Tutta la dedizione di Gino Mäder
Il rapporto tra Gino Mäder e la bicicletta si è costruito a partire da una curva. «Alla prima curva sono caduto, mi sono fatto male. Mi sono sentito uno stupido, ci credi? Avrei voluto smettere per quella sensazione di vergogna. Mi è servito, sono cresciuto. Sono cose che succedono». Quella bicicletta Gino la ricorda molto bene, una Coppi, bianca e rossa, con ruote fini, «Quanto era bella la mia bicicletta», ci dice a un certo punto.
Se la passione, per Mäder, è qualcosa di familiare, entrambi i genitori sono stati ciclisti, l'idea che lo svizzero si è costruito della bicicletta ha a che vedere con le sensazioni che ha da sempre sperimentato sulla propria pelle. «Potrei dirti che la bicicletta è libertà, lo è, certamente. Se dovessi scegliere un sinonimo, sceglierei gratificazione. Quando vai in bicicletta ti senti appagato». Così non sarebbe in grado di ricordare il giorno più bello da quando pedala, perché tutti gli hanno lasciato qualcosa. Il giorno più difficile, invece, lo sa bene: la diciottesima tappa della Vuelta di quest'anno. Le rampe de l’Altu d’El Gamoniteiru gli hanno trasmesso le stesse sensazioni di quella prima curva, da giovanissimo, e avrebbe voluto fermarsi. Non lo ha fatto, come non lo fece allora. A Madrid è arrivato quinto, miglior giovane.
Questo è quello che vorrebbe dire ai ragazzi che vogliono diventare ciclisti professionisti: «Non ci sono consigli da dare, o meglio, non mi permetto di dare consigli a nessuno. Solo una cosa: godetevi quello che fate. Godetevelo perché dovrete farlo per molti anni e non sarà sempre uguale. Alcune volte vi divertirà, altre volte per niente. Alcune volte sarete motivati, altre vi chiederete perché vi tocchi. Ma, in ogni caso, dovrete farlo per anni interi e se riuscirete a godervelo diventerà più facile da vivere». Sarà per questo che Mäder non usa molti giri di parole per descrivere le cose; per esempio quando parla della vittoria al Tour de Suisse e dice che ci tiene molto. Gli chiediamo perché e ci risponde abbassando il tono della voce e sorridendo: «Perché è molto bella». Così facile che spesso lo dimentichiamo.
Nel ciclismo mette dedizione: «Quando fai qualcosa e non hai bisogno di guardare l'ora perché lo scorrere del tempo non ti preoccupa: è questa la dedizione». La fatica del ciclismo, invece, è riconducibile a un gesto chiaro: «La tua mente è così finita che non vorresti fare altro che sdraiarti su un letto e non fare più nulla».
In Bahrain ha trovato il clima giusto, il lavoro funziona e l'ambiente è sereno: «Posso raccontarlo io, ma credo lo raccontino meglio i risultati». Da sempre è affascinato dalla Parigi-Roubaix anche se non crede sia adatta alle sue caratteristiche e parlando di Roubaix, soprattutto in questi giorni, non si può non parlare di Sonny Colbrelli. «Ho corso poco assieme a lui. L'ho conosciuto soprattutto nei ritiri. Ha sempre cercato di coinvolgermi e se sono riuscito a integrarmi in questa squadra è anche merito suo».
Proprio alla Vuelta ha fatto molto parlare la sua iniziativa: donare un euro per ogni atleta che avesse concluso la tappa dietro di lui, dieci euro parlando di classifica generale, a un'organizzazione che avesse fatto qualcosa per l'ambiente. Alla fine, circa 15.000 euro sono stati donati a un'associazione per il ripristino degli spazi naturali in Africa e iniziative per il contenimento dell’innalzamento delle temperature. «Un uomo vive su questo pianeta per circa ottant'anni. Quanti anni ha questo pianeta? Quanti anni vivrà ancora dopo di noi? Si parla di un tempo che un uomo non può nemmeno immaginare. Ci comportiamo da proprietari del pianeta, in realtà non siamo nulla». Anzi, Gino lo dice chiaramente: siamo fortunati. «Lo siamo perché viviamo in questo pianeta, perché abbiamo sopra la testa un cielo con un sacco di stelle, perché siamo qui e abbiamo la possibilità di vivere. Perché non ce lo ricordiamo?».
