Non so se vi è mai capitato  un appuntamento al buio. A me onestamente no.
O almeno, non prima che mi arrivasse una telefonata dalla redazione.

Primi giorni di marzo, squilla il telefono.
«Ciao Stefano, c’è da andare a fare un servizio sul Grand Tour della Val di Merse».
«Perfetto, ci sono. Mi dici solamente il posto?».
«Te l’ho appena detto, Val di Merse!».
«Val di che?».
«Val di Merse, Merse!». 

 

Ci ho messo un po’, lo ammetto, a capire che il nome esatto fosse Merse. E solo dopo un’ulteriore ricerca ho scoperto che Merse è un fiume, di circa 70 chilometri, che attraversa le province di Siena e Grosseto.
Non mi serviva nient’altro: si va in Toscana, stop. Appuntamento presso il B&B Palazzo a Merse, giusto 10 chilometri a sud di Siena. Non volevo nessun’altra informazione, il mio appuntamento al buio era fissato. Arrivo un giovedì sera di aprile e le 4 ore in macchina non hanno fatto altro che alimentare le mille domande su cosa mi avrebbe aspettato. Mi accolgono Andrea, guida cicloturistica e gestore del B&B, e Jacopo, il suo partner in crime. 

«Domattina si parte, ore 8.30. Portati il necessario per pedalare due giorni e dormire una notte fuori. Buonanotte». 

Le loro facce trasmettono sicurezza, non c’è motivo di preoccuparsi. Domani capirò dove sono, cosa mi attende e, soprattutto, cosa diavolo è ’sto Grand Tour della Val di Merse. L’unica cosa che so è che dovrò pedalare per due giorni: questo mi basta per addormentarmi come un bimbo alla vigilia di Natale. È stato un aprile anomalo, molto freddo, e la pelle d’oca sulle gambe alle prime luci dell’alba conferma questa tendenza. Si montano velocemente le Miss Grape per i due giorni di bikepacking e, finalmente, si parte. Neanche il tempo di scaldare la gamba e ci ritroviamo su Strade Bianche. Certo, la Toscana è piena di strade bianche, direte voi. Ma qua si tratta dell’unica e originale Strade Bianche, quella col copyright, per capirci meglio.

«Questo è il primo settore di sterrato della gara, anche se i professionisti lo percorrono al contrario». Pensavo stessero mentendo, ma con il dito mi indicano il cippo posto a terra come garanzia di autenticità. «Oltretutto, se proprio vuoi saperla tutta, l’abbiamo inventato noi». 

Il mio volto perplesso fa sì che la storia venga raccontata, per filo e per segno.
«Con la nostra ASD siamo attivi da anni nella valorizzazione di questo territorio, perciò collaboriamo sin dagli inizi di Strade Bianche sia con gli organizzatori che con i Comuni interessati. Dopo la terza vittoria di Cancellara si era deciso di dedicargli un settore di sterrato. Allora abbiamo pensato: perché non pensare ad un oggetto identificativo, proprio come la pietra della Roubaix? Volevamo fosse qualcosa di tipico del territorio, ma non di marmo giallo della Montagnola che è troppo pregiato e non adatto ad uno sport pop come il ciclismo, così abbiamo optato per il travertino. La proposta piacque e noi due, materialmente, siamo andati in cerca del fornitore, creando quello che oramai è il simbolo della classica del nord più a sud d’Europa». L’appuntamento al buio inizia a farsi interessante, penso io.
Al terzo cartello stradale con le indicazioni per il Grand Tour della Val di Merse, cedo alla mia curiosità e chiedo spiegazioni. «Pedaleremo su un loop di 173 chilometri con circa 3.000 metri di dislivello, attraverso la Val di Merse e la Val d’Elsa», dice Andrea, col suo fare da cicerone. «Il percorso passa su strade asfaltate, strade bianche e, per chi volesse, ha anche un paio di deviazioni gravel». Mi faccio inviare il file gpx, lo imposto sul mio account di Komoot, lo carico sul mio Wahoo ed in effetti vedo chiaramente delinearsi questo anello che ho appena iniziato a conoscere. 

«Non solo – precisa Jacopo, che passa la giornata negli uffici di una banca ma che in un’altra vita sarebbe sicuramente stato un ingegnere geotermico, e non a caso, perché la capacità di utilizzare il vapore come fonte di energia rinnovabile è una delle risorse più importanti della zona – abbiamo anche creato un brevetto.  L’itinerario attraversa sei comuni dove è possibile recuperare il libro di viaggio e farlo timbrare nelle strutture convenzionate per dimostrare che effettivamente hai completato il tracciato. Una volta a casa, ce lo invii tramite mail, così ti spediamo l’attestato di valore». 

