Bernal abbiamo imparato a volere bene, da subito. Abbiamo studiato il suo passato, da dove arriva. La sua storia la conosciamo e l'abbiamo raccontata in diverse salse. Lo abbiamo tifato, al Giro d'Italia del 2021, quando vinse, senza stravincere, perché già quella volta subentrarono gli scricchiolii alla schiena che ne hanno condizionato una buona parte di carriera. Abbiamo tutti negli occhi l'immagine di Daniel Felipe Martinez che lo sprona in un momento di difficoltà, sembrò affondare e invece restò a galla. Quel Giro d'Italia fu la sua ultima vittoria per anni. Bernal che, quando iniziò a farsi vedere nel 2018 sembrava destinato a dominare, ma il futuro non è mai una pagina scritta ben chiara. A volte quell'inchiostro è come uno scherzo che tende a consumarsi, a scomparire.
Nessuno avrebbe mai immaginato le pieghe che avrebbe preso la sua vita, quell'incidente nel gennaio del 2022 che poteva cancellarlo via per sempre e poi rischiò di spezzarne la carriera. Si è rimesso e tempo ce ne ha messo per ritornare ad alzare le braccia al cielo. Parafrasando Orwell, ci sono vittorie e vittorie e questa è più vittoria di altre - ci sia perdonata la formuletta semplice semplice.
E siccome si parla d'amore non potevamo che omaggiare il suo ritorno al successo 1347 giorni dopo quella volta al Giro d'Italia. Ha conquistato il titolo nazionale a cronometro, vincendo poi, due giorni dopo, anche la prova in linea, su un tracciato impegnativo, come sono sempre impegnativi i tracciati che si trovano in Colombia, 237 km che non davano scampo. Se n'è andato nel finale con Diego Camargo - dopo un grande lavoro dell'amico e compagno di squadra Rivera. Ha staccato Camargo e ha vinto, ha mostrato il cuore, ci ha fatto gioire, e all'improvviso, così pare, lo vedremo al Giro. La scelta è quella giusta, non per nostro egoismo, ma per Bernal: tornare competitivo e mostrarlo al Giro è un conto, andare al macello al Tour è un altro.
Lo ritroveremo dalle prossime gare riconoscibilissimo con la maglia di campione colombiano: un regalo che si è fatto, che ci ha fatto, che ha fatto alla sua famiglia, a Ronald, suo fratello, che lo ha applaudito commosso sotto il palco. Come accadeva 6 anni fa al Tour. Lo rivedremo alla Strade Bianche dove ci fece ammattire nel 2021 in quella che fu una fuga con tutto il meglio del ciclismo e che a vederla oggi sembra il prologo di ciò che sarebbe avvenuto gli anni dopo, quasi un manifesto o un teorema.
Sarà presente nelle prossime settimane alla Tirreno-Adriatico: si testerà sui 9.9 km della cronometro. Come ha raccontato di recente il suo allenatore, il suo rendimento in una prova contro il tempo e con atleti di alto livello sarà il termometro di come sta veramente Bernal. Lì non si potrà mentire.
Abbiamo accennato che, in una puntata in cui si parla d'amore, non potevamo esimerci dal nominare Ivan Romeo. Il campione del mondo tra gli Under 23, vincitore anche di una bella tappa al Tour de l'Avenir, oltre al nome che richiama romantiche tradizioni, è uno spilungone che va forte ovunque e comunque come successo di recente in una tappa della Volta Comunitat Valenciana. Di solito gli piace andare all'attacco scrollandosi di dosso la compagnia altrui. Più che un egoista è un solitario, uno che probabilmente farebbe il guardiano del faro, vivessimo in un'altra epoca. Ama la fuga, ama la montagna, ama la cronometro, ama le azioni da lontano, ma anche quelle in prossimità del traguardo: gli basta sentire un ronzio nella testa e un prurito nelle cosce e se ci aggiungi un cavalcavia lui parte e va. Noi lo amiamo già. Anzi li amiamo. Forza Romeo, forza Bernal.
