Il sogno è nelle Fiandre
Ilaria "Yaya" Sanguineti ha un rapporto complicato con i sogni. Dice che a sognare è bravissima, precisa che custodisce sogni bellissimi, ma, allo stesso tempo, racconta di una sorta di pudore nei sogni: «Qualche volta penso di aver paura di sognare fino in fondo, perché ho paura di restare delusa. È brutto accorgersi che, in certi momenti, ti sforzi di rimpicciolire ciò che desideri per questo motivo, ma so che mi accade». Il sogno principale, quello di essere una ciclista, è nato per caso il giorno in cui da bambina ha visto tornare a casa suo fratello con una divisa da ciclista piena di colori. Lei voleva una divisa simile più che una bicicletta, fu suo padre a dirle: «Se vuoi la maglia, devi correre in bicicletta». Provocazione accettata, prima gara vinta e una crescita costante e graduale.
«A diciotto anni, magari, riesci a guadagnare duecento euro al mese e ti sembrano tantissimi, sebbene cosa puoi fare con quella cifra? Adesso, se sei brava, a quell'età puoi già avere uno stipendio che ti permetta di vivere da sola, dieci anni fa era diverso. Però, quando parlavo con gli amici, dicevo che avevo trovato un lavoro, che lavoravo e avevo uno stipendio, mi sembrava di essere cresciuta». Non è facile, prosegue Yaya, perché per la maggior parte delle persone il ciclismo non è un mestiere, non riescono a concepirlo come tale e per farlo capire è spesso necessario aggiungere spiegazioni: «La frase più comune è: "Ah sì, vai a divertirti”. No, è un lavoro, può anche divertire, ma resta un lavoro e certe mattine ripartire è proprio difficile». Ilaria Sanguineti per carattere è estroversa: la si vede spesso ridere e scherzare, così molti racchiudono in quelle risate il suo mondo. In realtà, c'è qualcosa che la fa spesso pensare: «Si tratta della consapevolezza in me stessa. Non sono molto capace di credere alle mie capacità, di riconoscermele. Probabilmente l'unica certezza che ho è che, quando sono l'ultimo vagone del treno, nelle volate, sono nel posto giusto. Però sono serviti anni per credere di "essere abbastanza" almeno in quel ruolo».
Dopo anni in Valcar, «una famiglia, in cui ho appreso che avrei potuto lanciare le volate», è tornata a rivestire quel ruolo in Trek. Il giorno in cui il suo procuratore le ha detto che Trek-Segafredo la cercava, ha ammesso candidamente: «Vado anche a portare le borracce, se mi vogliono». Ultima donna, come dice lei, della stessa velocista: Elisa Balsamo. Pensare che, quando avvenne il passaggio di Balsamo in Trek, fu proprio Elisa a dirle in una chiacchierata: «Chissà, magari, un giorno, ci ritroveremo». Si sono ritrovate, loro che hanno molti ricordi assieme e Sanguineti a questo tiene molto: a costruire ricordi condivisi anche fuori dal ciclismo. Per l'addio a Valcar, ad esempio, è partita per Santo Domingo con Chiara Consonni, Vittoria Guazzini, Dalia Muccioli ed Eleonora Gasparrini: «Credo sia uno dei ricordi più belli, perché quando pensi a quelle persone sai che non hanno fatto parte solo del tuo lavoro, ma hanno creduto in te anche per i giorni di vacanza».
Con Elisa Balsamo, poi, il rapporto è particolare: «Dopo la prima vittoria alla Volta a la Comunitat Valenciana, in camera, scherzando, mi ha detto: "Mi tratti sempre male". Quel giorno, in effetti, avevo davvero perso la pazienza, bonariamente ma l'avevo persa. Non mancavano ancora dieci chilometri al traguardo, quando ha iniziato a dirmi che eravamo troppo indietro. Me lo ha ripetuto qualche volta, fino a che: “Elisa, stai tranquilla e pensa solo a seguirmi". Beh, mi ha seguito e, devo dire la verità, quando l'ho vista partire come sa fare lei, ho avuto la certezza che avrebbe vinto. Lei non lo sapeva, io sì». Tra l'altro, a poco dal traguardo, Balsamo aveva affiancato Sanguineti e le aveva detto di stare male: «Bisogna preoccuparsi quando non lo dice. Se lo dice, è bene aspettarsi grandi cose». Un ruolo delicato quello di Sanguineti perché ha anche a che vedere con il saper instillare fiducia.
