È quel periodo dell’anno. Il periodo della mia corsa a tappe preferita: il Giro d’Italia – solo che, per me, è più di una corsa in bicicletta. O meglio, il fatto che sia una corsa in bicicletta le dà qualcosa in più.
Intanto è un’esplorazione della geografia italiana, o di parte di essa. Il punto più occidentale del percorso di quest’anno è Stupinigi, la città di partenza della tappa numero due, e il punto più a nord è il Passo della Spluga nella tappa venti.
L’ottava tappa porta i corridori dal punto più orientale del Giro, la città di partenza Foggia, al suo punto più meridionale a Castelvenere, sessanta chilometri a nord-ovest di Napoli, prima che il percorso di gara giri a nord-est verso il traguardo di Guardia Sanframonti.
La tappa quindici inizia sull’isola di Grado, un luogo che conosco bene. La tappa venti passa vicino al punto d’Italia più lontano dalla costa, Monte Spluga, a 234 chilometri dal mare. Il poeta Giosuè Carducci, primo italiano Premio Nobel per la letteratura, andava in vacanza lì.
Alcuni luoghi vedono il Giro anche due volte: Novara nelle tappe tre e diciannove; Piacenza nelle tappe quattro e diciotto; il paese di Cordignano, vicino a Treviso, nelle tappe quattordici e sedici; Canazei nelle tappe sedici e diciassette; persino un tratto di 4,8 km della SP22 tra Montechiaro d’Asti e Montiglio Montechiaro nelle tappe due e tre.
Altre hanno una sorta di assonanza che si ripete sul percorso: Rovere, Rovereto, Roveredo e Roveleto; Cicognolo e Cigognola; Chieri e Chieti; Castelnuovo Don Bosco e Castiglion del Bosco.
E Carducci non è l’unico tra coloro che hanno reso grande la tradizione letteraria italiana, che verrà ricordato lungo il percorso di quest’anno. Il Giro 2021 celebra Dante e Virgilio: durante la prima tappa i corridori lottano contro il tempo lungo il Viale che porta il nome del vate.
La tappa dodici si addentra nel territorio dantesco lungo le strade bianche della Toscana, mentre il giorno dopo la tappa è dedicata proprio a Dante con la partenza da Ravenna, dove morì 700 anni fa, e l’arrivo a Verona, dove visse in esilio dalla sua amata Firenze.
Poi la tappa diciotto, al km 88,3, passa per Castel Goffredo, luogo di nascita di Virgilio. Vicino a Canossa, alla tappa quattro, il poeta Francesco Petrarca passò l’estate del 1341 per completare il suo poema “Africa”. L’isola di Grado è stata la città natale del poeta dialettale Biagio Marin, candidato al premio Nobel nel 1981, mentre un altro poeta dialettale, Pier Paolo Pasolini, che ha scritto anche in friulano, ha girato a Grado parte del suo film “Medea”, con la diva dell’opera Maria Callas.
E che Giro sarebbe se non fosse anche un Giro musicale? La tappa diciotto ci porta a Cremona, patria dei maestri costruttori di violini Stradivari e Guarneri, e ad Ala, dove Mozart era un assiduo frequentatore del Palazzo Pizzini. Il suo librettista Lorenzo da Ponte, che scrisse i libri per Le nozze di Figaro (1786), Don Giovanni (1787) e Così fan tutte (1790), soggiornò al Castello di Spessa, sul percorso della tappa numero quindici – così come Giacomo Casanova. E, sotto il marchese Aloisio Gonzaga, il Palazzo Gonzaga-Acerbi di Castel Goffredo divenne la capitale del piccolo stato, frequentato da poeti e artisti come Pietro Aretino.
Ma il Giro è anche un viaggio nella cucina italiana, e come potrebbe non esserlo? Prendete la seconda tappa, che ci porta da None, con la sua annuale fiera del cioccolato, alla “città della menta” Pancalieri, a Carmagnola, sede di una fiera annuale del pepe, a Chieri, famosa per la sua focaccia, a Montechiaro d’Asti, la patria del tartufo bianco, a Murisengo, la città natale di Luigi Lavazza, il grande commerciante di caffè, ai centri risicoli di Vercelli e Novara e, naturalmente, la patria dell’aperitivo Campari. L’Italia, in ogni tappa, offre un itinerario simile.