Dispacci dal World Tour #3
Prima di ripartire dal medio oriente (dal 17 febbraio con l'UAE Tour, quel giorno farà anche l'esordio stagionale Pogačar) il World Tour scrive l'ultimo capitolo del racconto australiano della stagione 2025, una lunga premessa ai discorsi che si svilupperanno lungo l'arco della stagione. Gli spunti sono rimasti soltanto abbozzati, ciò che abbiamo visto al Tour Down Under non è stato rivelatorio per la Cadel Evans Great Ocean Road Race (le corse cambiano nome, molto spesso e in realtà non ho capito se si chiama ufficialmente ancora così, ma credo possa andare bene lo stesso), che piaccia o no, la prima corsa di un giorno del massimo calendario mondiale del ciclismo maschile. In una giornata caldissima e selettiva ne esce fuori Mauro Schmid avvezzo alle montagne russe in fatto di continuità, che si lasciò male qualche stagione fa con la Quick Step entrando anche lui nel lungo elenco di corridori svergognati da Lefevere a mezzo stampa nei tanti anni in cui l'ex Team Manager belga, andato in pensione quest'anno, ha usato i microfoni nel tentativo da una parte di stimolare, dall'altra di screditare il lavoro dei suoi corridori.
Fatto sta che Schmid è un mastino, gli manca la continuità, ma nonostante tutto si sta costruendo una bella carriera, considerando la giovane età (25 anni) e i diversi periodi persi tra infortuni, lo scorso anno, separazioni improvvise (per l'appunto con la Quick Step) o momenti complicati (vedi la chiusura della Qhubeka nel 2021). Ha vinto una tappa al Giro, primo successo in carriera da professionista, una vittoria tutt'altro che semplice a dimostrazione della sua duttilità: sua la tappa degli sterrati di Montalcino, dominando in uno sprint a due Covi, dopo una lunga fuga. Ha vinto tre brevi corse a tappe: nel 2022 il Giro del Belgio, nel 2023 la Coppi & Bartali, nel 2024 il Giro di Slovacchia. Va forte a cronometro, si difende nelle salite brevi, è veloce, si esalta con condizioni di meteo complicate. Corridore trasversale, che dove lo metti sta, alla costante ricerca di quel risultato che lo possa proiettare ai vertici assoluti.
Sono state difficile le condizioni con cui è andato a vincere alla Cadel Evans Road Race, prima corsa di un giorno vinta a parte il campionato svizzero lo scorso anno: avverse per il grande caldo che lui non teme e difatti è emerso, grazie anche all'aiuto di una squadra che, perso Plapp (ne avrà per un po' causa operazione a un polso), ha puntato tutto su di lui che ha potuto contare sull'aiuto di Harper e Durbridge, ancora una volta tra i migliori gregari al mondo. E puntare su Schmid alla fine è valso un successo "in casa" importante, dopo un Tour Down Under più complicato del previsto per la squadra di matrice australiana al momento sponsorizzata da un distretto saudita che vuole promuovere il turismo in quella zona. Schmid, sfruttando anche l'immenso lavoro di Harper, anticipa, infila e precede un gruppetto molto ben assortito che nell'ordine gli finisce dietro così: Aaron Gate, Laurence Pithie, Javier Romo, Andrea Bagioli, Corbin Strong, Magnus Sheffield, Remy Rochas, Oscar Onley.
C'entra solo in parte con il World Tour, ma spendo due parole sul ritiro dall'attività agonistica di Karel Vacek, avvenuto nei giorni in cui suo fratello Mathias continua a progredire in maglia Lidl Trek facendo presagire sempre di più un futuro da grandissimo corridore, sia come uomo squadra che come capitano su diversi terreni (in particolare le gare di un giorno). Karel Vacek annuncia il ritiro e da un punto di vista strettamente agonistico o riflessioni riguardanti i risultati ottenuti ne lascia pochi, da professionista un solo momento brillante, tra l'altro venuto fuori in una delle più brutte tappe della storia del Giro d'Italia, ovvero quella del Gran Sasso nel 2023 quando il gruppo dei migliori quasi scioperò lasciando alla fuga la possibilità di giocarsi il successo. Lui arrivò secondo battuto da Davide Bais.
