Fabio Jakobsen e i giganti
Era come essere sulle spalle dei giganti, al Tour de France, sul Grande Belt, in Danimarca. I giganti sono così: li vedi da lontano, arrivano da lontano. Hanno tutto ciò che serve per essere forti, per questo li vedi da lontano, e in certi dettagli sembrano anche deboli perché ti chiedi come facciano a resistere, a stare così in alto, a sorreggersi. Per questo sulle loro spalle spira vento, perché sono esposti, perché non possono nascondersi.
Assomigliano ai giganti i corridori del gruppo in una tappa come quella di oggi. Giganti forti e talvolta dai piedi d’argilla che vanno contro vento. Sì, perché il vento è contrario, ti spinge indietro, anche in parte laterale, ma non abbastanza per aprire ventagli, per disegnare linee diverse intorno al gruppo.
I giganti forti e fragili, dall’equilibrio instabile, che si vedono da lontano come le loro radici e il loro colore ipnotico, il giallo dell’ossessione: Lampaert che, in maglia gialla, va a prendere la borraccia, che cade e torna in gruppo proprio su quel ponte di diciotto chilometri. Le radici, quelle contadine: gigante perché formi la terra su cui cammini e nello stesso tempo dipendi da lei, dipendi da tutto. Essere giganti è anche questo, è una libertà precaria e ricercatissima. Vuol dire gioire con poco, come Magnus Cort Nielsen ad un traguardo volante. Lo sanno gli uomini di classifica caduti sul finale che non pagano conseguenze sul tempo ma le pagano sul proprio corpo.
Giganti come i velocisti. Una volata fra giganti per i nomi e per la forza che serve a sprintare. Prendete la forza di van Aert, che rassicura, che piace perché è equilibrata, perché è algida, armonica. Si sente il suono di quella forza nel vento, ma non basta anche se, stasera, sarà maglia gialla. La stessa forza di Fabio Jakobsen è, almeno oggi, più forte: basta poco, basta passare davanti di qualche centimetro. Jakobsen vince, da gigante, sulle spalle dei giganti.
Vorremmo parlare di giganti con Jakobsen, vorremmo parlare dei ponti tanto alti che si vedono da lontano e del sorreggersi con poco. Vorremmo sentire cosa ne pensa lui che per tornare a essere un ciclista è dovuto ripartire da zero, dalla base, dopo l’incidente di due anni fa. Vorremmo sapere cosa gli ha detto Lampaert dopo l’arrivo, all’orecchio. Fanno anche questo i giganti. Perché è grande ciò che si vede nei giganti, ma per restare lì, per tornare lì, tanto più grande deve essere quello che non si vede e ti tiene in piedi. Le fondamenta o, più semplicemente, l’animo.
La Maglia Rosa e il duello Vos-Balsamo
Dicono che il primo giorno in cui indossi la maglia rosa è il giorno in cui te ne rendi conto. Anche se la sera prima l'hai tenuta distesa sul tuo letto. Sì, perché te la vedi addosso e gli altri ti vedono con quella maglia. Del giorno in cui la conquisti non hai una foto di gara con quella maglia e per sentirla vera devi poterti vedere in gruppo con quel colore, devi essere cercata fra le altre e individuata perché tu, proprio tu, sei la maglia rosa. Per Elisa Balsamo quel giorno è stato oggi. Aveva anche il casco e gli occhiali rosa, un richiamo. Si richiama ciò che vuoi ricordare, che vuoi far ricordare: l'orgoglio.
Dicono che, quando sei all'attacco e ti avvisano di essere maglia rosa virtuale, ovvero la maglia rosa del futuro, senza foto e senza colore, almeno per ora, trovi forze che non avresti mai trovato. Alessia Vigilia è stata quel futuro sospeso per diversi chilometri. Dicono che i genitori, a casa, provino ansia sin dal mattino quando sanno che sei in fuga perché in quella fuga rivedono ciò che solo loro sanno, ciò che solo loro hanno visto. E sono tutte cose vere, più che mai vere: gli sfoghi, le delusioni, i timori. E poi anche la felicità: loro, la tua felicità, la conoscono bene. La chiamano in tanti modi. A sera, a fine tappa, al telefono, la chiamano orgoglio. Quando ti hanno visto scattare e tornare a scattare col gruppo dietro, fiera.
Dicono che i fuoriclasse abbiano un'idea in più per ogni volta in cui non funziona. Anzi, dicono proprio che le idee arrivino più decise quando le cose non sono andate come avresti voluto. L'idea di tornare a fare esattamente la stessa cosa perché vuoi vincere e vuoi vincere così. Come gli ultimi ragazzini che lasciano il campo dopo aver provato a fare e rifare lo stesso tiro, fino a che non è riuscito. I fuoriclasse sono come quei ragazzini. Marianne Vos è come loro quando parte e cerca di anticipare Elisa Balsamo, come ieri. Elisa Balsamo è come quei ragazzini quando la vede con la coda dell'occhio e cerca di prenderle la ruota. Anche i genitori a casa assomigliano a quei ragazzini: la mamma di Charlotte Kool, oggi seconda, ad esempio, che l’ha messa in bicicletta per permetterle di andare a pattinare.
Marianne Vos tiene, Marianne Vos vince a Olbia. A Leuven aveva detto a Balsamo che era quasi arrabbiata, dalla tanta delusione e non avrebbe avuto voglia di parlare con nessuno, eppure era andata a dirle che era stata brava perché i campioni fanno così. Elisa Balsamo, sul traguardo, aveva lo sguardo fisso, pensieroso, quasi a chiedersi dove fosse il problema, perché quelle gambe oggi non siano state come ieri. È un piccolo dolore.
Eppure le idee arrivano così. In quel pensiero si intravedono tante idee. Domani al Giro Donne ci sarà riposo, quella stessa maglia rosa sarà distesa sul letto di Balsamo come ieri sera, mentre Vos in testa avrà la maglia rosa futura, quella che non c'è ancora da nessuna parte, se non in una fuga immaginata, in un abbuono, in un varco spazio temporale. Le idee, plasmate dall'orgoglio, verranno da lì. Lunedì, a Cesena, vedremo il resto.