Alfabeto Marche

Come dice il plurale del nome, le Marche sono tante, magari non milioni di milioni ma comunque molte più di una. Del resto vuoi mettere il gusto di un ciaùscolo, anche di uno solo contro un intero esercito di “negronetti”?

Siccome le Marche sono tante non basterebbe di certo un alfabeto a elencarle, a descriverle, a raccontarle.

Come si fa ad abbracciarle tutte, le Marche? C’è un modo intelligente e appassionante per abbracciare, e conoscere le Marche, se non tutte, almeno un bel po’.

Quale? Andarci in bicicletta.

Ma come? Le Marche sono tutte un su e giù? Come è possibile? Ci vuole un fisico bestiale!

Vi assicuro che non è così. Date retta a NoiMarche BikeLife, il progetto di proposta cicloturistica messo in piedi da un protocollo di 28 comuni marchigiani per “mappare” decine e decine di itinerari permanenti adatti a tutti i tipi di biciclette e, soprattutto, di gambe e polmoni.

Il 23 e il 24 ottobre scorso 25 blogger, giornalisti ed amministratori locali, suddivisi in tre gruppi di pedalatori, hanno percorso 500 km alla scoperta dei territori dei 28 comuni marchigiani consorziati nel progetto NoiMarche BikeLife.

Questo che leggete qui di seguito, in forma di parziale abbecedario, è solo un piccolo assaggio dei luoghi, delle storie, delle bellezze, delle golosità e e delle curiosità che ho incontrato lungo la strada.

 

A come Apiro e altri toponimi

Nelle Marche mi hanno affascinato i nomi dei posti, dei comuni e dei borghi, delle frazioni e di tutte le denominazioni geografiche del territorio marchigiano. Se non l’avessimo capito dalle pendenze – che, per carità, si possono fare anche senza troppo affanno, soprattutto se, come me, vi siete fatti dare una e-bike – che i borghi marchigiani stanno per lo più abbarbicati sulla cima di una collina, i cartelli stradali sono lì ricordarcelo: Montegranaro, Montegiorgio, Monsampietro e Monsano. Oltre a un probabilmente più pedalabile Colmurano, c’è pure Monte Urano, che mi fa venir la voglia di farci arrivare una tappa del “primo Giro planetario d’Italia” che un giorno vorrei tanto organizzare con Stefano Bartezzaghi: da Portovenere (SP) a Castelmarte (MB), da Roveré della Luna (TN) a Solarolo (RA), da Giove (TR) a Saturnia (GR), da Nettuno (Roma) a un comune a caso della Valle del Mercure, in provincia di Potenza. Sassotetto, sui Monti Sibillini, mi pare il luogo perfetto per farci arrivare un traguardo in salita, cosa che infatti da qualche anno succede alla Tirreno-Adriatico. Sempre a proposito di altimetrie Penna San Giovanni trae il suo toponimo da pen, antica parola romana - ovvero di una lingua preesistente all'affermazione del latino -, che significa altura, luogo posto in alto, montagna: da cui deriva anche Appennino. Mentre pedalavo in salita ho visto un cartello e mi sono illuso che fosse lì per me: diceva ATLETA. Ho ringraziato per la stima, o l’incitamento, ma mi sbagliavo. Era la segnaletica di Alteta, tra Grottazzolina e Francavilla d’Ete (che pure hanno la loro bella fantasia). Scendendo salendo da Fiastra costeggiando i crinali nord sempre dei dei Monti Sibillini ho visto un’indicazione per Colpodalla, un posto per volatili che per velocipedi. E per finire ecco Apiro: fantasticando di etimologie mi ero fatto convinto che il suo significato spiegasse l'arcano della canzone di Ivan Graziani di cui potete leggere in questo breve, incompleto Alfabeto Marche, alla lettera I: ovvero un villaggio dimenticato da Promoeteo dove, alla greca, non si conoscesse l'uso del fuoco: a+ pyros. Mi hanno spiegato che invece deriva dal latino e da un grande albero di pero che un tempo si stagliava sul crinale e indicava il luogo (ad pirum, al pero) dove poi sorse il paese. Abbozzando sono caduto dal pero. Ma per fortuna non dalla bici..

 

B come Boccascena

In teatro il boccascena è l’apertura del palcoscenico sulla platea. Le Marche, in quanto a memoria e conservazione degli spazi teatrali, sono una regione speciale: non è un caso che siano chiamate “la regione dei cento teatri”. Tra Sette e Ottocento, nella grande stagione del melodramma italiano, moltissimi comuni marchigiani si sono dotati di uno spazio collettivo teatrale e molti di questi sono rimasti in vita e in uso, splendidamente conservati e felicemente praticati. Io ho avuto modo di vederne solo due: a Montegiorgio il Teatro Alaleona – dove non ci troverete a recitare Alaphilippe e Cipollini – e il minuscolo Teatro Flora, costruito interamente in legno, a Penna San Giovanni.

