Un panino, un campione del mondo e le Granfondo che vorrei

«Ci siamo seduti al ristoro, sulle panchine, con i panini al prosciutto in mano e, togliendoci il casco e gli occhiali, ci siamo guardati negli occhi. Quando parli mentre pedali ti senti, ma non ti vedi mai completamente. Ai ristori ci si scopre». Ce lo racconta Alessandro Ballan: oggi, alla Granfondo VENEtoGO ha accompagnato un gruppo di ottanta persone lungo 112 chilometri, da Cittadella a Cittadella, passando per Asolo, La Tisa, La Rosina e Bassano del Grappa, prima di tornare a Cittadella. Noi lo abbiamo seguito, con qualche sosta sul percorso mentre qualcuno ci chiedeva del passaggio della corsa, «quella in compagnia», e altri se i ristori fossero accessibili a tutti, anche ai non iscritti, «perché un panino fra gente che pedala è sempre più buono». Ballan ha cercato di parlare con tutti loro, nelle quattro ore in sella.
«Quando qualcuno mi racconta delle Granfondo che ha corso chiedo sempre se ha visto il paesaggio, se si è reso conto dei posti che ha attraversato. Ci sono persone che scalano il Pordoi all'alba e non se ne accorgono. Com'è possibile? Sono stato professionista per molti anni, ho corso cinque Tour, e non ho mai visto nulla tranne il sedere del corridore che mi pedalava davanti. So cosa significhi, so quanto questa vita possa nausearti a lungo andare. Per questo trovo inconcepibile vivere così le Granfondo. Le Granfondo dovrebbero essere ciò che è accaduto oggi: un modo per divertirsi, stando assieme, senza gara». Ballan è certo che sia un'anomalia italiana perché negli altri paesi si è preservata la partenza alla francese e uno spirito diverso. «Da noi, il focus si è spostato sui risultati e le persone rischiano, in alcuni tratti su strade aperte al traffico, senza nemmeno essere completamente coperte dal punto di vista assicurativo. Magari senza cambio ruote che resta con i primi».
Oggi lo vedevi veleggiare nel gruppo, tranquillo, cercando di conoscere un po’ tutti. «Ad Asolo ho raccontato che quel versante è stata la prima salita che ho scalato in vita mia. A “La Tisa” di quando la scoprimmo con Pozzato e Tosatto e di quando la percorsi tre volte di seguito nel 2012, prima del Fiandre. Alla fine, c'era persino un gruppo di tifosi ad attendermi in vetta. “La Rosina” la facevo dietro macchina a trenta all'ora per il Mondiale. Raccontavo, raccontavo e loro mi ascoltavano». Il momento più bello, dice Ballan, è quando i tifosi capiscono che alla fine sei esattamente come loro, si fidano e ti raccontano del loro mondo. «Con un manager ho parlato della sua azienda, dei suoi e dei miei progetti ma anche delle difficoltà. Qualche genitore mi ha chiesto delle mie figlie e mi ha raccontato delle sue. Da professionista non hai molto tempo per stare con i tifosi e spesso ti vengono chieste le solite cose, invece è bellissimo vedere che sono interessati alla tua vita e interessarti alla loro. Scambiare pareri, anche chiederli».
In certi tratti Ballan testava la gamba e scherzava con chi gli era vicino: «Sì, i dati sono buoni, ma una volta quei dati li avevo dopo 200 chilometri di corsa. Appena smetti, hai sempre lo sguardo su quel computer perché, sotto sotto, ti interessano ancora i watt e i dati. Lo togli quando vedi che non fai più le prestazioni di una volta. Ecco: da quel giorno vivi la bicicletta. Ho parlato con Bennati e Pozzato: noi siamo cresciuti nell'agonismo, eppure questa cosa ci piace. L'ho detto anche oggi: non esco in bicicletta senza bel tempo, senza compagnia e senza pausa bar. C'è un piacere incredibile nel vivere così la bicicletta». Qualcuno, mentre lo vede passare, dice a un bambino che quello è il Campione del Mondo del 2008: «Ho ancora la videocassetta, anche se non posso più vederla». Chiosa un signore.
Ballan prosegue: «A distanza di anni, dopo migliaia di chilometri, anche oggi ho scoperto strade e salite nuove. Succede spesso e ogni volta mi meraviglio. Ti rendi conto di che mezzo sia la bicicletta? In Veneto, poi, c'è tutto: collina, mare, fiumi, montagne. Dovremmo avere fame di scoprirli questi luoghi, di conoscerli, come dovremmo avere voglia di conoscere la persona che pedala davanti a noi. C'è tempo e mettersi a discutere sui cinque minuti in più o in meno per una salita non ha senso».
Anche perché la vera differenza nel ciclismo la fa proprio questo. «Oggi era organizzato, ma in bicicletta può davvero succedere di incontrare il campione che ammiri in televisione e fare una parte di allenamento con lui. Certo, magari si farà fatica a resistere al suo ritmo, ma farete la stessa strada e almeno per un tratto fianco a fianco. Il ciclismo non è più uno sport, una bicicletta costa, costano i materiali, è diventato uno sport di nicchia, ma quando ci sali una volta, e impari a gustartela, difficilmente non vuoi tornarci». Perché, fra tutte le cose che ha raccontato a VENEtoGO, Ballan voleva soprattutto dire questo: godetevi la vostra bicicletta.


