Adam Hansen e l'ultimo ballo di un formidabile genio
Chissà a cosa pensa Adam Hansen mentre pedala per l'ultima volta nella sua corsa preferita «Il Giro d'Italia, dove la gente a bordo strada ti adora: qui ho trovato i veri tifosi del ciclismo». Fanno ventinove grandi Giri totali disputati con quello che sta correndo: chissà se ci penserà o gli verrà in mente qualcosa di bizzarro, geniale, struggente.
Chissà se penserà a quella volta sullo Zoncolan nella quale pedalava urlando di gioia in una delle salite più dure del mondo, abbracciato a un tifoso italiano che lo riprendeva con una GoPro; o se gli verrà in bocca il sapore di quella birra presa al volo e scambiata con una borraccia sul Monte Grappa o all'improvviso avrà il ricordo di quello scatto sull'Alpe d'Huez nel quale si vede lui, tranquillo, con una birra in mano come se stesse facendo la cosa più naturale del mondo.
Chissà se penserà ai suoi trentanove anni che lo hanno portato a fare una scelta di vita, nemmeno troppo inconsueta per uno così. «Alla fine di questo Giro, mi darò al Triathlon». Avrà la possibilità, Hansen, di staccare il cordone da quel mondo riluttante alle innovazioni. Lui studia, sperimenta, analizza, sceglie, ma l'UCI poi gli mette sempre delle regole che lui, fine ricercatore, cimentandosi nell'Iron Man potrà agilmente superare. «Non essere più vincolati dai paletti della Federazione Ciclistica Internazionale per me è fantastico» racconta a José Been sulle colonne di Cyclingtips. «Sarò come un bambino in un negozio di dolciumi. Potrò sbizzarrirmi con l'aerodinamica; potrò scegliere i miei sponsor, fare tentativi di ogni genere per la posizione in bici e per quella del manubrio».
Perché Hansen, oltre a realizzare scarpe da ciclismo ultraleggere, a stampare mascherine chirurgiche nel periodo del lockdown («C'era carenza, mi pareva una buona idea») in quello che è un vero e proprio laboratorio tecnologico nella sua casa di Frýdlant nad Ostravicí in Repubblica Ceca prova ogni sorta di innovazione perché la sua testa non sa mai stare ferma e viaggia più veloce delle sue gambe.
«Utilizzando il software Leomo testo le diverse posizioni in sella, in particolare per le prove contro il tempo. Se l'UCI non mi faceva fare nulla, con il Triathlon potrò davvero scatenarmi».
È l'uomo dei record, Adam Hansen: venti grandi giri consecutivi corsi e conclusi, uno pure con una frattura alla mano, costruisce lacci elettrici per le scarpe come fosse in Ritorno al Futuro: «Al posto di un sistema a cricchetto, un motore elettronico». Ha vinto una tappa al Giro in quello che sembra un secolo fa, è stato (lo sarà ancora per qualche giorno) un perfetto uomo squadra, pilota per velocisti e involucro umano per gli altri capitani.
Cyclist Magazine lo definisce: «Un programmatore di grande talento» tanto da tenere lezioni alla James Cook University del Queensland e aver sviluppato un software per quella che ancora per poche settimane sarà la sua squadra.
Vegano, d'inverno molla la bici e si dà allo sci di fondo, al trekking, all'escursionismo, gioca in borsa e investe nel settore immobiliare, ha persino raggiunto un campo base sull'Everest a 5.430 d'altezza, e si prepara alle corse mangiando verdura. «Noi ciclisti professionisti in realtà siamo tutti vegani» sostiene. «Durante la gara la nostra principale fonte di energia sono i carboidrati provenienti dai gel o dalle barrette energetiche».
Dice che il suo segreto è quello di pensare poco alle corse. «Gli altri interessi mi aiutano a mantenere l'equilibrio: sarei diventato matto in poco tempo se l'avessi vissuta come un'ossessione». Si definisce versatile e crede che la deriva presa dai suoi colleghi non possa portare a nulla di buono. «Molti corridori dimenticano che esiste una vita oltre alla bicicletta, certi ragazzi mi spaventano un po'. Penso che bisognerebbe inventare un programma per aiutare i ciclisti ad adattarsi al mondo reale». Paradossale.
Fra pochi giorni Adam Hansen smetterà di pedalare in gruppo, ma già ci mancherà. Trovatene un altro così.
Foto: Alessandro Trovati/Pentaphoto