Penna San Giovanni: Teatro Flora

 

 

C come Carlo il Grosso

Nel primo entroterra di Sant’Elpidio al Mare e Casette d’Ete, sorge la basilica imperiale di Santa Croce al Chienti. Un nome assai impegnativo: perché, innanzitutto, “imperiale”? Perché pare venne consacrata già fin dall’887 da Carlo il Grosso imperatore del Sacro Romano Impero, figlio di Ludovico il Germanico, nipote di Ludovico il Pio e bisnipote nientepopodimenoché di Carlo Magno. Quasi un secolo dopo, nel 968, passa sotto il diretto controllo di un altro imperatore germanico, Ottone I, e crebbe d’importanza per tutto il periodo detto appunto ottoniano, fino alla fine del X secolo. Un’altra leggenda, pare però senza molti fondamenti storici, addirittura colloca qui un palazzo eretto per volere dello stesso Carlomagno.

Basilica imperiale di S. Croce al Chienti

 

E come Ete

È il nome di un fiume, a regime torrentizio, come molti appenninici. Il corso è breve quanto il suo nome: circa una quarantina di chilometri, dalle sorgenti alla confluenza nel Chienti, proprio in prossimità della basilica di Santa Croce. Ma di Ete ce ne sono due: questo l’Ete Morto, che venne deviato nel suo corso originale fin dal XVIII secolo. L’altro, l’Ete Vivo, lungo pochi chilometri in meno, sfocia però direttamente nell’Adriatico, a Porto San Giorgio.

 

F come Falerone

A guardarlo dall’alto, da una mappa zenitale, Falerone sembra una biscia, allungata sul crinale della collina. Sarà forse per questo che l’antico insediamento, che risale all’epoca romana come attesta il vicino sito archeologico di Falerio Picenus, con tanto di Teatro e Anfiteatro romani, e ricco museo archeologico, ha tra i suoi simboli Lu serpe de Falerò, un dolce prenatalizio fatto a forma di biscia che tende a mangiarsi la coda.

Lu serpe, il dolce tipico di Falerone

 

G come Gismondi

Montegranaro è il paese di Michele Gismondi, che dal 1952 al 1959 è stato uno dei più fedeli gregari di Fausto Coppi. Grande amico anche fuori dalle corse, nel pieno dello scandalo del processo per adulterio alla Dama Bianca, Gismondi ospitò a casa sua Giulia Occhini, dopo la sua breve ma umiliante reclusione per adulterio. Per ironia della sorte – ma neanche poi tanto, conoscendo la generosità dei Gismondi – oggi a Montegranaro vive Gioia Bartali, nipote del grande Gino. Gastone Gismondi, nipote di Michele, è stato per anni sindaco di Montegranaro, nonché instancabile promotore delle attività ciclistiche locali.

 

I come Ivan Graziani

Ivan Graziani, teramano di origine, venne adottato dalle Marche fin dagli anni della scuola all’istituto d’arte di Ascoli Piceno e poi della casa di Novafeltria, dove morì il 1° gennaio 1997, a soli 51 anni. Le sue canzoni, quasi tutte, secondo me assomigliano al paesaggio delle Marche: un moto ondoso di parole e musica. Una di quelle che mi piace di più si intitola Fuoco sulla collina e mi ha accompagnato sulla strada tutte le volte che s’impennava verso un crinale e un nuovo panorama.

 

J come Jesi

Nel 2022 il Giro d’Italia avrà come tappa di arrivo Jesi, città di fuoriclasse, da Federico II di Svevia a Roberto Mancini e Valentina Vezzali. La corsa rosa sarà ancora una volta uno straordinario spot internazionale per mostrare a tutti le bellezze delle Marche.

 

L come Licini

Osvaldo Licini è uno dei pittori del Novecento a cui voglio più bene. Non saprei spiegare il perché, ma le sue forme e i suoi colori di un astrattismo pieno di sogni. I suoi angeli, in particolare, mi sono sempre sembrati che fossero disegnati per prendersi cura di chi li guardava. Licini ebbe una vita piena di incontri e di luoghi: Bologna, poi Firenze e il futurismo, la Grande Guerra e poi Parigi e i grandi pittori e scrittori del Novecento: Picasso e Modigliani, Jean Cocteau e Blaise Cendrars; quindi la stagione dell’astrattismo, con Lucio Fontana, Fausto Melotti, Atanasio Soldati e Luigi Veronesi; e ancora l’incontro con Kandinskij. Ma il suo ombelico è sempre stato Monte Vidon Corrado, il paese dove nacque, e dove dal 1946 e per buona parte del primo dopoguerra fu anche sindaco. E dove oggi hanno sede un centro studi a lui dedicato e un’affascinante casa-museo.

Montegranaro: palazzo comunale

M come Michele Scarponi

Un altro che ci si sente pedalare accanto sulle strade delle Marche è Michele Scarponi. La sua faccia da schiaffi, la sua risata forte, la simpatia contagiosa… In realtà è vero che ce lo si sente accanto perché l’attività della Fondazione a lui intitolata, e che guidata con passione e determinazione da Marco, il fratello, è attivissima nelle iniziative per l’educazione del corretto comportamento stradale e del rispetto delle regole a tutela dei più fragili.