Il paese di nascita di Mäder è piccolo: ha una squadra di calcio e sole poche migliaia di abitanti. Gino ha trovato sin da ragazzino il gusto della scoperta: «Sono legato alla natura, ci sono così tanti posti che ho visto e altrettanti posti meravigliosi che spero di vedere. Noi ciclisti, poi, facciamo il nostro lavoro in mezzo alla natura. Forse non posso fare molto, ma di certo posso provare a essere il meglio possibile per la mia città, il mio stato, il mio pianeta. E se posso farlo, lo farò».
Nel futuro, Gino Mäder vorrebbe che ci fosse qualche tappa al Giro d’Italia e poi ancora tanto ciclismo, quello che non ha mai avvertito come un sacrificio. «L'unica cosa è che mi tiene molto tempo lontano dalla mia famiglia" dice sereno. Perché "ci sono ancora molte cose da fare e per fare bene nelle gare che mi piacciono so di dover lavorare molto». E allora via: le parole di Mäder sono più che mai simili ai fatti.
La forza di ripartire: intervista a Franco Pellizotti
Il Giro d'Italia della Bahrain Victorious non è di certo iniziato nel migliore dei modi. Nel discusso finale della quinta tappa, a Cattolica, la caduta con conseguente ritiro di Mikel Landa ha stravolto ogni piano. Franco Pellizotti, direttore sportivo della squadra, quella sera ha dovuto parlare agli atleti. «Sono situazioni difficili, ma quando parti per una corsa a tappe di tre settimane sai che possono capitare. Il punto su cui ho fatto leva è stato uno: Mikel Landa aveva fiducia in questa squadra perché composta da ciclisti di valore. Questi ciclisti cosa vogliono fare? Vogliono affrontare tutto il Giro a testa bassa perché la sfortuna ha colpito Landa? Non credo sia una buona idea. Il Giro continua in ogni caso, a questi uomini l'opportunità di dimostrare quello che valgono». Sì, perché Pellizotti non ha dubbi: ogni situazione difficile può essere affrontata e risolta con successo. Tutto dipende da ciò che si sceglie di guardare.
«Credo sia fondamentale la chiave di lettura con cui si fronteggia ciò che accade. L'incidente a Landa poteva essere un alibi dietro a cui nascondersi per giustificare un Giro infruttuoso, incolpando tutto e tutti, oppure la spinta per reagire e portare ognuno a fare ancora di più. Ciò che ti arriva addosso e sembra farti solo male, spesso è anche portatore di grinta, coraggio e volontà. Certo non bisogna piangersi addosso. La squadra è ancora qui, si cambia tattica e si prosegue». Queste cose, il direttore sportivo della Bahrain le ha ripetute anche domenica, dopo lo spaventoso incidente di Mohorič, che fortunatamente ora sta bene. Anche se, continua Pellizotti, in questo secondo caso le cose sono state diverse.
«Un conto è ciò che dici, un conto ciò che accade. Per fidarsi di te, la squadra deve vedere che ciò che hai detto è vero. Che se fa in un certo modo, si può far comunque bene, seppur non puntando alla classifica generale ma alle tappe».
In questo senso, fondamentale è stata la vittoria di Gino Mäder ad Ascoli Piceno, la tappa successiva alla caduta di Landa. «Lì c'è stata la svolta. Avevo detto ai ragazzi di pensare alla Ineos Grenadiers che, l'anno scorso, dopo la caduta di Geraint Thomas ed il suo ritiro, ha costruito la vittoria del Giro. Loro hanno messo in pratica il tutto con un capolavoro tattico. In quel momento è tornata la fiducia: hanno visto ciò che possono fare. E Mäder ha trovato quella vittoria che gli sfuggiva da troppo tempo».
Franco Pellizotti è un direttore sportivo giovane e, quando si parla di esperienza, fa leva su quella accumulata da atleta. «Dirigo, ma in realtà mi sento sempre su quella sella, mi sento sempre un ciclista. Capisco bene quello che può passare nella testa in queste occasioni». Così va nelle camere degli atleti e parla singolarmente con ciascuno. «Quando accadono queste cose è giusto parlare a tutta la squadra, ma anche avere un approccio individuale. La direzione da prendere è generale, ognuno però ha un proprio carattere ed una propria sensibilità. Ciò che sprona un ragazzo, può ferirne un altro. Bisogna considerarlo».
Per farlo è imprescindibile la conoscenza. «Nella vita di ogni atleta ci sono molteplici spigolature. Quello che l'atleta è, come si comporta, non dipende solo da quello che vive nel ciclismo. Se conosci bene gli uomini con cui lavori, sai su che aspetti far leva, sai cosa hanno passato e di conseguenza che parole dire e che modi usare».
Foto: Luigi Sestili