Altri quattro colpi di pedale ed ecco finalmente il primo timbro sul mio personale libro di viaggio, nel comune di Sovicille. Pit-stop caffè, due foto di rito, e via che si riparte.
Non si smette mai di imparare, si dice, e così in un attimo eccomi ritornare a scuola come un bravo alunno delle elementari, fortunatamente non in didattica a distanza. Quante volte avrò sentito e avrò pronunciato, nella mia vita, la frase mi faccia due etti di cinta senese, grazie al bancone degli affettati di un qualunque supermercato, senza sapere cosa volesse dire realmente. Bene, all’alba dei trentotto anni, ho scoperto finalmente di cosa si tratta: immaginatevi un maiale nero, ma nero nero, con una banda di pelo bianca, ma bianca bianca, che gli cinge il collo. Una cinta, appunto. Alzi la mano chi ne era a conoscenza (macellai e toscani in generale, ovviamente, sono esclusi dal gioco).

La giornata vola, tra i numerosi mangia e bevi (questa volta parlo di strade e non di affettati e buon vino) tipici di queste zone. Altri due timbri nei Comuni di Casole d’Elsa e Radicondoli ed è finalmente tempo di relax: il primo giorno è andato, tra strade fighissime e paesaggi che cambiano in continuazione: macchia mediterranea, boschi, vigneti e prati verdi a perdita d’occhio, oltre agli immancabili borghi che pullulano di storia. Birra, doccia e meritato riposo, questo è il programma per le prossime ore e, onestamente, penso di essermelo meritato.

L’alba del secondo giorno conferma questa primavera fresca, con il termometro che durante la nottata si è fermato a zero gradi. Sì, zero gradi, ad aprile, in Toscana. Robe da matti, direbbe mia nonna. Oggi ci aspettano oltre 100 chilometri e la maggior parte del dislivello per completare il percorso, quindi sappiamo che dovremo dedicare più tempo al ciclo e meno al turismo. Andrea e Jacopo sono in forma, la gamba gira e la tabella di marcia viene rispettata quasi da far invidia alle ferrovie giapponesi. In un attimo passiamo dai check-point di Chiusdino e Monticiano: la giornata fila liscia e sento che ogni piano verrà rispettato. Nulla potrebbe fermarci, nulla potrebbe farci ritardare. Nulla, tranne un uragano.

Ed ecco che, come da tradizione fantozziana, l’uragano prende forma ed ha anche un nome: si chiama Franco Rossi e di lavoro fa il presidente di Eroica. Lo si incontra per caso, sulla strada, appena prima dell’attacco di quella che è la vera salita del Grand Tour: nove chilometri belli tosti che ci portano a Casciano di Murlo, dove riceverò l’ultimo timbro sul mio libro di viaggio. Capisco subito che tra Franco, Andrea e Jacopo c’è una amicizia di lunga data, perché si prendono a schiaffi durante tutta la salita e non c’è verso che uno di loro molli un metro. Talmente di lunga data che a un certo punto, alla seconda birretta rigenerante, mi rendo conto che sarà impossibile arrivare a destinazione entro la serata. «Si cena insieme, ho deciso! E si aprono un paio di bottiglie di vino di quello buono». E a Franco non si può mai, ma proprio mai, dire di no. 

Non ho grossi problemi di tempo, posso tranquillamente tornare a casa anche il giorno dopo e poi mi ripeto come un mantra che sono le cose inaspettate a rendere unica un’esperienza.  Ed in effetti chi si poteva immaginare il cerchio alla testa di domenica mattina, quando invece sarei dovuto essere già a casa a scrivere le parole che state leggendo? Un litro d’acqua a stomaco vuoto rimette tutto in ordine e così siamo pronti per affrontare gli ultimi 30 chilometri, con lo skyline di Siena così vicino che sembra di poterlo toccare solo allungando il braccio. Qualche strada bianca, un po’ di su e giù, e la tappa finale si trasforma in quella che definirei una perfetta recovery ride prima del pranzo domenicale.
È tempo di pacche sulle spalle, sorrisi e promesse di futuri incontri, probabilmente già in occasione della prossima Nova Eroica, poco distante in linea d’aria. Salgo in macchina e riparto. Io non so chi di voi abbia mai fatto un appuntamento al buio. Ma se trovate gente come Jacopo e Andrea, e l’invito viene dalla curiosa e sconosciuta Val di Merse, beh, accettatelo. Senza se e senza ma.