 

N come numeri

28 comuni marchigiani che hanno sottoscritto il protocollo d’intenti NoiMarche BikeLife per promuovere il cicloturismo nella regione: Apiro, Appignano, Cingoli, Civitanova Marche, Colmurano, Falconara Marittima, Falerone, Fiastra, Francavilla d’Ete, Grottazzolina, Gualdo, Jesi, Loro Piceno, Macerata. Matelica, Monsano, Montegiorgio, Montegranaro, Morrovalle, Penna San Giovanni, Potenza Picena, Ripe San Ginesio, San Ginesio, San Severino Marche, Sant’Angelo in Pontano, Sarnano, Treia, Urbisaglia. 9 servizi di bike transport; 26 servizi di noleggio bici; 37 guide e accompagnatori turistici; 36 associazioni ciclistiche; 40 officine di riparazione e ricambi e negozi di biciclette e abbigliamento; 2 officine mobili.

Montegranaro, centro storico

O come Ombelico

Sono salito su una collina che sembra davvero di stare nell’ombelico delle Marche. È la collina che sta alle spalle dell’Officina del Sole, una tenuta nella campagna di Montegiorgio, dove abbiamo ben dormito, ben mangiato e ancora meglio bevuto. La collina sulla quale sono salito alla mattina presto, tra i vigneti di Passerina, Verdicchio e Chardonnay, per vedere spuntare il sole spazia il suo orizzonte tutto intorno, dal Conero ai Sibillini: il vino che fanno lì, uno Spumante Brut, metodo Charmat, ottenuto da un blend delle uve dintorno, raccolte da fine agosto a fine settembre, non poteva che chiamarsi Trecentossessanta, come i gradi con cui lo sguardo abbraccia il paesaggio dei colli marchigiani.

Montegranaro: i vigneti dell'Officina del Sole

P come Petronilla

Oltre a formare col marito Arcibaldo la coppia più longeva del fumetto americano (1913, e dal 1921 sul “Corrierino dei Piccoli”), Petronilla era una santa. Ed è la patrona di Grottazzolina, che le aveva intitolato la primigenia chiesa del Ss. Sacramento e del Rosario, ora sfolgorante di stucchi e decori policromi. Si dice che Petronilla martire fosse la figlia (carnale o spirituale, non si è capito) di San Pietro Apostolo. Passa anche per essere protettrice dei delfini di Francia (intesi non come cetacei transalpini, ma eredi al trono, quando ancora ne esisteva uno) e, come dice la guida locale, viene invocata per tenere lontane le pulci.

 

R come Romolo Murri

A Gualdo si trova il Centro studi dedicato a Romolo Murri. Non è che andando in giro in bici, con le braghe fondellate e i lycra aderente a segnare i fianchi non proprio sciancrati, si sia sempre della predisposizione migliore a farsi incuriosire dai luoghi pieni di libri, documenti, archivi. Tanto più se si tratta della storia di un prete spretato, travolto dalla passione della politica. Eppure, a Romolo Murri, nato a Monte San Pietrangeli nel 1870, e morto a Roma nel 1944, dobbiamo forse un po’ di attenzione se non altro per il fatto che s’inventò la Democrazia cristiana in anticipo di vent’anni sui tempi storici. E questo gli costò appunto l’ostracismo del Vaticano e tanti altri preclusioni. Però, se abbiamo corso il rischio di “morire democristiani”, un rischio che, mi viene da pensare oggi, quasi trent’anni dopo, col senno di poi, quasi quasi avrei corso volentieri, possiamo ben dirlo che lo dobbiamo in parte a Romolo Murri e una sosta a Gualdo, dove il terremoto del 2016 ha tolto il pennacchio al campanile, è doveroso farla.

 

S come Sarnano

Sarnano è una delle porte dei Sibillini. Ed è una porta girevole, tante sono le faccende in cui i sarnanesi sono affaccendati. Innanzitutto, anche a fronte delle difficoltà del terremoto, non si sono lasciati perdere d’animo, quasi che non volessero piangere sulle proprie sventure. In pochi anni si sono messi a ricostruire il paese, e mettendolo in sicurezza, facendo così in modo che la cittadinanza rimanesse legata al proprio luogo d’origine. E poi si sono vocati a un’attività di promozione del territorio come grande risorsa di turismo outdoor, che ha nel ciclismo – in tutte le sue declinazioni: la strada, il gravel, la mountain-bike e il downhill – una sfera di eccellenza. Decine e decine gli itinerari tracciati, moltissime le guide che si sono specializzate nell’accompagnamento di ciclisti e cicloturisti su percorsi della più varia natura e impegno. Luca Piergentili, sindaco di Sarnano, senza banda tricolore e senza cravatta, è la faccia di questo proficuo affaccendarsi per fare di Sarnano e dintorni una meta per gli appassionati delle due ruote, punto di partenza di numerose escursioni in quota, sui Sibillini, o sulle panoramiche strade di cresta delle colline circostanti.

