Gli antichi mestieri

Padova è tutta nelle mani di Alfredo che intorno all'ora di pranzo impasta il pane su un tavolino di legno sporcato di farina, lui che è stato panettiere e oggi che è in pensione continua a provare piacere nell'infornare panini. Padova è tutta nelle sensazioni di Kalì che, in Prato della Valle, ha una bancarella con la frutta e mentre guardiamo al cesto delle albicocche avverte: «Vi spiego come fare a capire se la polpa è buona. Però ricordate: dovete sentire, non guardare». E inizia a maneggiare un'albicocca, come a modellarla. Padova è in una rosticceria in cui torna una ragazza dopo la scuola e il padre chiede come sia andata la giornata. «Tornavo qui anche io dopo le lezioni: lasciavo la bicicletta appoggiata ai vetri e uscivo nel cortile a giocare».
Padova che non si è mai scordata gli antichi mestieri e oggi, col ritorno del Giro del Veneto, si è ricordata di uno dei più antichi: il ciclismo. «Il treno su cui saltare in cerca di fortuna» diceva Gianni Mura e citava Zavattini e il suo «i poveri sono matti» aggiungendo «anche i ciclisti lo sono». Per esempio, è da folli partire in fuga dopo cinque giorni in cui non si è toccata la bicicletta e altrettanti di antibiotico, eppure Giacomo Garavaglia lo ha fatto. Come Kalì resta in piazza pure quando d’estate ci sono quaranta gradi anche se non vende nulla e Alfredo impasta il pane nonostante l'artrite. Assomiglia a loro Marco Marcato, di San Donà di Piave, che avrebbe voluto correre il Giro del Veneto, non ha potuto farlo a causa di ripetuti episodi di aritmie, l'anno prossimo si ritirerà, ma questo pomeriggio era lì, in ammiraglia con la UAE Team Emirates e non se lo sarebbe perso per nulla al mondo questo giorno.
Rovolon, Castelnuovo e poi Il Roccolo, dove tutti dicevano che la corsa si sarebbe accesa e dove la corsa si accende. Dove impazza Lutsenko che da ragazzino praticava karate, che non parla molto, come la gente degli antichi mestieri e soffre con dignità, in silenzio. Così in Prato della Valle ci siamo ricordati di quelle lacrime nascoste per i due gemelli che sua moglie aveva perso, per tutto quello che si sarebbe dovuto spiegare all'altra figlia che, già da bambina, doveva affrontare questa sofferenza. Certe cose non c'è mestiere che te le insegni, anche se nel tuo paese sei un eroe.
Gli antichi mestieri, invece, insegnano la concretezza. Non è un caso che a Prato della Valle vinca Xandro Meurisse che «non sa cosa sognare», che ha provato a dire di «non avere sogni», ma tira dritto e beffa Trentin che non ne ha più. Musicista, tastierista e batterista, Meurisse, perché anche la musica, in fondo, si fa con le mani e non lascia spazio a bugie. Non è un caso che in questa città si ritiri Fabio Sabatini, uomo di fiducia di Elia Viviani, lui che pilotava il treno dei velocisti. Quello stesso treno che serve per andare altrove e su cui saltavano i più poveri, i disperati.
Gli antichi mestieri, soprattutto, insegnano la genuinità dell'indignazione. Cruda come la fatica. Accanto a noi, all'arrivo c'è un ragazzo con addosso una maglia Trek-Segafredo. La Trek non è qui, ripensando a Trentin secondo, dietro Meurisse, quel ragazzo spiega: «Non è giusto, è sempre lì, merita di vincere». Sincero, sinceramente dispiaciuto, non perché non abbia vinto il suo beniamino o perché Meurisse non meriti la vittoria, ma perché avrebbe voluto un finale più giusto per la fatica e i tentativi. Lì vicino c'è Dainese con gli occhi lucidi, tradito dalla fatica di uno dei mestieri più antichi. Poco più in là, una voce grida «Forza, sei un ciclista». E solo questo, forse, spiega davvero tutto.


Evaldas Šiškevičius o del rimanere fedeli a se stessi

Evaldas Šiškevičius ne è sicuro: quando ti trovi bene in un posto, sei rispettato e hai la tua libertà, devi restituire qualche cosa. Una in particolare: la gratitudine. Per questo, nonostante le offerte ricevute negli anni da diverse squadre WorldTour, non se ne è mai andato dalla Pomme Marseille, diventata poi Delko Marseille, la sua squadra, quella di cui fa parte da tredici anni, anche se, come dice lui, non sembra essere passato tutto questo tempo.
Certamente sono cambiate molte cose: nel 2008 la Pomme Marseille era uno dei migliori team nel ranking delle squadre amatoriali, successivamente è diventata Continental e poi Professional. Il WorldTour, però, non è mai arrivato. Ma Evaldas continua a vedere il buono e dal modo in cui lo guarda lo fa sembrare ancora più buono. «Ora abbiamo uno staff specializzato, tutti i materiali e persino due bus. Soprattutto in ogni gara abbiamo un traguardo da raggiungere, sappiamo cosa fare e come farlo» ha raccontato a Procycling.
Perché a Marsiglia non manca nulla, in primis il fatto di sentirsi libero di interpretare il proprio lavoro come meglio crede, di essere un capitano sulla strada, uno di quelli che ci vede lungo ed è un esempio per tutti i compagni.
Tutti o quasi ricorderanno la Parigi-Roubaix in cui arrivò al velodromo André Pétrieux di Roubaix dopo le diciotto, fuori tempo massimo, con un velodromo già deserto ma soprattutto con quel cancello di accesso chiuso. Evaldas dovette mettersi a gridare perché gli aprissero. Qualcuno, alla fine, quel cancello lo aprì e lui riuscì a finire quello che aveva iniziato. Anche quella fu una questione di rispetto. Il suo direttore sportivo glielo disse in partenza: «Non si viene per caso a questa corsa. Ha una storia importante a cui ogni partecipante deve rispetto. Bisogna saperlo». Nemmeno lui sa come abbia fatto a insistere così, cosa gli sia passato per la mente, sua moglie continua a dirgli che si chiede perché, ancora oggi dopo tre anni. Era il 2018 e solo un anno dopo, nel 2019, Evaldas riuscì, dopo una giornata incredibile, ad arrivare nono alla Roubaix.
Šiškevičius è nato a Vilnius, in Lituania, il penultimo giorno dell'anno del 1988 e della Lituania ricorda sempre il modo che hanno le persone di andare in bicicletta. Sono felici, lo fanno con piacere, è difficile da spiegare, ma basta osservarle per capire ciò che Šiškevičius vuole dire. Questo non vuol dire che in Lituania vada tutto bene, almeno non nel ciclismo professionistico. Basti pensare che gli unici professionisti lituani, al momento, sono Ignatas Konovalovas e lo stesso Šiškevičius.
Certo la sua carriera non resterà memorabile a livello di risultati, ma a suo modo il corridore lituano è un vincente, per l'orgoglio con cui difende le sue origini e le sue scelte, per il fatto che, nonostante non abbia mai avuto le caratteristiche per essere un vincente, facendo la cosa giusta al momento giusto, qualche risultato l'ha portato a casa. E perché, anche oggi, che è in scadenza di contratto e l'idea del passaggio nel WorldTour lo attrae dice che vuole pensare, riflettere, perché il luogo in cui ha vissuto una vita, non è come un bagaglio che può essere spostato con buona pace di tutti.
Perché alla fine, quando resti fedele a ciò che sei e a chi ti lascia la possibilità di esserlo, hai già vinto anche se nessun albo d'oro ne parla.