Raccontami del Ballero

Questa storia trova casa ai Mondiali di ciclismo di Varese 2008. Proprio in quella prova in linea vinta da Alessandro Ballan, domenica 28 settembre. L’ultima volta in cui la maglia iridata in linea è stata vestita da un italiano. Questa storia, però, non parla di quel giorno. Fa un salto indietro, ai giorni prima. Vorremmo dire che questa storia parla di visioni e capacità di trasmetterle. Di tutto ciò che ha a che vedere con la probabilità che, quando si comunica agli altri, diventa possibilità. Diciamo che questa storia parla di Franco, di Franco Ballerini, il “Ballero”. Ed è una storia ambientata in un aeroporto nelle Fiandre, nella primavera di qualche anno fa. Con un sottofondo di voci e rumori che, miracolosamente, non ci hanno fatto perdere un briciolo di senso del nostro chiacchierare. Questa storia racconta di quella volta che contattammo Alessandro Ballan per parlare di “Giro delle Fiandre” e finimmo a ricordare Franco, il commissario tecnico.
«Ti racconto questo, per dire di chi era Franco Ballerini. Pensa te, raccontare Franco...»

Alessandro Ballan riprende così il discorso che si era interrotto, a causa della partenza di un aereo, mentre parlavamo di pietre e io gli chiedevo: «Parlami del Ballero». Ballan non sa da dove iniziare o, forse, lo sa anche sin troppo bene ma tentenna qualche secondo. Raccontare Franco sembra impossibile perché Franco poteva essere qui e, chi era Franco, avremmo tutti preferito sentirlo dalle sue parole. Ma, certe volte, siamo vicari delle storie di altri e ci tocca raccontarle anche se fanno male. E fanno male perché ci è rimasta la storia ma manca tutto il resto. Così Alessandro torna a parlare, abbassando la voce, quasi per custodire quel ricordo.

«Al Mondiale di Varese era tutto pensato per Paolo Bettini. Sarebbe stato il suo terzo mondiale consecutivo, dopo Salisburgo 2006 e Stoccarda 2007. Franco era eccezionale nel fare gruppo. Creava un’amalgama tale per cui avresti fatto di tutto per quella squadra e non importava nulla il tuo ruolo. Avresti messo l’anima perché sapevi di essere parte del tutto, di essere una parte importante del tutto, fondamentale. Ognuno di noi si sentiva fondamentale. Ti assicuro che non è facile restituire questa sensazione ai propri collaboratori. In pochi ci riescono, Franco era uno di quelli. Mancavano pochi giorni alla domenica e avevamo già visionato il percorso. Mi sentii chiamare: «Ale, vieni qui!» Era Franco Ballerini.

Mi prese da parte come un padre: «Ascolta Ale, vi sto guardando bene. Ho una convinzione e voglio dirtela. Sai la parte finale del percorso? Quella che tocca il centro di Varese. Io sono sicuro sia adatta a te. Ti dico di più: se parti lì, se piazzi uno scatto secco lì, vinci. Vinci tu, Ale. Credimi». Questa cosa me la ha ripetuta fino al sabato prima. Sappiamo tutti come è andata. L’ho ascoltato e sono partito proprio lì dove mi aveva detto lui. Poi mi chiedi di raccontarti Franco. Come faccio a raccontartelo?»

Alessandro Ballan ha vinto il Mondiale di Varese 2008, per capacità, per caparbietà, per forma fisica invidiabile, per una tattica studiata in maniera certosina e aggiungete voi tutto il resto. Ma Alessandro Ballan, secondo noi, ha vinto il Mondiale di Varese anche per quella visione comunicata. Per quella probabilità fatta possibilità. Franco Ballerini avrebbe potuto tenersi stretta quella visione e comunicarla solo in corsa, dando l’input a Ballan nei chilometri finali. Come C.T. sarebbe stato ugualmente impeccabile. Non lo ha fatto. Lo ha cercato, gli ha parlato, gli ha detto prima quanto credesse in lui. Quanta certezza avesse che quella possibilità fosse simile alla realtà. Lo ha fatto perché sapeva. Sapeva che Ballan aveva tutte le carte per vincere, anche agevolmente, ma sapeva ancora meglio che in un Mondiale può succedere di tutto e, se hai chi crede in te, scatti pure senza un briciolo di forza. Glielo devi. A chi crede in te, devi questo e tanto altro.

Foto: Bettini