Sarnano

T come Tiralento

Dicesi “Tiralento” di un ciclista dall’andatura cosi incerta da non si riesce a capire se avanzi o stia facendo un mimico esercizio di surplace, un Jacques Tati che scivola, da un Jour de Fête, dentro al Giro. Così mi ha spiegato Gianni Traini che, a Grottazzolina, di Tiralento, piccola azienda artigianale di abbigliamento, accessori e scarpe per il ciclismo, è il titolare. Capelli lunghi e grigi alla capo Comanche, Gianni, da quattro anni, insieme al fratello Giuliano, giornalista, disegnatore, collezionista di pezzi rari della storia del ciclismo (fotografie, riviste, memorabilia e quant’altro possa star dentro la sua curiosa voracita), ha concretizzato un sogno: produrre con le proprie mani gli oggetti dei loro sogni. Gianni e Giuliano sono cresciuti a pane e bicicletta sui colli marchigiani nell’entroterra di Porto Sant’Elpidio. Poi le loro vite hanno preso strade diverse: Gianni imprenditore nel settore trattamento metalli; Giuliano giornalista a Milano. Ma il legame con il loro territorio e le loro passioni e rimasto forte ed e riemerso, come un fiume carsico, nel progetto Tiralento. Se esiste un’eta dell’oro del ciclismo e quell’arco temporale che va dal secondo dopoguerra alla meta degli anni Settanta, e Tiralento e un omaggio a quella stagione di campioni e costruttori, corse e icone. Fanno maglie come le si faceva quando esisteva ancora l’artigianato tessile e si lavorava con filati e telai, non con materiali sintetici e macchine da stampa; fanno scarpette e caschetti lavorando il cuoio come i vecchi artigiani di una volta, sagomando a mano e piantando minuscoli chiodini, le “semenze”, nelle suole rinforzate. I loro prodotti non sono similcopie, non sono imitazioni rivisitate: sono proprio “quelle maglie”, “quelle scarpe”. Se c’e un posto dove aleggia il genius loci del ciclismo, questo e Tiralento, Grottazzolina, Marche.

Gualdo: Centro studi Romolo Murri

 

 

V come Vino Cotto

A Loro Piceno c’è un Museo del Vino Cotto, un prodotto di antichissima tradizione ricavato dalla bollitura del mosto prima della fermentazione. Viene ricavato da uve prevalentemente locali, come la Malvasia e il Montonico, il Pecorino, il Moscatello, lo Zibibbo, il Maceratino, il Galloppa, spesso ricavate da vitigni ad alberate, cioè facendo arrampicare la vite su altri alberi, aceri o altre piante da frutta. Il mosto si riduceva a caldo a un terzo del suo volume (interzatura) e poi messo in botti dove fermentava lentamente fino all’invecchiamento che può durare anni e richiede una cura molto simile a quella delle grandi acetaie dell’aceto balsamico. Oggi il vino cotto, dalle intense sfumature aromatiche, è un vino da meditazione, o da dessert


Laudato si', mi' signore, per sorella nostra bicicletta

Sono convinto di questa cosa. Se ai tempi di Francesco d’Assisi – XIII secolo – fosse già stata inventata la bicicletta, il Santo Poverello l’avrebbe scelta per compagna di viaggio e il “cavallo di san Francesco” non sarebbero stati i piedi scalzi e il bordone del pellegrino, ma una semplice, essenziale macchina a pedali.
Credo che ne siano convinti anche gli amici de La Francescana Ciclostorica, di cui si è conclusa domenica la VII edizione, quattro giorni di sole, luce, nuvole in corsa e qualche acquazzone, a Foligno, nel cuore della valle Umbra, anzi: ne lu centru de lu mundu, come vuole una tradizione locale (a dire il vero, fino a non molti anni fa, c’era uno storico caffè del centro, giustappunto, che sosteneva che l’umbilicus urbis coincidesse con il birillo centrale del suo tavolo da biliardo: oggi il locale è stato dismesso e al suo posto, purtroppo, c’è il negozio di una catena di prodotti cosmetici).

A come Arnaldo Caprai
Alle cantine di Arnaldo Caprai, sotto il crinale di Montefalco, s’imbottigliano poesie. Del resto, lo diceva già Robert Louis Stevenson che «wine is a bottled poetry»: il vino è una poesia messa in bottiglia. Per questo c’è una linea di produzione per la quale su ogni tappo di sughero compaiono citazioni letterarie diverse intorno al mondo del vino. Al ristoro di ieri non c’era tempo di stapparle tutte le bottiglie, per il gusto “letterario” di assaggiarle. Ma lo chef Salvatore Denaro ha fatto preparare una gustosissima zuppa di lenticchie: praticamente un’Isola del tesoro.

