L'urlo e il furore

Pomeriggio di Pasqua 2021. Mancano quattrocento metri al traguardo di Oudenaarde, Fiandre Orientali. Il cielo è leggermente velato. L'azzurro si butta nel bianco come avena che si mescola a una zuppa di latte. Sullo sfondo, dietro le transenne, non ci sono tifosi: si vede qualche albero spelacchiato, un po' di verde, segnali stradali che indicano divieto di transito, persino un bagno chimico. Ci sono solo due uomini davanti a giocarsi il successo: Asgreen e van der Poel. Gli altri arrancano e annaspano, si appoggiano a quello che rimane dentro: poco, ma quanto basta per sopravvivere. Si lanciano all'inseguimento o forse più a cercare la consolazione di un terzo posto.

Da un po' di chilometri ci si domanda: cosa deve fare Asgreen? Meglio secondo oppure niente? Cosa deve inventarsi il danese per battere van der Poel allo sprint? Deve aspettare Sénéchal nel gruppetto inseguitore?

Fase di studio, non c'è surplace. Lo speaker è concentrato, c'è silenzio. I telecronisti si schiariscono la voce, le pulsazioni, già alte, salgono ancora. Van der Poel è davanti, ma il suo sguardo è fisso sulla ruota anteriore di Asgreen, ben saldo sul sellino, che nasconde la sua sagacia dietro pesanti occhiali neri.

Trecento metri e lo sprint ancora non parte: "Esattamente come lo scorso anno quando van der Poel sconfisse Wout van Aert", ci si ripete. Duecentocinquanta metri: Asgreen ora si alza sui pedali, un movimento sciolto, come si è mostrato libero da inganni e costrizioni tutto il giorno, sempre attento e all'avanguardia ad ogni tentativo altrui, e a volte persino capace di offrirlo in prima persona, con quel suo fare statuario, le caviglie sottili e la potenza della dinamite danese.

Duecento metri: parte lo sprint. Van der Poel, maglia di campione olandese e calzoncini neri («Quando indossa calzoncini neri al posto di quelli bianchi vuol dire che non è in gran giornata» ripete ossessiva la stampa del suo paese di origine, a metà tra le mani avanti e la scaramanzia), sembra non avere il calcio d'inizio dei giorni migliori. Asgreen, nella sua maglia di campione danese con enorme croce bianca su campo rosso, lo affianca, ma van der Poel ha ancora mezza bicicletta di vantaggio. Ma torniamo all'inizio.

Mattina di Pasqua 2021. Partenza del Giro delle Fiandre. Il cielo è lattiginoso. Un grigio chiaro come la bava di un cane. Fa freddo: corridori che indossano guanti e manicotti. Tutti si nascondono – dovere di sponsor – dietro occhiali di ogni genere, tranne Taco van der Hoorn, in fuga alla Sanremo e da aspettarselo in fuga anche oggi. Anni fa viaggiò per l'Europa con un furgoncino Volkswagen del 1982, battendo come un giovane studente i percorsi delle classiche belghe e italiane. Ci fu una volta in cui frantumò in volata un certo van Aert che ancora non era quello che conosciamo oggi. False speranze: Taco non attacca. In fuga ci vanno prima in quattro che poi diventano sette. Fra loro c'è Bissegger, talento elvetico: sarà l'ultimo a mollare sul Koppenberg a quarantacinque chilometri dall'arrivo. C'è Norsgaard, danese della Movistar, stessa squadra in cui corre sua sorella, lui sì già in fuga alla Sanremo e che raddoppia oggi. Ci sono Denz, uno dei nomi più belli del gruppo, Van Den Bossche, Paaschens, Houle. C'è Wallays: in una fuga che, chilometro dopo chilometro, assume margini preoccupanti, almeno per chi insegue. Wallays vince poco, ma benissimo, se giocasse a calcio sarebbe un falso nueve, sempre all'attacco ma con fantasia, e se la stagione fosse solo la Paris-Tours sarebbe quasi un cannibale.

Si passa con estrema velocità nei paesini dell'est delle Fiandre: case basse e storte, poca gente, porte e finestre che ti osservano con sguardi indisposti, di sbieco. Simboli quasi solo fiamminghi, insegne di pub e friggitorie. Striscioni dei fan club che salutano i propri beniamini. C'è un bambino avvolto in una bandiera più grande di lui e un altro su una pista ciclabile che prova un furibondo sprint su una bici da corsa per tenere il ritmo del gruppetto in fuga.
Ci riesce persino meglio, almeno per un po', rispetto a quelli dietro, col vantaggio che sale fino a toccare i tredici minuti. Nel frattempo una doppia squalifica per scorrettezze: per Fedorov che frena mentre è in testa al gruppo rischiando di combinare un macello e per Vergaerde che prova a colpirlo con una spallata.

