Michał Kwiatkowski: essere un campione
Erano passati 584 giorni dall’ultima vittoria di Kwiatkowski. Lunedì 17 febbraio, il campione polacco della Ineos ha alzato di nuovo le braccia al cielo al termine della Clásica Jaén Paraiso Interior. Per un corridore con il suo palmares, la Clásica Jaén è una corsa di secondo ordine: si tratta infatti di una gara di livello 1.1 e con una storia molto recente, essendo nata solo quattro anni fa. In Spagna la considerano una sorella minore della Strade Bianche, per il percorso ricco di settori in sterrato e l’arrivo in salita a Ubeda, città Patrimonio Unesco per la sua architettura di chiara ispirazione rinascimentale.
La gara fa parte del circuito Europe Tour, ma non mancavano alcuni tra i corridori più forti del gruppo. Presenti, tra gli altri, Wout Van Aert, Ben Tulett, Isaac Del Toro, Tim Wellens, Brandon McNulty, Egan Bernal e Ben Turner. Il percorso, mosso e caratterizzato da tanti settori di sterrato. Dieci, per la precisione, per un totale di oltre trenta chilometri di strade bianche concentrati nel finale.
Tra i big gli attacchi cominciano presto, in un gruppo composto da poche decine di elementi. Un ruolo da protagonista lo interpreta Egan Bernal, in grande forma e con addosso la maglia di campione della Colombia. Bernal è marcato a uomo e a 65 km dall’arrivo, in un momento in cui tutti si guardano, è Kwiatkowski a partire. Un corridore così esperto non si muove mai a caso, e l’attacco ha un doppio scopo: da una parte può provare a giocarsi la vittoria, dall’altra esclude i tanti compagni della Ineos presenti nel gruppo principale dall’onere di collaborare.
L’unico a saltargli sulla ruota è Brandon McNulty, e i due si danno cambi regolari fino a riportarsi sulla fuga di giornata. Nel gruppo principale non c’è accordo: in molti provano ad attaccare, ma nessuno riuscirà a rientrare sul polacco col dorsale numero 11. Che al traguardo ci arriva da solo, perché lungo i settori di sterrato si staccano uno a uno tutti i compagni di fuga, alcuni per forature, altri perché, semplicemente, non ce la fanno a tenere il ritmo inesorabile.
La vittoria in terra andalusa è un successo minore per uno che ha vinto un Mondiale, una Sanremo, due Amstel Gold Race e altrettante Strade Bianche, ma per noi, parafrasando Willie Peyote, è “solo un’ottima scusa per uscire a bere e parlare di Kwiatkowski”.
Il polacco si afferma già da giovanissimo. Da juniores vince due volte il titolo di campione europeo e due Course de la Paix, e diventa professionista a 20 anni con la Caja Rural. Nel 2010 era difficile che un atleta passasse tra i professionisti così giovane, ma Kwiatkowski andava troppo forte per completare il classico cursus honorum tra gli under 23. La prima vittoria tra i professionisti arriva due anni dopo, nel prologo della Dwars door West-Vlaanderen.
Il polacco, originario di Chełmża, è sempre stato un corridore atipico e completo, in grado di dare il meglio in ogni tipo di percorso. A inizio carriera andava bene sia in salita che nelle classiche del nord, dove raccoglieva ottimi piazzamenti. Il quarto posto in classifica generale alla Tirreno-Adriatico del 2013 faceva pensare che Kwiato sarebbe diventato un ciclista da classifiche generali.
Ma alla fine non si è voluto snaturare, e ha preferito continuare a essere un corridore totale, dotato anche di un buono spunto. Questa scelta è stata decisiva per la sua carriera: quanti corridori abbiamo visto impegnare tempo ed energie per finire a raccogliere qualche top 10 nei Grandi Giri? Quante volte ci siamo detti che avrebbero fatto meglio a concentrarsi sui successi di tappa e sulle vittorie nelle gare di un giorno? Il 2014 è l’anno migliore della sua carriera. Vince la Strade Bianche, raccoglie ottimi piazzamenti nelle Classiche delle Ardenne ed è tra i migliori al mondo nelle brevi corse a tappe. Completa l’anno in bellezza conquistando i Mondiali in linea di Ponferrada. Quel giorno Kwiatkowski, aiutato dai compagni della Polonia, compie un’impresa, e diventa il primo (e finora unico) corridore del suo paese a indossare la maglia iridata. A Ponferrada non mancano avversari temibili come Valverde, Gilbert, Van Avermaet o Peter Sagan. Però Kwiato sente che la gamba è quella giusta, e cerca di sorprendere i rivali attaccando in discesa, a sette chilometri dall’arrivo. Si riporta subito sui fuggitivi, di cui fa parte anche Alessandro De Marchi.