B come Bevagna
Bevagna è uno dei meravigliosi borghi che si attraversano lungo i tracciati della Francescana, che ora, grazie a un accordo intercomunale sul territorio, stanno per diventare permanenti e quindi fruibili per tutto l’anno. Bevagna è un tesoro e il suo scrigno è piazza Silvestri. Due chiese affacciate, S. Michele e S. Silvestro, il palazzo dei Consoli e di fianco la scalinata che porta al piccolo, delizioso Teatro Torti; in mezzo una fontana. Tutt’intorno decine e decine di matrimoni: tutte le volte che ci sono passato c’è sempre qualcuno che si sposa. Ieri pomeriggio il vento alzava le gonne delle invitate, che si erano “messe giù da parata”. Ai tavolini della Bottega di Assù ho bevuto un ottimo grechetto. Dentro, tra gli scaffali pieni di libri e di illustri bottiglie di vino, facevano capolino, spiritose, Alda Merini e Maria Callas.

C come Carapace
Tra Montefalco e Bevagna, alla Tenuta di Castelbuono, in cima a una collina ricoperta di vigneti di Sagrantino, il Carapace è un gran premio della montagna. Per arrivarci, sono sceso di sella e ho spinto. In cima, all’ombra della grande cupola ricoperta di lastre di rame, dalla forma di una preistorica testuggine rugosa – come le crepe dei crinali vitati dei dintorni – mi aspettavano, a ricompensa dello sforzo di quella sessantina di chilometri che mi ero lasciato alle spalle, una memorabile porchetta speziata, morbida al taglio e croccante di cotenna, e un vigoroso bicchiere Rosso di Montefalco. I suddetti integratori hanno svolto poco dopo la loro funzione calorica sotto il temporale di incazzoso stravento che per mezz’ora ci accompagnati al ritorno verso Foligno.

E come Elia
Francesco era un Campionissimo e aveva i suoi gregari. Frate Rufino, frate Leone, frate Masseo… Ma il frate che avrebbe potuto essere un campione in proprio, per capacità e talento – come quando a Indurain toccava fare il gregario a Delgado o Froome a Wiggins – fu frate Elia da Cortona, che di fatto succedette a Francesco, dopo la sua morte, nella leadership dei Francescani Banesto o Sky. Finché, troppo vicino all’imperatore Federico II – in realtà, come già Francesco, Elia tentò invano di conciliare i due grandi poteri medievali di papato e impero – subì la scomunica. A Elia si deve, pochi anni dopo la morte del santo, l’edificazione di quella meraviglia della Basilica di Assisi. Secondo Luca Radi, uno dei motori creativi de La Francescana, saper scrivere un romanzo su Frate Elia, chiave di volta di tante vicende di politica e di cultura ancora poco note intorno alla metà del Duecento, sarebbe un colpo da best-seller. Spero tanto che lo scriva lui, un giorno.

F come Fioretti e Fiorelli
I luoghi che tocca La Francescana sono quelli della vita o della leggenda di san Francesco e che rievocano gli atti, le prediche e i miracoli del poverello d’Assisi. Ad esempio, tra Cannara e Bevagna, nella campagna di Piandarca, si trova il luogo della predica agli uccelli, una delle più celebrate scene degli affreschi di Giotto. Passando di lì anch’io ho ascoltato un concerto di pigolii, di cinguettii, di trilli e gorgheggi. Ma provenivano tutti dal movimento centrale della mia bicicletta, una Fiorelli Coppi del 1959, che ha la sua età e soprattutto un padrone che la trascura. Del resto dai Fioretti alla Fiorelli è un attimo.

G come Grazie
Le Grazie, figure della mitologia romana e simbolo della perfezione leggiadra a cui l’umanità dovrebbe tendere, sono tre: Aglaia, ovvero lo splendore; Eufrosine, la letizia; e Talia, la prosperità. E tre sono anche le Grazie della Francescana: Giada, Daniele e Pamela, e per di più sono intercambiabili in quanto a splendore, letizia e prosperità. Che volete di più? Grazie davvero.

I come Itinerari permanenti
La Francescana è una ciclostorica sui generis. Nata sette anni fa sull’onda della moda del vintage ciclistico, si è da tempo saputa intelligentemente smarcare dalle stanche e poco sensate emulazioni dell’Eroica. In questi anni ha portato a termine un sapiente e paziente lavoro di costruzione di reti e relazioni sul territorio e, grazie a questa attività che culmina nell’evento di settembre, ma che tesse tutto l’anno la sua tela, oggi l’Umbria si presenta come uno dei più interessanti e versatili territori ad alta vocazione ciclabile. Basta andare a vedere, sul sito lafrancescana.it, i cinque Percorsi permanenti tracciati di vario chilometraggio e di diversa tipologia in termini di caratteristiche altimetriche e di fondo stradale (strada, mtb, gravel): facendo perno su Foligno, si va dalla semplice passeggiata in pianura verso Bevagna (35 km), fino alle escursioni collinari verso Trevi (74 km), Montefalco (71 km) e Assisi, Spello e i borghi di pietra rosa (55 km), fino al grande anello della Valle Umbra (165 km) che unisce il territorio di dodici comuni e abbraccia una straordinaria offerta paesaggistica, storico-architettonica ed enogastronomica della regione.