Van Avermaet prima e Van Asbroeck poi si fermano a salutare moglie e figli. Si fora e si cambia la bici, si gettano borracce ai tifosi e per questo motivo Schär viene squalificato. Suo padre, oggi proprietario di un negozio di bici, in carriera ha vinto solo una corsa. Era il 1976, era la Setmana Catalana: sconfisse un certo Merckx.

Si procede senza troppi spasmi, cautela e progressione, con il Declercq Express che tira il gruppo e macina chilometri in testa, aiutato da due vagoni nostrani, Affini e Milan, che a conti fatti saranno i maggiori protagonisti per il ciclismo italiano, oggi - a eccezione di un buon Trentin, sfortunato per la foratura nel finale.

La prima delle due accoppiate Oude Kwaremont-Paterberg, a circa sessanta dall'arrivo, dà il via a un'ora e mezza finale di attacchi e contrattacchi. Di pulsazioni che salgono e di cuore in gola. Asgreen, van der Poel, van Aert e Alaphilippe sono i più in palla. Attaccano, chiudono, mangiano la polvere e tagliano l'aria. Con loro c'è pure un sorprendente Haller davanti, seconda giovinezza la sua, austriaco dai capelli lunghi, barba folta, grande tifoso dell'Arsenal. Da piccolo giocava ad hockey ma scelse il ciclismo: con quel fisico avrebbe pure potuto fare il rugbista. Con lui anche un rinato Teuns, da troppo tempo atteso su queste strade a questi livelli.

Ma la corsa di oggi è come un cubo di Rubik completato e dato in mano a un ragazzino. Ogni volta che te lo restituisce devi ricominciare da capo. Poi, come spesso accade in queste corse, in una fase di studio tra i sei - sui quali era rientrato anche il sempre presente Turgis - se ne vanno via i tre più forti oggi: Asgreen, van der Poel e van Aert. All'ultimo passaggio sul vecchio Kwaremont, cede anche il belga, gli altri due vedono Oudenaarde con un fastidio in meno e la storia di questo Giro delle Fiandre può tornare verso l'epilogo inaspettato.

Cento metri all'arrivo: Asgreen supera van der Poel. Sessanta metri all'arrivo van der Poel molla. Forse non bluffava, o almeno non così tanto. Scuote la testa, si inchina. Asgreen è un urlo di furore che colpisce le Fiandre orientali. Van der Poel è secondo, un enorme van Avermaet terzo davanti a Stuyven. Sesto van Aert, migliore degli italiani Bettiol, ventottesimo.

per Alvento Magazine - Alessandro Autieri
Foto: Vincent Kalut/PN/BettiniPhoto©2021


Asgreen trova le risposte giuste

Che cos'è una corsa ciclistica se non un tentativo gagliardo a volte, masochista spesso, di cercare se stessi e poi trovarsi? Un limite spinto più in là, un elogio della bellezza, un'elegia della fatica. Bellezza, limiti, fatica: tre parole che spiegano bene la giornata di Asgreen. Partito gagliardamente a poco più di sessanta chilometri dall'arrivo, ripreso nel dolore (suo e nostro che a un certo punto imploravamo pietà) quando ne mancavano dodici e dopo che gli inseguitori lo hanno avuto a tiro per un'ora, un'ora e mezza.
Ripartito per ritrovarsi quando ne mancavano quattro e poi rivisto e ritrovato all'arrivo, in quella maglia rossa di campione di Danimarca, indubbiamente tra le più belle in gruppo.

E bisognerebbe poi fermarsi un attimo e lanciarsi in un atto di esaltazione del collettivo (Deceuninck) Quick Step, oggi ai massimi termini. Perfetti in ogni frangente di corsa, straripanti. Visione di gioco totale dello schema di gara: mosse semplici quanto efficaci. Ho il collettivo migliore? Tutti muovono nella stessa direzione? Non ci sono van der Poel e van Aert che tengano, allora. Almeno non oggi, quando l'olandese è, a tratti, apparso incerto sul da farsi e in soggezione per la spietata superiorità numerica in blu e quando il belga, invece, dopo aver affrontato la fase finale di corsa tutta in testa, all'improvviso si è spento. Sono (splendidi) umani pure loro: questa è una delle storie più interessanti di oggi. Il ciclismo è anche uno sport di squadra, una lezione importante.

Ma vediamo la migliore formazione in campo oggi. Deceuninck Quick Step era il soggetto: se Asgreen è una splendida punta (e una superba locomotiva), Štybar e Senechal – e a tratti Lampaert – sono stopper d'altri tempi, di quelli che si attaccano alle caviglie e non ti mollano. Mentre Ballerini è specchio per le allodole – e fa gola ai bookmakers – e da Van Lerberghe e dal solito amabile Declercq parte la costruzione dal basso.

