L'ultimo Giro di Manuel Belletti

Quando Manuel Belletti è partito per il Giro d'Italia era felice, ma aveva anche paura. Al Giro di Turchia, una caduta gli aveva causato delle microfratture delle costole, bastava un nulla per peggiorare la situazione ed in corsa può succedere di tutto. «Purtroppo durante la terza tappa sono caduto: il medico di gara ha capito subito la situazione e mi ha consigliato di fermarmi. Non l'ho ascoltato e all'arrivo faticavo a respirare. Nei giorni successivi ho provato a continuare, ma un colpo di vento, mentre infilavo la mantellina, mi ha messo fuori gioco. Non è possibile fare i conti solo con ciò che si vuole, arriva il momento in cui devi accettare ciò che puoi e non puoi fare. Alla sesta tappa, sono tornato a casa».

Sì, perché Manuel il suo ultimo Giro d’Italia avrebbe voluto concluderlo a tutti i costi. «Dopo la caduta ho proseguito solo di testa. Il ciclismo ti insegna anche ad usare la testa per ingannare il corpo e per arrivare dove non penseresti mai. Quando ti guardi indietro, non riesci nemmeno a capire come hai fatto, perché lo hai fatto. Sembra illogico pedalare per cento chilometri quando anche da fermo senti un male assurdo perché non respiri. Anzi, è illogico». Belletti è sempre stato così, sin da ragazzo, dopo quattordici anni di professionismo, però, c'è di più: «Ho imparato a conoscermi, ho scoperto cose di me che non avrei mai immaginato. Molti mi dicono che ora sono un uomo più forte, in parte è vero. Ma è altrettanto vero che sono anche fragile, molto fragile su certi aspetti. Senza dubbio mi conosco e questo credo sia un dovere di ogni persona. Per esempio, dopo la Tirreno Adriatico di qualche anno fa, ho capito che ho paura del freddo, l'ho accettata ed ho provato a farci i conti per superarla».

Belletti è un ragazzo sincero, lo capisci quando gli chiedi come stia e non si limita alla risposta di circostanza. Te lo dice chiaramente, prendendo seriamente la domanda ed ancor più la risposta: non sta ancora bene e si sta sottoponendo a fisioterapia. Una domanda che, quando sei un ciclista, ti senti fare dai tuoi familiari al telefono, ogni mattina ed ogni sera. «Loro vogliono solo che io stia bene e di questo si preoccupano. Però, nel tempo, ho capito anche che non puoi pensare di ascoltare sempre tutti, di non far mai torto a nessuno. La tua fatica e le tue scelte ti appartengono: devi imprimere tu la direzione che vuoi».
Lui spiega di averlo sempre fatto, anche quando ha deciso che sarà l'ultimo anno da professionista. «Proprio perché credo al valore delle decisioni, voglio scegliere io quando smettere. Non voglio arrivare ad essere obbligato a farlo per mancanza di contratti. La mia testa dice così. Chi mi conosce, pensa che avrei potuto ottenere di più nella mia carriera se, in qualche occasione, non mi fossi accontentato. Credo sia vero. Io, così critico con me stesso, mi sono accontentato diverse volte. Continuare a pensarci, però, non cambierà la situazione. Ad un certo punto ho iniziato a sentire il bisogno di una vita più regolare. Meglio: ho iniziato a sentire la necessità di vivere il mondo che c'è la fuori, quello reale».

Ed è a proposito di quel mondo che Belletti ha la sua paura più grande. «Ho fatto tanta fatica in bicicletta, ma chiunque lavori fa fatica. Sono stato un privilegiato perché sono stato pagato per fare ciò che mi piaceva. Molte persone, per portare a casa uno stipendio, devono fare cose che non amano, che odiano nel peggiore dei casi. Ora che anche per me viene il momento di andare là fuori, ho il timore di non esserne capace. So di non avere le competenze per fare un altro lavoro, so di dover ripartire da zero e questo mi fa paura. Ma l'ho scelto e lo farò. Senza dubbi».