M come maglie
Mi diverto sempre a leggere le storie e le geografie che posso immaginare guardando le coloratissime maglie dei partecipanti alle ciclostoriche. Dal Velo Club Pianello al Gruppo Sportivo I Maggio C. (Corte? Civita? Costa?) Maggiore; dal Diss. C.C. Huret al G.S. Cicli Caldaro; dal Mugello alla Idraulica Mirandola.

N come Next Generation
Quest’anno alla Francescana ho pedalato con mio figlio, Pietro, detto il Pepe. Gli ho dato la corroborante soddisfazione di aspettarmi sempre, e non per pochi minuti, in cima alle salite. Ovviamente senza farlo apposta. Bontà sua, ai ristori mi ha sempre lasciato qualcosa.

O come Osteria Ciclabile
Invece all’Osteria Ciclabile di via Gramsci, in centro a Foligno, non ho fatto prigionieri. Di lumache in umido, che amo tanto quanto le detestava il Barone Rampante – e del resto non sono Barone né tanto meno Rampante sulle salite, in bicicletta – ne ho mangiati ben due piatti: il mio e quello rifiutato da Guido P. Rubino, per il quale ritengo già un imperituro successo avergli fatto assaggiare, anni fa, un panino al lampredotto.

P come pesche all’alchermes
Sempre all’Osteria Ciclabile di Foligno ho assaggiato le pesche all’alchermes. Ma non erano nella lista del menu. Le ha tirate fuori come strepitoso bonus track della cena francescana Angela Guerra, che le ha preparate con le sue mani. W Angela Guerra! W le pesche all’alchermes. W il Baracca Lugo.

R come Rubbagalline
Sulla strada da Bevagna al Carapace ho attaccato bottone con un ciclista che pedalava su un improbabile condorino e indossava sopra i pantaloni lunghi e sotto un cappellino da pescatore della domenica, una maglietta rossa con scritto sopra RUBBAGALLINE. È stato uno degli incontri più piacevoli dei tanti fatti durante la giornata in sella. Il Rubbagalline è Gianluca Torpedine, aquilano, appassionato cultore di cose ciclistiche e di montagna. Abbiamo parlato di Abruzzo e di salite, di alpinismo e di Primo Levi. Alla prossima Rubbagalline!

S come Sfizio
Stava per iniziare a scatenarsi l’acquazzone, ma come rinunciare al banchetto con la pizza bianca alla cipolla di Cannara? E come non farsi raccontare dalla signora del banchetto che la “morte sua” della cipolla di Cannara è lo sfizio, una specie di “parmigiana di cipolle” che, non so come Francesco si è dimenticato di inserire nelle sue Laudes Creaturarum.

T come torchi
Foligno, come mi ha raccontato Luca Radi – che ho eletto a mia personale Treccani de lu centru de lu mundu – è un importante capitale della stampa. C’è infatti anche un bel museo che racconta questa secolare tradizione artigianale folignate. Qui, nel 1472, nella bottega di Evangelista Angelini, assistito da Johann Numeister, che veniva da Magonza dove aveva lavorato con Johann Gutenberg, venne stampata l’editio princeps, ovvero la prima edizione della Divina Commedia di Dante. Non solo: per vie avventurose e traverse, in una tipografia di Foligno è conservato il torchio speciale con cui Alessandro Manzoni fece stampare le copie dell’edizione del 1840, quella illustrata da Francesco Gonin, dei Promessi Sposi. Insomma da queste parti, con ottimi risultati, si torchiano uve e pure libri.

U come Umbria Bike Festival
Alle pedalate del sabato e della domenica, il programma della Francescana 2021 ha affiancato una vera e propria rassegna di eventi: presentazioni di libri (quello di Flavio Maria Tarolli, Il passe-partout del Novecento. 100 anni del mondo visti della bicicletta, Reverdito Editore, 2021, un viaggio nella storia e cultura del Novecento dalla prospettiva, culturale, sociale e tecnologica della “macchina a pedali”); e quello di Alessandra Schepisi e Pier Paolo Romio, 24 storie di bici (Il Sole24 Ore Edizioni) e di eventi teatrali come l’incontro con gli attori di Stravagante. Festival del paesaggio, introdotti da Marco Pastonesi, Andrea Satta e Marco Scarponi, della Fondazione Michele Scarponi; le tavole rotonde sul tema del cicloturismo e delle nuove frontiere della ciclabilità sostenibile – con Giancarlo Brocci, il padre dell’Eroica, Antonio Della Venezia, presidente del Comitato tecnico scientifico di FIAB, Ludovica Casellati, di Viagginbici, Guido P. Rubino di Cyclinside.it – fino a vari workshop sulla meccanica ciclistica e sulla medicina sportiva.