«Magari pensiamo di passare a sinistra, sul rettilineo d'arrivo. All'ultimo momento, può capitare che io scelga di andare a destra. Se è così, faccio un cenno della testa verso destra e Balsamo deve seguirmi. Non è facile e, se non hai la certezza che la ruota davanti alla tua ti sta portando nella posizione giusta, puoi tentennare». Di certo c'è che l'ultima donna deve pensare per due, sia in termini di velocità che di spazi, e ogni scelta presa deve essere quella migliore per due cicliste, non per una. Poi ci sono i dubbi: tranquillizzare la propria velocista, ma anche gestire i propri timori.
«La volata, dall'interno, non fa paura, se la guardi da fuori, invece, sì. Vero che non sono abituata a credere in me, ma una certa autostima serve, anche solo per pensare di fare uno sprint. Di fatto, io faccio uno sprint potente, ma anticipato di circa trecento metri: il mio traguardo è lì. Ci sono giorni in cui le gambe non vanno, allora bisogna essere sinceri e parlarne. Si può lavorare prima, ci si può rendere utili nelle fasi preparatorie alla volata, ma è necessario dirlo. La tua velocista deve saperlo». Ilaria Sanguineti si muove nel gruppo e Elisa Balsamo la segue: se perde la ruota, se ha un qualunque problema, grida solo "Yaya" e entrambe sanno cosa fare. Sanguineti è "meno pignola" di Balsamo, questo fa bene ad entrambe, tuttavia si definisce "troppo testarda": «La testardaggine va bene, io, però, sono esagerata».
Fra le certezze, il fatto che lavorare per Elisa Balsamo la rende felice e che aiutare a vincere le restituisce qualcosa che altrove non trova: «Per la prima vittoria di Elisa Balsamo in Trek Segafredo, in questa stagione, ho pianto io, non lei. E se ci ripenso ancora mi sembra irreale: ritrovarsi e confezionare subito qualcosa di così perfetto».
Con le domande, continuiamo a cercare quei sogni grandi e rimpiccioliti, quelli che non dice per paura di non esserne all'altezza, allora ci dice che vorrebbe partecipare all'Olimpiade, poi, però, cambia subito discorso, quasi per non pensarci troppo. «Tornando alla consapevolezza, credo che un passo importante sia stata la vittoria dell'anno scorso alla Dwars door het Hageland. Non tanto per la vittoria in quanto tale, quanto per quella frase detta dal mio direttore sportivo nella riunione del mattino: "Oggi facciamo la corsa per te, oggi vinci tu”. Essere riuscita a sostenere quella responsabilità ed essere riuscita ad ottenere il successo mi ha fatto bene».
Si torna un'ultima volta nei paraggi dei sogni e questa volta le parole raccontano tutto: «Vorrei portare Elisa Balsamo a vincere il Fiandre». Un gran bel sogno, non c'è che dire, un sogno che noi stiamo già sognando: al vento, a tutta verso il traguardo.
Essere se stessi in pista: intervista a Elisa Balsamo
L'intervista con Elisa Balsamo parte da uno sguardo. Elisa fissa le compagne che girano all'interno del velodromo di Montichiari e cerca un'idea per rispondere alla nostra domanda. «La verità è che non riesco ancora a immaginare la mia Olimpiade a Tokyo. Sarà perché ci ho pensato spesso e ci tengo davvero molto, sarà perché manca ancora un po' di tempo e non ho la certezza di esserci, ma ad oggi mi sembra ancora qualcosa di irreale, di troppo bello per essere vero e non voglio illudermi». Le parole tornano a fluire libere quando si parla di orgoglio e questa ragazza, timida, che ancora abbassa lo sguardo quando ti incrocia, alza quasi spontaneamente il tono della voce, quasi a sottolineare il valore di ciò che è avvenuto. «Il ciclismo non è come l'atletica. Noi non qualifichiamo le singole atlete, noi qualifichiamo la nazione. È una responsabilità: quando ti avvii alle qualificazioni il problema non è se Elisa Balsamo parteciperà a quella manifestazione specifica, il problema è se l'Italia lo farà. Fa un poco paura, non lo nego».
