Tramonto e Polvere

È successo talmente tanto tra le 15.14 e le 17.15 di oggi, su quelle strade grigie che poi diventavano bianche, che a un certo punto eravamo a metà tra il dire basta e chiederne ancora.

Schmid vinceva la sua prima corsa tra i professionisti a 21 anni, nel giorno meno indicato. Si fa presto a dimenticare: ahilùi l'attenzione era tutta a quello che succedeva poco dietro, a qualche chilometro di distanza, dove la strada cambiava effetto da asfalto a sterro come fosse un gioco perverso. Dove la classifica cambiava a ogni metro, a ogni curva, a ogni grida di tifoso, a ogni ombra riflessa da ulivi e cipressi a bordo strada.

A una certa non ne avevamo abbastanza. Avremmo chiesto persino di più a Bernal, Ganna e Moscon: padrone, dinamitardo e perfido manovratore di questo Giro.
Avremmo mai chiesto di più a Buchmann? Anticipava l'attacco della maglia rosa arrivando - più o meno - assieme a lui, e riaccendendosi in un Giro fin qui passato nell'ombra, passato soffrendo il gelo.

Avremmo voluto dire "basta, ti prego" guardando la volata di Covi che stringeva i denti. Gli occhi sembravano fuoriuscirgli dalle orbite, pareva potesse superare Schmid, ma poi si incartava: di più non poteva. Così come gli altri della fuga, con Kluge che attaccava e si staccava, De Bondt che voleva essere il primo campione nazionale belga a vincere al Giro dai tempi di Maertens, Vanhoucke che avrebbe voluto conquistare una corsa e dedicarla al suo amico Lambrecht che purtroppo non c'è più.

Oppure quel Gavazzi che non è un ragazzino, sa che il tempo sfugge e allora si rende ogni giorno protagonista. Cosa avremmo potuto chiedergli di più?
Avremmo potuto mai chiedere di più a Bettiol vedendolo andare così forte, su ogni terreno, come non succedeva da tempo? E a Nibali che guidava il gruppo sugli sterrati nonostante qualche settimana fa si sia rotto un polso?

Avremmo voluto spingere Ciccone mentre si staccava per la prima volta al Giro, abbiamo detto basta vedendo la sofferenza di Evenepoel, sudato, umano, tenero nella sua difficoltà; gli avremmo dato una pacca sulla spalla e avremmo voluto dire ad Almeida di fermarsi un po' prima per aiutarlo. Avremmo voluto captare il segnale radio per sentire cosa si sono detti tra ammiraglia e corridori in quel momento.

Ci siamo esaltati nel vedere Caruso rimontare dopo essere rimasto dietro nel primo settore sterrato, per poi emergere col baffo impolverato ogni qualvolta la strada s'impennava.

Abbiamo avuto male alle gambe per loro, in quelle due ore in cui tutto si ribaltava tranne Bernal. Dove Vlasov resta l'osso più duro, Yates cresce e Carthy si conferma. Avremmo voluto essere nell'espressione di Foss e Bennett che provavano ad attaccare, ma dietro Moscon, con gambe di bronzo e cosparse di terra, li respingeva.

Avremmo voluto essere in Carboni che per qualche minuto ha pedalato con Evenepoel in salita. Avremmo chiesto “pietà, per favore”, per Bardet che era davanti, persino bellino da vedere, se solo avessimo visto l'attimo in cui scompariva.
Abbiamo visto sprofondare Formolo e ci siamo immaginati saltare Martin. Abbiamo visto calare Valter e imprecare Taaramae.

Abbiamo visto il sole nascondersi tra le nuvole per poi riapparire e illuminare la polvere. E poi tramontare su una giornata entusiasmante, di un Giro entusiasmante, che non dimenticheremo presto. Forse mai.

Foto: Luigi Sestili


Un libro e tre figure impresse

Senza timore di smentita la tappa di oggi ha promesso tanto, almeno inizialmente, ma a conti fatti ha dato poco in termini di distacchi in classifica, e si riassume in un libro e tre figure che restano ben impresse.

Il libro è “Il Miracolo di Castel di Sangro”, citazione dovuta visto che si parte dal piccolo paese abruzzese, meno di diecimila anime, e che oramai diversi anni fa visse un indimenticabile sogno chiamato Serie B.