V come Velodromo Canapé
A Foligno c’è anche uno dei più antichi velodromi d’Italia, oggi trasformato in un bel parco pubblico. Si trova nel tratto di mura tra porta Todi e la torre del Seminario e venne realizzato come area di pubbliche manifestazioni alla fine del Settecento. Nel secolo successivo ospitò diverse manifestazioni ippiche,  circensi, di voli con pallone aerostatico, fino a quando, a partire dal 1899, il  Veloce Club folignate  lo utilizzò per ospitare  corse velocipedistiche.  Nei primi anni del Novecento al Canapè corsero campioni come Ganna e Galetti, il francese Petit-Breton, fino ad arrivare agli anni Venti, per la precisione il 15-16 agosto 1925, quando in una riunione si cimentarono i più forti pistard-routier del momento, da Girardengo a Belloni a Pietro Linari. Al Canapé corse anche  Alfonsina Strada, unica donna a prendere parte, insieme agli uomini, a un Giro d’Italia nel 1924.

Z come zecchiere
Di fronte alla facciata del Duomo di Foligno, c’è un’osteria. Si chiama Bacerotti e fin dal nome (Bacerotti, “ti bacerò”) è una bella promessa. Promessa mantenuta dopo aver apprezzato un’originalissima interpretazione della panzanella, con croccanti verdurine fresche accompagnate da croccante fiore di zucca, una tiepida insalata di faraona con quenelle di patate viola e una crême brulée al rosmarino che meritava di vincere la Giostra della Quintana. L’osteria sta nel luogo dove un tempo sorgeva la zecca pontificia: nel 1514 papa Leone X, il papa Medici, il grande committente di Raffaello, concede licenza di battere moneta a Giovanni Bacerotti. Il nome dello zecchiere folignate è tenuto alto da questa piccola preziosa osteria.

Luca Radi, gran tartufaio di storie, pare abbia scovato questi versi apocrifi del Cantico delle creature di san Francesco. Non giuriamo sull’autenticità filologica. Ma ci sentiamo di condividerne l’autenticità dello spirito.

«Laudato si', mi Signore,
per sorella nostra bicicletta,
ispecialmente se va' piano,
et nullo omo te mette fretta».

 


Alfabeto Nova Eroica

A come Arrigo VII

Buonconvento è un bel posto per venirci a pedalare. Sterrati, salite, discese, borghi e pievi e castelli. Lo sanno tutti da quando l’Eroica ne ha fatto uno dei capisaldi del “Rinascimento ciclistico”. Un po’ meno per venirci a morire, tanto più se, come pare, avvelenato. Capitò nel 1313 all’imperatore, Arrigo VII di Lussemburgo, nel quale Dante, nell’eterna contesa temporale tra papato e impero, e nelle intestine lotte tra guelfi e ghibellini, riponeva le sue speranze di riscatto politico, sbagliando però clamorosamente “cavallo”. Pare che fosse stato avvelenato da un frate, durante la comunione. Si era in piena estate
(24 agosto) e non c’era verso di rimpatriare il cadavere imperiale in Germania. Si fece ricorso a un’usanza germanica: bollire il corpo del morto per separarne le ossa dal resto delle parti molli. Le ossa vennero trasportare insieme alle insegne imperiali, lo scettro e il globo, nel Duomo di Pisa, dove lo scultore Tino da Camaino eresse un monumento funebre al sovrano. Che da questo fatto derivi il nome della celebre ribollita, noto piatto dei mitici ristori eroici?

B come Berruti, Luciano

Perché son quattro anni che non c’è più ma è come se non fosse mai andato via. Sempre qui. Non c’è quasi bisogno di ricordarlo. E se ce ne fosse bisogno basterebbe incrociare gli occhi di Jacek, suo figlio, e quello che dice e che fa con la schiettezza ereditata da un padre che era anche “il suo migliore amico”. Luciano, numero uno per sempre.

C come Crine del Carube

Biondo era bello e di gentile aspetto. Oddio, proprio gentile magari no… Però biondo e bello Roberto Lencioni, detto Carube, s’è palesato iersera all’ombra delle mura trecentesche di Buonconvento “a miracol mostrare”. A colpire l’attenzione degli affezionati che lo hanno accolto, erano i boccoli dorati che sfuggivano alla sorveglianza d’un vezzoso cerchietto. “Oh Carube!” stupirono gli amici. “Tranquilli” disse il Gran connestabile del Re Leone “non vedo il barbiere da mesi”. Per poi aggiungere bellicosi propositi che si tacciono per prudenza e decenza.

F come Franchetti

Franco Rossi, detto Franchetti, è il motore organizzativo della gran macchina di Eroica. È la corrente alternata del generatore. Il pullulare di elettroni nell’elemento chimico eroico. È uno e trino. Ubiquo e polimorfo. Pettinato come se la Forestale gli avesse fatto un giro in testa, come dice il Gatto, il re dei numeri de L’Eroica. Elettrico e sempre in tensione. Ma col sorriso.

I come I’ Bbrocci

Tutto questo mondo eroico non esisterebbe proprio se un quarto e passa di secolo fa non si fosse accesa la luce visionaria e donchisciottesca di Giancarlo Brocci da Gaiole. Il Brocci, anzi I’ Bbrocci ha
michelangiolescamente toccato il dito degli eroici adamitici e ha dato il là alla genesi. Molte cose sono successe nel frattempo, anche di grosse e non sempre di dritte. Come tutti i fenomeni di “lunga durata” anche L’Eroica per sopravvivere ha dovuto accettare l’evoluzione: ma è impossibile dimenticare dove e come tutto prese inizio. Se si ha ben presente da dove si proviene, difficile che si perda il senso di dove si vuole arrivare.

