L'ultimo muro di Don Alejandro

Già, proprio così. Anche se qualcuno ancora non ci crede e spera possa ripensarci. Chi, romantico o illuso, non riesce ancora a venire a patti con il tempo che passa.
Gli ultimi minuti di Alejandro Valverde sul Muro di Huy, domato per cinque volte in carriera, sono stati proprio gli ultimi. A 42 anni ha provato a vincere di nuovo la Freccia Vallone, ma cos'è mancato? Un niente.

Che poi un niente... parliamone. Era la forma di Dylan Teuns, primavera d'acciaio la sua, piazzato e piazzato bene ovunque. Oggi ha vinto lui e ha meritato. Alejandro Valverde ci ha creduto, come tutti noi, come la sua squadra che lo portava davanti con Mas a scandire il ritmo prima del cambio di pendenza finale.

Mentre Pogačar arrancava - ed è una novità - e faceva il buco nel quale inghiottiva Alaphilippe e Martinez, Valverde davanti, posizionato benissimo come chi conosce ogni centimetro di questa salita, come l'avesse progettata dopo averla vista in sogno, accelerava, accelerava e accelerava. Ma Teuns, agile e scattante, con quella fisionomia da suricato, non ne voleva sapere di staccarsi. A chi interessa la storia del ciclismo? A nessuno se c'è da vincere una Freccia Vallone.

Indifferente dall'avere davanti chi a suo piacimento ha dominato su queste terre, Teuns non mollava un attimo, perfido, affiancava Valverde e lo batteva superandolo poco prima del traguardo. E Don Alejandro chiudeva la sua ultima volta sul Muro al secondo posto.
Il tempo abbatte tutto in modo inesorabile. Come le gambe che sentono l'usura dell'età. Come una ruga che spunta sul viso e viene a ricordarti chi sei.


Forza sapiente sul Mur de Huy

Una decina di giorni fa all'Amstel Gold Race, Marta Cavalli decideva di cogliere alla lettera il significato di "prendere l'attimo giusto" trasformandolo in una vittoria. Oggi, sulla strade della Freccia Vallone, più precisamente sul Mur de Huy, la storia si è ripetuta in una forma leggermente diversa, ma con un risultato simile.
Tatticamente perfetta, Marta Cavalli ha scrutato i movimenti delle altre, banalmente ha battezzato l'unica ruota che sapeva sarebbe andata via, o che almeno ci avrebbe provato, quella di Annemiek van Vleuten.
A qualche centina di metri dall'arrivo, nel tratto più duro, l'olandese faceva la differenza o almeno così pareva a un occhio disattento, mentre l'italiana, il suo un occhio attento, all'apparenza calma e con un filo di gas, si adagiava quatta quatta alla sua ruota. Quando la strana spianava e partiva la decisiva volata a due, Marta Cavalli sprigionava quella che in questo momento è la miglior gamma a due ruote. In fatto di testa e gambe.
Ci vuole testa, appunto, ma ci vogliono le gambe: oggi Marta Cavalli mette insieme un binomio che - ciclisticamente parlando - quando la strada sale rasenta la perfezione.
Non svegliateci da questo momento. Quello in cui il ciclismo femminile italiano sta dominando il ciclismo femminile mondiale.