L’undicesima tappa è detta in maniera ufficiale: “la tappa del Brunello di Montalcino”, ma c’è a malapena una tappa che non affianchi o le grandi aree vinicole, o locali vitigni di nicchia. Prendiamo ad esempio la Vallagarina della tappa diciassette, dove si coltivano antichi vitigni Enanzio Lagarino, noto agli antichi come Oenanthium, e Faja Tonda-Casetta, un altro dei più antichi vitigni a bacca rossa, in gran parte abbandonato negli anni ’60, anche se oggi ne sopravvivono alcuni ettari nei comuni di Ala e Avio.
E potremmo parlare all’infinito di borghi collinari, paesaggi, arte e architettura. Ma, tra tutte queste ricchezze culturali si trova qualcosa che è centrale nella carica emotiva del ciclismo: la distanza, la difficoltà, la differenza.
Per difficoltà intendo gli ostacoli fisici, da quelli evidenti e visibili rappresentati dalle montagne, a quelli meno visibili dei ciottoli e delle strade bianche, persino, a volte, la resistenza invisibile del vento.
Per il 40% montuosa, l’Italia è ben fornita di passi di montagna, con Alpi e Dolomiti ammucchiate in cima, e una dorsale di Appennini che corre per più di 1.300 km nel mezzo. Se scegliessi a caso le città di partenza e di arrivo, molto probabilmente troverei sempre un ostacolo fisico tra di loro.
L’Italia è una terra fatta da centinaia di lingue pigramente descritte dagli italiani come dialetti, ma che non sono affatto dialetti, nel senso di variazioni dell’italiano standard, ma vere e proprie lingue che si sono evolute accanto ma del tutto indipendentemente da quella che sarebbe diventata la lingua nazionale, che è essenzialmente la lingua – o dialetto – di Firenze.
Tornando al regno del simbolico, come nazione che è stata unificata solo nell’anno 1860, l’Italia è ancora lacerata da rivalità storiche tra villaggi, città e regioni e attraversata da linee di divisione di lingua, cultura e visione del mondo, evidenti nelle più piccole cose quotidiane. Per esempio la divisione riso-pasta o la divisione burro-olio d’oliva. Chiedete “Un nero” alla stazione ferroviaria di Trieste e avrete un caffè piccolo e forte in una tazza da espresso. Chiedete “Un nero” al bar della stazione successiva, Monfalcone, e vi daranno un bicchiere di vino rosso.
Così l’Italia offre infinite opportunità per l’attraversamento simbolico delle soglie, consce o inconsce. Tutti questi fattori la rendono un terreno incredibilmente fertile per il ciclismo, e il Giro d’Italia uno spettacolo così magico e avvincente.
Oppure pensate a un’altra grande nazione ciclistica, la Colombia, una terra dove la gravità a volte sembra spingere troppo forte. Uno storico nazionale la definisce “una nazione a dispetto di se stessa”. L’invisibile rete di linee che i suoi ciclisti tracciano sulla nazione pare a volte l’unica cosa che la tiene in piedi, intrecciando passato e futuro mentre i ciclisti portano la croce della loro patria sulle montagne dove, attraverso atti volontari di sofferenza, sembrano pagare la penitenza per i peccati della Colombia.
Così il ciclismo, lo sport del territorio per antonomasia, è un grande unificatore. Se le gare di ciclismo hanno un ritorno emotivo superiore ai disagi locali che causano, è forse grazie al senso di appagamento che il ciclismo ci regala con le sue emozionanti scene di trionfo, le sue ardue odissee atletiche perpetrate lungo l’ambiente che attraversa.
E, andando indietro nel tempo, anche oltre il primo Giro d’Italia, fino alla prima classica in assoluto, la Milano-Torino di 145 anni fa, si attraversa anche un altro tipo di soglia: la soglia del tempo.
Mentre corriamo verso il futuro, la bicicletta, quella macchina elementare, lo strumento di lavoro del contadino, tiene aperte le nostre linee di memoria collettiva del passato. Anche questo si avvicina molto all’essenza del ciclismo.
Foto: Luigi Sestili