Karel Vacek condivide con pochi altri un singolare primato, ovvero quello dell'aver relegato Remco Evenepoel al secondo posto in una corsa del 2018. Anzi lui ha fatto meglio perché c’è riuscito due volte, come nessun altro e all'epoca prometteva di diventare un buonissimo corridore - non di certo un talento generazionale, sia chiaro. Questo, anche per farci capire come le cose possono cambiare quando si va forti nelle categorie giovanili: non sempre si riescono a mantenere le promesse e l'elenco è infinito anche a partire da i nomi che arriveranno a breve.
Vacek vinse davanti a Evenepoel la quinta tappa della Course de la Paix Juniors un arrivo in salita in cui relegò allo sprint, oltre a Evenepoel, Tiberi, il norvegese Aasheim e Samuele Rubino. Anche questi ultimi due non hanno avuto poi molta fortuna nel ciclismo finendo uno per ritrarsi nel 2021 e l'altro al termine della scorsa stagione. Vacek di nuovo finì davanti a Remco poche settimane dopo nella crono del Lunigiana.
Gli altri corridori con cui condivide questa statistica il buon Karel Vacek: Luca de Meester (ovvero Luca il Maestro), era il Trofeo Serge Baguet di Sint Maria Lierde. Dopo essere stato all'attacco tutto il giorno, de Meester vinse lo sprint a tre contro Remco e Vandenabeele. Oggi de Meester corre con la Wagner Bazin e insegue il primo successo tra i professionisti.
Joe Laverick nel prologo della Ster van Zuid-Limburg, stesso tempo di Remco, vinse per una questione di centesimi. Oggi Laverick, che è stata una buona promessa del ciclismo britannico e internazionale, fa il giornalista.
Søren Wærenskjold, di nuovo a cronometro, e di nuovo per un'incollatura, stavolta non sono centesimi ma un secondo: il norvegese, che tutti conosciamo perché va forte sia come velocista, che come specialista delle crono brevi e come pesce pilota, lo superò nella seconda tappa del Trophée Morbihan - Remco poi vinse la classifica finale davanti ad Andrea Piccolo.
Bini Girmay alla Aubel Stavelot Juniors superò Evenepoel allo sprint dopo che i due avevano anticipato il gruppo partendo lontani dal traguardo. Evenepoel quel giorno indossava la maglia da campione europeo ed era grande favorito, Girmay era ancora uno sconosciuto che correva con la maglia del Centre Mondial du Cyclisme. Bini è stato anche il primo classe 2000 a imporsi in una gara tra i professionisti (23 gennaio 2019) anticipando di qualche mese proprio Evenepoel.
Infine Fredrik Thomsen, danese, il quale, sempre alla Aubel Stavelot Juniors, si prese il lusso di battere Evenepoel in uno sprint a due dopo una tappa dura e ricca di salitelle che decise la classifica finale, vinta da Evenepoel. La carriera del danese durò poco: dopo qualche apparizione tra i dilettanti, esclusivamente in corse di casa sua, si ritira nel 2023.
Odissea con finale felice
Mattia Agostinacchio è del 2007, ha diciassette anni, è valdostano e diciotto anni li deve ancora compiere. Quando diventerà maggiorenne sarà l'alba di una nuova stagione.
Mattia Agostinacchio è il nuovo campione del Mondo di ciclocross, categoria juniores, e il suo successo fa seguito al successo ottenuto da Stefano Viezzi nel 2024 a Tabor. Accade così: quella che sembrava un'eccezione data dal talento, è invece una rivoluzione portata dal lavoro svolto in questi anni dai tecnici, che stanno riuscendo a modellare quel talento (che già c'era) rendendogli finalmente giustizia e portandolo in cima al mondo.
Dal 1979 al 2023 l'Italia contava un solo titolo mondiale nella categoria, Davide Malacarne, poi buon crossista e stradista - i più attenti, oppure quelli che iniziano ad avere i primi anni che pesano sulle caviglie e sulle anche quando si alzano il lunedì mattina e magari sabato sera sono andati a ballare drum n bass, se lo ricordano come buon professionista su strada in maglia Quick Step, seppure mai sbocciato. Oltre al suo titolo, il bronzo di Bertotti nel 1989, a cui si appaia quello di Filippo Grigolini giorni fa in Francia per una doppietta sul podio che ha avuto un paio di precedenti, ma da scovare nel tempo passato ed entrambi tra gli élite: Longo e Severini nel 1959 a Ginevra, primo e terzo, Pontoni e Bramati nel 1996 a Montreuil, secondo e terzo.