Accanto a Elisa, su un tavolino, c'è un fumetto, Diabolik. Ci racconta che in realtà non è appassionata di fumetti, ma questo è un caso particolare. «Da bambina, nonno aveva sempre in casa diverse copie di Diabolik. Io amavo già leggere, così lo prendevo e lo sfogliavo. Non ho mai letto Topolino, per esempio. Però, appena capito in una stazione o in un'edicola e trovo Diabolik lo compro. Prima di arrivare a Montichiari ne ho comprate tre copie e ora mi manca solo questa da ultimare». L'altro volto dell'introversione, quello che ama il racconto, scritto se possibile perché la carta fa sentire sicuri. Balsamo spiega che un domani vorrebbe diventare giornalista, ancora prima però vorrebbe scrivere un libro e a questo pensa da quando era bambina. «Credo sia importante raccontare ciò che ci succede. Non possiamo sapere cosa stanno vivendo le altre persone, magari la tua storia le aiuta ad oltrepassare un momento difficile. Cerco spesso libri che raccontino storie vere, perché, alla fine, diventano il tuo esempio e ti fai forte ricordandoti ciò che hai letto. Sì, bisogna raccontare e prendersi tutto lo spazio che serve».
Non occorrono domande, perché è lei stessa ad aggiungere una parte di quella storia che tanto vuole raccontare. «Sono una perfezionista, ma, nonostante questo, non sono quasi mai contenta di me. Sarà un fatto caratteriale. Io dico sempre che la componente più importante del ciclismo sono le compagne e non è retorica. Per come sono fatta, senza loro al mio fianco, probabilmente avrei già smesso. Di sicuro non avrei ottenuto tutti i risultati di cui parliamo. Sento la necessità di qualcuno che mi sproni, che mi faccia capire che devo crederci, che quello che immagino può succedere». Così è accaduto al mondiale su pista, nel 2019, quando Balsamo non è stata all'altezza dell'atleta che avrebbe voluto essere. «Avevo sbagliato preparazione e sono arrivata stanca, così ho fallito l'obiettivo. Io penso molto, rimugino molto e quella delusione mi ha lasciato a terra per settimane. Poi è tornato l'entusiasmo, è tornata la voglia di provarci».
Elisa Balsamo racconta che in gara cerca spesso con lo sguardo Chiara Consonni. «Ci conosciamo da tanti anni e siamo completamente diverse ma c'è una chimica particolare fra noi. In corsa ci capiamo alla perfezione, siamo sintonizzate. Quando sono io a vincere, le prime braccia ad alzarsi al cielo sono le sue, poco dietro di me. Succede dai mondiali di Doha».
Per raccontarci meglio la corsa in pista, Balsamo ci mostra i suoi scarpini. «Vedi? Nelle discipline di gruppo, quando osservi le scarpe a fine corsa le vedi striate, sfrisate. È il contatto fra noi a renderle così. L'adrenalina non te ne fa rendere conto ma sfiori ogni manubrio. Molti mi chiedono se non mi fa paura l'idea di essere senza freni. Bene, se avessimo freni ci faremmo molto male perché ad ogni contatto l'istinto sarebbe quello di frenare. Invece sappiamo che per accelerare si scende nel lato basso dell'anello e per frenare si sale».
Sostiene che la nostra nazionale ha come punto a proprio vantaggio il fatto di praticare anche strada perché molti meccanismi si ereditano da lì. «Non a caso facciamo molto bene nell'omnium da quando non ci sono più prove individuali. Credo ci sia da lavorare sul quartetto e sulla madison. In quest'ultima serve molto la tecnica oltre alle gambe e questa si acquisisce col tempo. Un buono spunto può venire dalle atlete inglesi che sono molto brave in questo campo».
In fondo, Elisa Balsamo si sente sicura in ogni velodromo e trova la forza per fare anche ciò che, per insicurezza o timore, non farebbe nella vita di tutti i giorni. Questo è il suo segreto. «La prima volta che sono stata in un velodromo a Torino, dimenticandomi di non avere i freni, sono caduta, una brutta caduta. Mi faceva male dappertutto, ma sai qual è la prima cosa che ho fatto? Mi sono sistemata in fretta perché dopo pochi minuti sarebbe partita un'altra gara e non potevo perdermela nonostante tutte le sbucciature. Ci ho pensato parecchio e ho capito che, nonostante tutto, io sono proprio quella ragazza lì».