L come Lampredotto

C’è ci storce il naso al solo pronunciare il nome di questa umile, enterica ma concreta dimostrazione dell’esistenza di Dio. Ci dispiace per loro. Soffermatevi invece a rimirare il pentolone ribollente di aromi, la maestria con cui viene arpionata la sfuggente materia dissimulata in sembianza ittica, la speditezza con la quale a colpi di coltello viene ridotta a una scomposta minuzia, e l’altrettanto prontezza con cui ratto s’intinge il panino nello stesso brodo, non troppo ammollato per preservarne la forma infrastrutturale del companatico, ma inumidito il giusto per assorbirne i vaporosi umori del sedano, della cipolla e della carota, per poi adornarla della gustosa bagna smeraldina. Lampredotto, m’hai provocato. E mo’ me te magno.

N come Nova Eroica

Nova Eroica è un manifesto alla declinazione della libertà in bicicletta. Le mitiche Strade bianche divenute da oltre venticinque anni patrimonio dell’umanità ciclistica vengono qui affrontate non soltanto dalle biciclette d’epoca, come avviene nell’Eroica primigenia e ottobrina di Gaiole, o in quella primaverile di Montalcino; ma anche dalle bici contemporanee, e in particolar modo dalle gravel, oggi il mezzo più adatto per pedalare su sterrati e fuoristrada, su percorsi dall’altimetrie non proibitive. Nova Eroica è per questo un simbolo del nuovo stile dell’andare in bicicletta che si apra a pubblici sempre più ampi ed appassionati. Il Dolce Stilnovo eroico.

M come Monte Sante Marie

È il Galibier, il Mortirolo dell’Eroica. Un susseguirsi di balzi dalle pendenze cattive, che di solito i veri eroici – quelli del “Lungo” dell’Eroica di ottobre – fanno quasi al termine della loro impresa. Vedendo, come dice il nome della salite, più di una Madonna. E invocandola spesso.

P come Panzanella

Era più o meno la metà del Trecento e nelle campagne del Senese si moriva di fame: pestilenze, carestie e quell’insopprimibile voglia di fare le guerre delle prepotenti città nei contadi avevano messo allo stremo la popolazione rurale. Giovanni Colombini apparteneva a una ricca e potente famiglia di mercanti senesi, che si erano poi dati ai banchi di prestito, diventando infine così ricchi e potenti da essere ammessi tra i nobili cittadini. Ma proprio a metà Trecento, Giovanni e tutta la sua famiglia, fulminati da una crisi mistica, donarono tutti i loro averi, si fecero monaci e vissero in povertà e letizia. In un anno ancor più crudo degli altri, intorno a Giovanni, venerato eremita, si strinsero disperati uno stuolo di contadini affamati. Giovanni li riunì in preghiera e fece il miracolo: le sue lacrime pietose bagnarono quel poco di pane secco che gli
rimaneva, e poi irrorarono un ulivo e poi ancora ridiedero vita all’ortaglia d’intorno, che tornò a produrre verdure di campo. Con l’olio, il pane secco ammollato e i frutti dell’orto sfamò centinaia e centinaia di mendicanti. E nacque la panzanella, la panzanella del Beato Colombini. Ora il nome stesso di questo glorioso piatto povero di riuso non rende forse fede alla leggenda. Però alla panzanella, soprattutto da queste parti, e nelle stagioni calde, non si può rinunciare. Io, modestamente, la faccio buona quasi quanto il Beato. E senza bisogno di piangere.

R come Rubino, Guido P.

Con Guido Rubino, giornalista e fotografo, da più di dieci anni ho combinato tante belle avventure sopra e intorno alle biciclette. Stare al suo fianco è per me garanzia di lavoro ben fatto e autentico divertimento. Guido P. Rubino quando è in forma, più o meno sempre, ti fa piegare dalle risate. Ma Guido non è che un esempio tra i molti del significato autenticamente comunitario e amichevole di Eroica: e quello che scrivo di Guido lo potrei dire, a diverso titolo, per Livio, Angela, Alessandra, Maurizio, Willy, Mauro, Cristina, Roberto, Ale, Vittorio… Tutte le volte che ho partecipato, fosse Gaiole o Montalcino, la Nova o in Limburgo o nelle Dolomiti, la cosa più importante è stata quella di sapere di incontrare i vecchi amici e di farne di nuovi.

V come Val d’Arbia

L’Arbia si colorò in rosso nel 1260, nella battaglia tra guelfi Fiorentini e ghibellini Senesi, per il gran spargimento di sangue. Con Nova Eroica in Val d’Arbia i colori, delle biciclette, delle maglie, dei caschi, degli stendardi e dei tendoni del village sotto le mura di Buonconvento non si contano. Un arcobaleno in bicicletta, a dispetto di un meteo capriccioso che ha ingrigito il weekend di mezzo luglio.