Quel giorno risalta il suo grande acume tattico. Rimane sulla scia dei suoi nuovi - e temporanei - compagni di fuga per circa un chilometro. Riprende fiato, mentre dietro il gruppo si avvicina pericolosamente. A sei chilometri dall’arrivo, con la strada in salita, piazza un altro attacco e rimane da solo. Dietro si forma un gruppetto con i favoriti che collaborano, ma non riescono a riprenderlo. Al traguardo può alzare entrambe le braccia al cielo, e poi toccarsi la testa, forse per realizzare quello che ha appena fatto, forse per chiedersi se quella che sta vivendo sia la realtà.
Nei giorni importanti, quando poteva giocarsi le carte da capitano, Kwiato ha vinto spesso, e ha sempre corso da protagonista senza tirarsi indietro. Soprattutto nelle gare che hanno il percorso più adatto a lui, e cioè le Strade Bianche, coi suoi settori di sterrato e i continui saliscendi, e l’Amstel Gold Race. Alla Liegi e alla Freccia Vallone ha chiuso sul podio senza vincere mai, forse perché gli è un po’ mancata l'esplosività per essere tra i migliori anche sulle pendenze più aspre.
Lo spunto è sempre stato ottimo, soprattutto quando era più giovane. La sua capacità di far la differenza negli sprint a ranghi ridotti gli ha permesso di vincere la Milano-Sanremo nel 2017. In quell’occasione Kwiato non era certamente favorito, perché si trovava in un gruppetto a tre con Peter Sagan e Julian Alaphilippe, sulla carta molto più veloci. Il polacco della Sky lascia a Sagan l’ingrato compito di condurre lo sprint. Lascia un po’ di spazio tra la sua ruota e quella dell’avversario. Sembra un dettaglio da nulla, ma è proprio grazie a questo accorgimento che può sfruttare al massimo la scia del rivale, per poi uscire al vento negli ultimi 75 metri e trionfare grazie al colpo di reni. Un altro piccolo aspetto che ci mostra la sua completezza: oltre alla resistenza (l’endurance), alla bravura nei percorsi mossi e nelle classiche del nord, Kwiato ha nel suo “bagaglio ciclistico” anche un colpo di reni da sprinter di primo livello.
Abbiamo parlato della vita da capitano di Kwiatkowski, ma accanto a questa ha condotto anche una vita da supergregario. Con l’arrivo nel Team Sky/Ineos, ha quasi sempre partecipato al Tour con il compito di aiutare il proprio capitano. Non si è mai tirato indietro quando è stato chiamato a svolgere questo ruolo: ha preso il vento per chilometri e chilometri in testa al gruppo, quando serviva andava nelle retrovie per portare borracce e gel ai compagni. Dietro i successi di Froome, Thomas e Bernal c’è anche il suo prezioso aiuto.
E quando il leader di turno non poteva più competere per la generale, Kwiato era capace di non far rimpiangere troppo la sua assenza, portando a casa un ambito successo di tappa. Come nel 2020, a La Roche-sur-Foron, dove ha vinto al fotofinish arrivando a braccetto con il suo compagno di squadra Carapaz. O come nel 2023, quando si inserisce nella fuga di giornata per aiutare i propri compagni, e finisce per trionfare sul Grand Colombier, salita hors categorie.
Quanti ciclisti nel gruppo hanno nel palmares un Mondiale, hanno battuto Sagan allo sprint alla Sanremo, hanno vinto Strade Bianche, Amstel e sul Massiccio del Giura, e hanno aiutato i propri capitani a vincere tre Tour? Credo che l’elenco includa un solo nome, quello di un campione, quello di Michał Kwiatkowski.