E che cosa è stata la corsa di oggi? Ci siamo fermati un po' a riflettere: le ultime due ore da farsi venire un colpo. Duecento chilometri in Belgio e al via (quasi) tutti "i meglio fichi del bigoncio mondiale".  O almeno in questo modo li chiamerebbe uno che una volta definì così Van Steenbergen, Coppi, Koblet e Bobet all'inseguimento di Forestier e Scodellier nella Roubaix del 1955. Ma non divaghiamo.

Che cos'è l'E3 Harelbeke, quindi? Così giovane rispetto ad altre corse del Nord ma ormai ambita pietra miliare. Aizza polemiche con locandine il più delle volte da velo pietoso. Cambia nome ad ogni cambio di sponsor come una franchigia del basket. Prima Harelbeke-Anversa-Harelbeke, poi E3 Prijs Vlaanderen, E3 Harelbeke (come ci piace chiamarla ormai: E3 come l'autostrada che si incrocia ai -9 dall'arrivo), poi E3 BinckBank Classic, e poi, infine oggi, E3 Saxo Bank Classic. Qui dove un certo Boonen ha vinto cinque volte e un certo Merckx mai. Dove i belgi, di casa, negli ultimi anni si sono sentiti fuor d'acqua: se è vero che, a scorrere l'albo d'oro, negli ultimi dodici anni hanno messo la bandierina solo due volte.

Qui si danno appuntamento per la prima volta sulle pietre nel 2021 van der Poel e van Aert – mancava Alaphilippe – costretti dalle vicissitudini di corsa persino a fare squadra. E vederli cercarsi con lo sguardo nel finale è stato quasi tenero, lo ammettiamo.
Una corsa dove alla vigilia i corridori della Vini Zabù (unica squadra italiana alla partenza – nessun corridore della squadra di Scinto classificato all'arrivo) si dilettano in un simpatico siparietto, che vi consigliamo di cercare in rete, sulla loro conoscenza dei muri che avrebbero affrontato in gara - spunta persino uno Scintoberg.

Quei muri, così difficili da mandare a memoria che ti serve una guida alla corsa sempre sotto gli occhi per identificare il Taienberg, il Kanarieberg o il tratto chiamato Karnemelkbeekstraat, che vuol dire semplicemente “la strada del burro fuso“. Muri così difficili non solo da memorizzare per noi e da scalare per loro, ma anche da ripetere ad alta voce con il rischio che ti allappi la lingua e ti si secchi la gola.
Che cosa sono dunque tutti quei muri sparsi mica regolarmente per i duecento chilometri di corsa, ma infilati come il ritmo improvviso di una canzone freak-noise? E così via a farci domande su domande.

E le risposte non si fanno attendere. Arrivano da prima del via: fuori la Bora e con loro Politt, qualche chance la nutriva pure lui: Walls è positivo, la squadra resta al palo. Le risposte le troviamo subito alla partenza: vento forte e nuvole minacciose (che rimarranno tali – un velato monito) tra corridori che sbadigliano dalla tensione e un van der Poel che si maschera dietro una bieca indifferenza.

Le risposte le dà subito il gruppetto in fuga, vecchie glorie (Terpstra e Greipel) giovani rampanti con la scorza dura tra cui Jonathan Milan: se qualcuno non se lo fosse ancora segnato il suo nome, si appresti a farlo, in una giornata magrissima di gioie per i colori italiani (un periodo per la verità che dura da diverse settimane), lui splende (l'è un gran Milan verrebbe da dire, scusate non abbiamo resistito) e in futuro (magari già a Tokyo su pista) splenderà. E poi Haller, fra i meno timorosi davanti, che nonostante la fuga da lontano sarà protagonista con un decimo posto finale, eccetera.

E poi ci sarebbe ancora da dire molto, ma la facciamo breve: Simmons che attacca da solo a ottantaquattro chilometri dall'arrivo perché anche lui ha coraggio da vendere e fa sorridere pensare che quando doveva ancora compiere cinque anni, Greipel, oggi in fuga, correva la sua prima E3. Ci sarebbe da dire dell'attacco concertato dai Quick Step sul Taaienberg, detto Boonenberg un tempo, come ci fosse ancora il campione belga. E poi l'attacco di Asgreen a sessantasei dall'arrivo, van der Poel e van Aert che vanno d'amore e d'accordo, ma non serve a nulla, Van Avermaet che fa ostruzionismo e non si capisce ancora dopo tanti anni come voglia correre, e poi gli italiani che scompaiono, Van Baarle che appare, la Quick Step che spaia e vince. Domande tante e le risposte giuste le trova Asgreen, mentre il suo compagno di squadra Sénéchal è secondo a completare la giornata perfetta, van der Poel terzo e van Aert, cotto a puntino nel finale, undicesimo.

Foto: Nico Vereecken/PN/BettiniPhoto©2021