Non c'entrano santi né strane pozioni dietro quel titolo: il libro è la storia raccontata da un saggista e giornalista americano, ormai scomparso, Joe McGinniss, che passò di fianco alla squadra tutta quella stagione, e ne tracciò un'opera ormai introvabile (se non a prezzi assurdi) e fuori catalogo, e che ogni appassionato di sport (e non solo) dovrebbe leggere. Un'opera che costò all'autore persino una condanna per diffamazione.
Dai piedi fatati a quelli sempre in movimento sui pedali, e la prima figura che resta impressa oggi serve per ritornare direttamente al Giro: Mohorič. Mentre scriviamo è cosciente in ospedale, ma vederlo carambolare con la testa sull'asfalto in quella maniera ci ha fatto temere il peggio.
L'incidente è decisivo per gli esiti di una tappa che alla fine si risolve quasi in un nulla di fatto, se non nell'intensa sgasata finale di un Bernal in stato vanderpoeliano sullo sterrato, e che porta a compimento il lavoro fatto da un rigenerato Gianni Moscon, migliore in campo – se vogliamo rubare il gergo al calcio, visto l'incipit - oggi.

Decisiva la caduta, dicevamo, perché la Bahrain si mette in testa, trascinata dagli eventi, di risolvere la giornata proponendo un faccia a faccia d'altri tempi quando all'arrivo mancano ancora tre ore e circa 120 km. Mohorič, Mäder e Caruso (Bahrain), insieme, tra gli altri, a Masnada (Deceuninck) e Martínez (Ineos), stanano il gruppo verso Passo Godi, ma dopo la caduta dello sloveno, la tappa che porta verso Campo Felice assume un'identità decisamente più lineare, con la solita incontrollabile baraonda dei girini per portare fuori la fuga di giornata.
La seconda figura è quella di Geoffrey Bouchard: elogio alla caparbietà per l'ex commesso di Decathlon. Attacca e contrattacca insieme ad altri sedici, fra cui Ulissi, Mollema, Guerreiro, Edet, Fabbro, insomma, un bel gruppetto di qualità; attacca e contrattacca per prendere più punti possibili sui vari Gran Premi delle Montagna, in una giornata dove al grigio sempre più plumbeo del cielo, fa da contraltare il variopinto verde della selva abruzzese. Verrà ripreso soltanto a 400 metri dal traguardo da Bernal che nel frattempo stacca tutti gli altri contendenti alla maglia rosa. La figura di Bouchard al termine della tappa si tingerà d'azzurro.

La terza figura è proprio quella che si ritaglia intorno a Bernal, non poteva essere altrimenti. I suoi mettono a ferro e fuoco un finale meno duro di quello che ci si aspettava, mentre il colombiano con il suo attacco lascia tutti dietro.
Sotto la sua ruota asfalto, sotto quella degli altri un grossolano terriccio che rallenta e provoca spasmi. La figura di Bernal al termine della tappa si tingerà di rosa.

Bene Ciccone, sospinto dal pubblico, sempre più sorprendente a questo Giro e che gli arriva a ridosso lasciandolo andare via solo prima dell'ultima curva verso il traguardo. Con Ciccone arriva Vlasov, silenzioso candidato a un podio finale.
Evenepoel lascia per strada qualcosa, almeno inizialmente, ma sul finale rimonta e chiude insieme a Martin. Cresce Almeida, dopo la giornataccia di Sestola, che arriva a una dozzina di secondi con il resto dei migliori - Formolo, Yates, Carthy, Bardet, Soler, Caruso e Martínez.
La maglia rosa Valter è un po' più indietro, ma quanto basta per diventare ex. Sorprende ancora Bettiol che chiude insieme a Nibali, male, ma ormai non è una novità, Hindley, inspiegabile l'ennesima débâcle di Bilbao che solo poche settimane fa volava al Tour of the Alps candidandosi come uno degli outsider più accreditati a questo Giro.

Domani volata, poi riposo prima della tappa chiave verso Montalcino. Se gli dèi del Giro soffieranno tempesta ci sarà da divertirsi.

Foto: Luigi Sestili