Nelle ultime stagioni sembra cambiato l'universo ciclistico delle due ruote o meglio, pare cambiata la posizione del pianeta Italia all'interno del sistema. La Nazionale guidata da Pontoni chiude il medagliere (attenzione, chiaramente, alle letture che gli si danno perché tutto va contestualizzato anche le medaglie e il loro peso) a ridosso delle super potenze portando avanti un percorso di crescita che, vedremo quali scelte verranno fatte in futuro, potrà poi portare Viezzi, Agostinacchio, ma non solo, a poter competere con i migliori anche nella categoria élite. Una scuola, quella italiana, che dimostra entusiasmo e freschezza, ma soprattutto la ritrovata capacità di promuovere ad alto livello i propri atleti, capaci, poi, una volta trasferitisi all'estero - guardate Casasola - di far parte del meglio che c'è al mondo in una specialità dominata da due nazioni, con qualche sporadico inserimento.
E così che avvengono le rivoluzioni: ci sono piccoli episodi, ma grandi conquiste; sono quelle di Stefano Viezzi, prima e Mattia Agostinacchio, poi. Stefano Viezzi, campione del mondo jr 2024, è passato all'Alpecin, ovvero il meglio in circolazione, per continuare a crescere. Ha fatto la scelta migliore possibile, visti i mezzi e la competenza del sodalizio guidato da Roodhooft. In stagione ha rincorso la condizione a causa di una brutta caduta su strada a inizio 2024 e altri piccoli intoppi, ma è cresciuto man mano e al suo primo anno tra gli Under 23 nel ciclocross, anzi, nei suoi primi mesi - seppure con il grosso limite della partenza, sistemata quella sistemerà il mondo - ha finito per sfiorare il podio anche in una gara di alto livello come quella del Mondiale Under 23 vinta da Del Grosso. Guardiamoci negli occhi, parliamoci chiaro, prima di alzare i calici per un brindisi: la fuoriuscita di un talento di questo genere, quello di Stefano Viezzi, sembrava un'eccezione, sembrava una di quelle cose che accadono, perché devono accadere, ma quanto ci sbagliavamo. A meno che non siano due le eccezioni, con Mattia Agostinacchio, fratello minore di Filippo, anche lui ottimo corridore nel fuoristrada (cross e mountain bike) e che prova a misurarsi con un po' più di difficoltà sulla strada, ci rendiamo conto che qualcosa sta succedendo a livello di sistema, un viaggio che procede con fisiologiche difficoltà, ma che alla fine porta a conclusioni quasi insperate.
Ed è quel viaggio che Mattia Agostinacchio ha affrontato la mattina del 2 febbraio nella gelida Liévin: cadute, cambi di bici e misure sbagliate, difficoltà di adattamento, ancora caduta, una scarpa rotta, ma poi la rimonta. Una vittoria che è apparsa in discussione più volte e tutt'altro che scontata alla vigilia - e va detto, per dovere di cronaca e contesto, come l'annata 2007/2008 a oggi non sia la migliore possibile da un po' di tempo a questa parte, ma ci sarà tempo per farci rimangiare di nuovo la parola. «Dopo tutti i problemi avuti in gara, mentre rimontavo mi ripetevo: "ce la posso fare, ce la posso fare". E ce l'ho fatta, sono senza parole». Ha detto a fine corsa Agostinacchio. Sembra la storia dell'uomo che cade da una palazzina di 50 piani, ("fino a qui tutto bene"), ma stavolta l'atterraggio è stato morbido. Ora l'edificio da cui lanciarsi diventerà sempre più alto, più lussuoso, ma è da lì che si parte per migliorare e rendere ancora più entusiasmante l'avventura, il volo, il viaggio o l'odissea, chiamatela come volete.