Claudia Cretti: «Ho imparato a sognare»
Claudia Cretti ricorda bene il pomeriggio in cui i suoi genitori le posero una domanda: «Claudia sei sicura di voler tornare a correre in bicicletta? Perché non fai qualcos'altro? Possiamo cercare assieme un lavoro. Ci pensi?». Era già passato diverso tempo da quel 6 luglio 2017 quando Claudia cadde rovinosamente durante la settima tappa del Giro d’Italia femminile. Il gruppo era in provincia di Benevento, in discesa, e la velocità era folle: 90 km/ora. Da lì la corsa in ospedale, tre settimane di coma e due operazioni alla testa: «Qualche giorno prima telefonai a mamma, le dissi: ''Mi sento bene, le sensazioni sono davvero buone. Perché non vieni a vedermi a Napoli? Quella tappa te la vinco”. Sappiamo come siano andate le cose». Claudia oggi è felice e racconta quei momenti con una serenità che può sorprendere l'interlocutore: «Sono sincera, a me spiace molto di più per i miei familiari che, a livello psicologico, hanno sofferto molto più di me. Non si può neanche immaginare cosa voglia dire per un genitore arrivare di corsa in ospedale e temere che un medico esca da una stanza dicendo che la figlia non c'è più. I miei genitori hanno avuto questa paura, la stessa dei miei fratelli e delle persone che mi vogliono bene. Ho i brividi solo a pensarci».
Lei, da quando è tornata ad essere cosciente, ha avuto subito quell'idea: «La bicicletta è sempre stata il mio tutto, la mia vita. Senza bicicletta mi sarei sentita persa, non potevo rinunciarci. Per ora non posso correre tra le professioniste e ho intrapreso questa strada nel paraciclismo. Sai che è la mia spinta vitale? Mi sono posta dei traguardi e provo a raggiungerli. Spesso non si pensa a quanto questo possa fare la differenza». La differenza, a dire la verità, la bicicletta nella vita di Claudia l'ha fatta sin da piccola: «Tutto è iniziato quando sono andata con i miei genitori a vedere una gara di mio cugino. Mentre tornavo a casa continuavo a ripetere a mio papà che volevo diventare una ciclista. Lui non era molto convinto ma io so essere testarda. Al pomeriggio vedevo il Giro d'Italia e rimanevo incantata dalle imprese di Marco Pantani; l'apice fu la sua vittoria a Montecampione, non lontano da casa mia. Insistetti talmente tanto che, la notte di Natale, papà mi regalò un paio di scarpette da ciclista fucsia, il mio colore preferito. Avevo nove anni». La voce si rompe quando, parlando dei suoi idoli di infanzia, Claudia Cretti ricorda Alex Zanardi: «Alex è unico. Lo ho conosciuto ed è un vulcano di vita. Ride e scherza sempre. Sarà difficile uscire da questa situazione, per lui è la seconda volta, ma io sono sicura che ce la farà, deve farcela. Non può mollare, ce lo ha insegnato lui, no?». Ma cosa significa non mollare? «Vuol dire che quando le gambe ti fanno male, quando tutto ti fa male devi trovare il coraggio di continuare ad insistere ancora. E non sai quante volte succede nella vita di tutti i giorni».
Sono tante le persone che le sono state accanto, Claudia vuole citarne due in particolare, Ana Covrig e Francesca Porcellato: «Quando mi hanno trasferita nel secondo ospedale, Ana veniva quasi tutti i giorni a trovarmi. Quanto tempo abbiamo passato assieme, quante cose ci siamo dette. Francesca è speciale. Mi ha insegnato tantissimo, mi ha raccontato di lei e mi ha dato tanta forza». Ci sono tutte le cose che sono cambiate e che Claudia sta affrontando, fuori e dentro il ciclismo, e quelle emozioni che, dopo l’incidente, hanno iniziato ad uscire e a lasciarsi scorrere. Si è iscritta a un corso di inglese per tornare a parlarlo come una volta ed è sicura che, un domani, dopo la carriera ciclistica finirà l'università. Qualche mese fa, al Giro delle Marche, a Recanati, è tornata in sella fra le professioniste: «Certe emozioni non puoi neanche raccontarle, sono troppo belle. Magari non succederà, magari non potrò più correre con loro ma io voglio credere che un giorno questo sarà possibile. Io ci credo». Per il domani invece c'è un sogno immenso ma è bello così, altrimenti che senso avrebbe? «Voglio arrivare alle Olimpiadi, voglio arrivarci meritandomi quel posto con i risultati nel paraciclismo. Per me è tutto più difficile perché non sono abituata a questo modo di correre. In volata io era protetta dalla squadra, ora devo spingere sui pedali dal primo all'ultimo istante. Ma ci sono diversi segnali che mi danno la voglia di sognare. Per esempio quando incontro i bambini e mi guardano come solo loro sanno fare, mi fanno domande e poi scoppiano in quell'applauso. Ecco, io lì mi vedo nel futuro. Mi immagino alle Olimpiadi durante l'inno o durante la sfilata. E mi commuovo».