Non sappiamo ancora se la gloria sia passata dai venticinque chilometri della salita che da Prato porta ai 2758 metri del Passo dello Stelvio. Sappiamo solo che questa ascesa rimane leggenda, un serpente di asfalto che si inerpica fra foreste e alpeggi levandoti il respiro, un trampolino lunare che per i corridori è un giudizio universale. Dal versante altoatesino, come nel Giro 2020, da quello lombardo o da quello svizzero. Proprio per tutti i gusti.
Questa salita ha il suo guardiano, il suo cappellano che macina chilometri a ripetizione su queste rampe e conosce ogni cambio di pendenza, riconosce ogni crepa sulla strada, sa dove poter rifiatare, rilanciare, attaccare. È Daniele Schena, per tutti Stelvioman, come indicano i suoi profili Social. È salito ai quasi 3000 metri del Passo un centinaio di volte da Prato, circa trecento invece da Bormio dove risiede. Se hai provato a scalare lo Stelvio al suo fianco ti insegna, ti consola, ti scuote. È come uno sherpa, una guida che ti scorta verso questo paesaggio lunare fatto di morene e circondato da pareti di neve perenne. Lo Stelvio, da Prato, per Stelvioman ha emesso diverse sentenze. «Davano per spacciati gli Ineos? Hanno fatto loro il ritmo, hanno fatto loro un capolavoro con Dennis e Geoghegan Hart. Non si recita mai il de profundis prima di salire in cima allo Stelvio».
E Stelvioman sul ritmo impresso, racconta «Lo hanno talmente temuto che lo hanno affrontato forse inconsapevolmente con spavalderia e facendo selezione fin da subito con un ritmo elevatissimo. Non hanno aspettato Cancano per spaccare il gruppo di testa. Che spettacolo!».
Del resto lo Stelvio è così. Talmente magico che è imprevedibile in ogni suo aspetto. Dalla tattica con cui lo affronti, dall’incognita di una crisi dietro un tornante, alle condizioni meteo a volte davvero proibitive. «Per essere ottobre inoltrato il meteo è stato clemente. Il freddo si sentiva solo nella picchiata verso Bormio, ma a quell’altitudine è inevitabile. Keldemann ha pagato il fatto di non essersi allacciato il giubbino e così ha perso un po’ di forza quando doveva spingere in direzione della salita di Cancano». Un profeta, come quando ricorda che «Da maggio a ottobre un giorno puoi trovare una temperatura gradevole, altre volte condizioni invernali. Devi avere con te i giusti cambi, le protezioni adeguate, accorgimenti che possono salvarti da spiacevoli sorprese. E occhio alla discesa: non bisogna emulare i professionisti. I tornanti sono stretti e impervi, bisogna prestare la massima attenzione e rimanere concentrati. Spesso attacchi la discesa e sei ancora poco lucido, annebbiato dalle fatiche della salita».
Questa tappa è stata la sua tappa. Lui che ha accompagnato come un angelo custode migliaia di turisti. E sì, perché Stelvioman è stato il primo a lanciare il turismo della bicicletta a Bormio sdoganando il fatto di essere solo meta per gli sport e il turismo invernale. Di turismo e di accoglienza ne sa e ci vede lungo. «Un aspetto positivo la vittoria di Hindley, un australiano. Così lo Stelvio sarà ancora più internazionale, come quando vinse De Gent e l’estate successiva arrivarono parecchi belgi». Natura e watt certo, ma lo Stelvio è anche storia. «Ogni volta che lo scalo mi emoziona sempre questo lavoro di ingegneria stradale. Un capolavoro costruito nel lontano 1815». Stelvio, antologia e storia. Ma qual è il versante per antonomasia? «Mitici tutti certamente, ma quello che sento più mio è quello di Bormio».
Di Gabriele Pezzaglia
Foto: Pentaphoto