Attori di una bellissima storia (pur nella noia)
È domenica e tappe come quelle di oggi sembrano studiate appositamente per permettere a chi segue il ciclismo di godersi senza pentimenti una giornata al mare, in montagna, al fiume, persino al museo, dove, visto il caldo che fa, uno non dovrebbe disdegnare l'aria condizionata degli altri.
Tappe come quelle di oggi sono quelle che danno poco spazio alla fantasia. Ai titolisti: JAKOBIS!, era già pronto nella loro testa, ma invece andrà diversamente; ai corridori: fuga della maglia a pois, danese in terra danese che esulta sui GPM, aizzatore di folle, Magnus Cort Nielsen, una folla immensa per il terzo giorno e c'è chi si dispiace che da domani (o per meglio dire da martedì) si entrerà in Francia (con due tappe per nulla male). E poi il gruppo che controlla e chiacchiera prima di schiacciare il piede sull'acceleratore e cancellare negli ultimi minuti ore di sbadigli.
Per fortuna ci sono i danesi che danno spettacolo per strada, perché tappe così sono un po' una punizione per chi le guarda da casa e per chi le commenta che deve tirare fuori argomenti di ogni tipo, ma poi arrivano gli ultimi chilometri e ci si prepara alla volata. Benedetta volata, che ci fai perdere ogni volta qualche mese di vita e ci fai venire i capelli sempre più bianchi.
Sporca volata, ai limiti, persino bellissima, appassionante: adrenalina è sempre la parola chiave giusta e usiamo quella. Tre corridori sulla stessa linea: vince Groenewegen perché poi spesso il ciclismo sembra scrivere appositamente storie di questo tipo: ieri Jakobsen, oggi Groenewegen, dopo tutto quello che è successo due anni fa, una chiusura del cerchio che ha dell'incredibile, quasi seguisse una sceneggiatura pensata a tavolino.
"Secondo van Aert" invece, che ormai è un modo di dire, ma per fortuna, anche se di rado pensiamo, esiste un qualche tipo di giustizia e allora Wout (detto in confidenza e con una pacca sulle spalle, e intanto, chi si occupa di quella bellissima disciplina che è la statistica dice che van Aert è il primo corridore da Binda nel 1930 a chiudere per tre volte al secondo posto le prime tre tappe del Tour) che ci arriva vicino di nuovo per un qualcosa di non quantificabile, vestirà ancora la maglia gialla con la possibilità di portarla per (quasi) tutta la prossima settimana. Si consoli. Prima o poi arriverà il suo momento a questo Tour come lo hanno colto Jakobsen prima e Groenewegen poi, attori di una bellissima storia come quella che racconta il Tour de France (pur nella noia di una tappa per velocisti).
Tre cose dal Tour
- La Danimarca ha una popolazione di circa 5.820.587 qualcuno in più o in meno, crediamo, ma cambia poco. Guardando l'inizio del Tour abbiamo notato come tra Copenaghen, Roskilde e Nyborg tutti gli oltre 5 milioni erano sulle strade del Tour de France a fare il tifo, tra il giallo simbolo della corsa e il biancorosso della loro bandiera. Oggi non sarà da meno. Non giudicate assurdo (o non fatene una questione di solo marketing) il gesto di Magnus Cort Nielsen, corridore danese, bizzarro quanto basta da essere uno dei più popolari e amati in gruppo nonostante (o forse anche per quello) un palmarès che lo pone al di sotto dei fuoriclasse del momento. Fuggitivo di giornata, lui che potrebbe conservare le gambe (ma cerca anche la migliore condizione) per le prime tappe in terra francese, ma ha voluto andare all'attacco, vincere i GPM di 4^ categoria (con tanto di esultanza sotto lo striscione) e poter così vestire la maglia a pois. Oggi, in quella follia che saranno le strade danesi, sarà uno dei più riconoscibili in gruppo. Baffoni e maglia a pallini, biancorossi come il colore della bandiera danese, mentre le crocs fucsia le lascia nel bus per l'eventuale premiazione. Una volta disse parlando della Roubaix: «È una corsa brutale, la più grande, la più pazza, la più dura. Non la gara che farei ogni giorno, ma una volta all’anno sì». Questo per capire il personaggio. E tra qualche chilometro lo aspettiamo proprio su quelle strade.
- Mancava solo il suo sorriso alla collezione e ieri finalmente c'è stato. Ora, se qualcuno avesse scommesso sul suo piazzamento alle spalle del vincitore di turno ci avrebbe quasi rimesso, anzi, pare che il 2° posto di van Aert non fosse nemmeno quotato. Mica stupidi gli allibratori. Fatto sta che oggi avremo in giallo, finalmente, per la prima volta in carriera, Wout van Aert: non ci poteva essere corridore più meritevole (un po' di retorica...). L'ha sfiorata nel 2019, «quando la indossava il mio compagno Teunissen, che saltò nel finale, per un ottimo sognai di vestirla io, ma la prese invece Alaphilippe». Lo scorso anno niente da fare, e nel 2022 tutto faceva presagire di come van Aert si sarebbe dovuto accontentare dei secondi posti in questi giorni. 28 in carriera, lui che è sempre davanti ovunque corra e comunque vince tanto: 35 successi e (quasi) tutti di peso. Quest'anno quando ha vestito la maglia gialla di leader (Parigi-Nizza e Delfinato) alla fine della corsa a vincere è stato Primoz Roglic. Amanti della cabala fatevi sotto.
- La rinascita o, prendendo in prestito dall'inglese, il comeback. Un altro in casa Quick Step, una squadra che alla vigilia veniva demolita dalla "feroce" critica: pareva che fossero di punto in bianco diventati una squadra di brocchi incapaci di allestire un team competitivo di otto corridori, lasciando fuori Cavendish (scelta presa praticamente già dallo scorso anno), Evenepoel (che correrà la Vuelta), Alaphilippe (ancora non al meglio dopo la tremenda caduta alla Liegi). Una squadra che si sta distinguendo di recente per le rinascite (une usine à renaissance, l'hanno definita in Francia) e i colpi a sorpresa. Come quello di Yves Lampaert: «Sono solo un contadino belga e ora mi ritrovo a battere Ganna e van Aert a cronometro» ha raccontato due giorni fa dopo essere scoppiato in lacrime. Mentre Lefevere: «Se dicessi che mi sarei aspettato la vittoria di Lampaert sarei un bugiardo». Poi è stato il turno, ieri, di Fabio Jakobsen. Due anni fa rischiò di incontrare la morte in volata in Polonia; non sapeva nemmeno se e come avrebbe mai potuto ritrovare la via, non solo in bicicletta, ma quella di una persona normale. È tornato e ha iniziato a vincere, fino a diventare, senza stare troppo girarci intorno, il più forte velocista del mondo. E ieri la vittoria (36 in carriera, 18 pre e 18 post incidente) al Tour de France, mentre Pedersen anticipava partendo ancora un po' dal ponte, ma non quello attraversato dalla corsa, quello vicino casa sua, mentre van Aert prendeva l'ennesimo 2° posto e Philipsen restava intruppato. Lui si infilava, scaltro, usciva, potente, si scatenava. Vincente.