La ciclista che voleva dare una mano al mondo e a se stessa
Il fuoco che divampa dentro Elise Chabbey è una di quelle sensazioni difficili da spiegare – intime, personali, il cielo dentro ognuno di noi. Chi ne viene colpito a volte cerca di sfogare faticando, sudando, stando continuamente in attività nel tentativo di assecondare quel non riuscire mai a stare fermi. Aiutare se stessi per conoscersi meglio. Spostare i propri limiti per definirsi o semplicemente per mettersi alla prova come atto di vita.
A volte aiutare se stessi non basta. E infatti Elise Chabbey ha spostato la propria asticella preferendo dare una mano agli altri. Erano i primi giorni di marzo. Squilla il telefono. È il suo insegnante del Master in medicina che gli dice di come la situazione sia iniziata a essere difficile anche in Svizzera. "Tesa" è la parola esatta che usa, si sbilancia, ma fino a un certo punto: è un medico e cerca un modo equilibrato anche in un momento di questo tipo. Fatto sta che la richiesta è diretta quanto semplice da fare, ma così complicata da esaudire: l'evolversi dei noti fatti in Svizzera stanno precipitando e ci sarebbe bisogno di aiuto all'HUG, che non vuol dire abbraccio, ma è l'acronimo di Ospedale Universitario di Ginevra.
Sì, perché Elise Chabbey, che arriva proprio da Ginevra, dopo essere stata quattro volte campionessa svizzera di kayak, partecipando pure ai Giochi Olimpici di Londra, dopo aver lasciato l'acqua per correre maratone e mezze maratone, aveva abbandonato lo sport a livello agonistico per studiare medicina riuscendosi, infine, pure a laureare.
A Marzo 2020 ormai la pandemia era diventata non solo un termine in uso e ahinoi diffuso, non solo qualcosa con cui avere a che fare marginalmente, ma stava uccidendo, mettendo a terra il sistema, la società, riempendo ospedali e, per ultimo, costringeva alla chiusura temporanea della stagione ciclistica - che sarebbe poi ripresa diversi mesi più tardi.
Elise, che nel frattempo, dopo essersi laureata, è diventata anche una ciclista professionista di livello importante, si stava preparando per la Strade Bianche – corsa poi annullata - quando arrivò la chiamata. All'inizio, ha raccontato spesso, fu difficile dire di sì. La situazione era incerta a trecentosessanta gradi, lei si era preparata durante l'inverno badando con minuzia a ogni particolare, facendo sacrifici, allenamenti duri, curando l'alimentazione, per quella che sarebbe dovuta essere la sua ultima stagione in bicicletta. «Ma non potevo mica starmene con le mani in mano! Anche se quella laurea in medicina l'avrei sfruttata a fine carriera. E invece...». E invece Elise smette i panni del corridore e indossa il camice.
Pochi mesi dopo si riapre la stagione ed Elise torna in bicicletta. «E i risultati mi sorpresero» racconta a un giornale francese. «Avevo valori importanti» wattaggi, li definisce, per esattezza. «Nonostante fossi impegnata ogni giorno in ospedale riuscivo a trovare nelle ore di pausa la motivazione per allenarmi e non perdere la forma». Medaglia d'argento nella prova a cronometro a squadre dell'Europeo, ventiquattresima al Giro Rosa, tredicesima alla Liegi-Bastogne-Liegi: in mezzo alla crema del ciclismo mondiale. C'è chi ha passato ore estenuanti finendo per farsi venire la nausea pedalando sui rulli, c'è chi è riuscito ad allenarsi ugualmente in strada, infine chi ha diviso la sua attività tra ospedale e allenamenti. «Psicologicamente lavorare in ospedale mi ha aiutato molto di più che se fossi stata ferma ad aspettare o semplicemente andando solo in bicicletta: sono tornata in corsa più motivata che mai».
Poche settimane fa, prima della chiusura della stagione, Elise Chabbey si presenta al via della prova in linea del campionato svizzero. Nebbia, freddo, un percorso difficile per corridori in un piccolo paese del Canton Turgovia tra Winterthur e San Gallo: parte a settanta chilometri dalla conclusione e arriva da sola a braccia alzate.
«Ultimamente le persone sono più interessate a me per quello che ho fatto fuori dalla bici, ma non è un problema, anzi. Se quello che faccio può far sognare le persone? Tanto meglio. Se quello che faccio può essere utilizzato per pubblicizzare il ciclismo femminile? Meglio ancora. Quello che ho fatto non è un motivo di orgoglio personale, ma semplicemente una bella esperienza» racconta alla fine di quella corsa.
A fine stagione avrebbe dovuto smettere di andare in bicicletta – come la sua squadra, che chiuderà i battenti - e invece continuerà con il sogno di correre un'altra Olimpiade. Elise, oggi, ancora non sa se ritornerà in corsia a dare una mano, ma si dice pronta a tutto. «Intanto posso dire di essere stata campionessa nazionale nel kayak e poi nel ciclismo: sembra una cosa divertente». Il fuoco che divampa dentro Elise Chabbey potrebbe anche essere quello che si accende dentro di noi, ma di storie come la sua non se ne sentono tutti i giorni.
Foto: Facebook/Elise Chabbey