Foto: Paolo Penni Martelli
Cinquanta metri prima
Il libro preferito di Elisa Balsamo è “Novecento” di Alessandro Baricco. Se le si chiede il perché, la risposta va a pescare nel suo presente ma anche, e forse soprattutto, nel suo passato. Elisa dice che quel libro le piace “perché è ironico e triste allo stesso tempo: al protagonista manca il coraggio di fare ciò che vorrebbe. È un monito: nella vita quel coraggio bisogna trovarlo. Non è solo importante, è fondamentale”. Lei ammette che diverse insicurezze tormentano il suo carattere. Così sente il bisogno di avere qualcuno al suo fianco che la sproni, qualcuno che creda in lei, qualcuno che le dica “ce la puoi fare”. Elisa Balsamo non la scopriamo certo oggi, è un’atleta di primo rango. Non le manca niente. E allora perché dirlo? Perché ripeterlo? Perché le cose ovvie non lo sono mai del tutto. Perché qualcuno che ti ripeta certe parole, fa sempre bene. Non importa se sono parole che hai già sentito tante volte. Non importa se, in fondo, lo sai anche tu. Certe cose hai bisogno di sentirtele dire. Chi tiene a te, ha questo dovere. Dirtele. Nel suo caso, oltre alla sua famiglia, a ripeterle quelle parole c’è il suo preparatore Davide Arzeni.
Oggi, Chiara Consonni era con le braccia levate al cielo a cinquanta metri dal traguardo. Non in testa al gruppo, in decima posizione. Davanti c’era Elisa. Quante cose possono succedere in cinquanta metri in volata? Tante, forse troppe. Quando abbiamo visto Chiara alzare le braccia al cielo quando il traguardo non era ancora tagliato, abbiamo pensato a quando Elisa Balsamo ci ha detto: «Senza le mie compagne di squadra non sarei la stessa. Non sarei qui, senza di loro». Chiara Consonni se lo sentiva, è questo il bello. Quando sai qualcosa, quando la tua conoscenza deriva dall’intelletto, puoi fallire, puoi sbagliare, puoi confonderti. Quando lo senti, no. Quando lo senti, lo hai dentro. Non sai da dove arrivi, non sai se è un qualcosa che ti appartiene oppure qualcosa di assolutamente estraneo a te, che coincide con la tua persona per particolari circostanze. Ma sai che è così. Come avesse detto: “Non ti riprende più nessuno, sei troppo forte. Hai vinto! Guarda che volata sai fare. Ma la vedi? Ma ti vedi? Sei uno spettacolo. Sei campionessa europea”. Proprio così. Prima che la realtà confermasse la sensazione.
La volata è una questione di velocità ma anche di pazienza. Nella vita quotidiana, duecento metri sono poco o nulla. In una volata, partire duecento metri prima o duecento metri dopo, cambia tutto. Anche se la voglia è tanta devi aspettare, devi stare tranquilla. Lei ha imparato ad aspettare sin da bambina. In un negozio aveva visto una bellissima bicicletta Colnago: «Me la fecero provare ma era troppo grande. Tornai a casa delusa ma non volevo rinunciarci. Tornavo lì ogni giorno e la riprovavo. Il giorno in cui i piedi riuscirono a toccare i pedali ero felicissima». Stasera, Elisa rivedrà quella volata e ripenserà a tutti gli attimi di attesa. A quanto l’attesa sia bella perché dopo sei ancora più felice. Alla fortuna di avere imparato quella lezione sin da bambina. Poi rivedrà Chiara a braccia alzate ai cinquanta dal traguardo e penserà a quanto queste ragazze credano in lei. A quanto sia bella questa fiducia, a quanto faccia sentire protetti. Tanto protetti da gettarsi al vento senza alcun dubbio. Un piccolo miracolo. Un miracolo a cui credere perché si verifica spesso a patto di avere il coraggio di fidarsi e di affidarsi. Poi le cose belle succedono. Non abbiate paura.
Foto: Bettini