Guardare indietro, guardare avanti
Si parte dalla fine, non è una cronistoria. Dallo scatto a poche centinaia di metri dal traguardo di Cristophe Laporte, lì dove non batte il sole, dove la strada fa una curva e fa male perché sale leggermente; Laporte che fa il vuoto, e pensa a stamattina a quando van Aert, che guarda avanti e vede, gli fa: «Oggi corriamo per te». Si guarda indietro, Laporte, per un attimo. C'è l'affanno, le gambe imballate del gruppo. Per lui è delizia, per gli altri è horror vacui da riempire in qualche modo.
Si parte da quello scatto di Laporte che raggiunge e supera chi era rimasto per strada a intralciare l'opera; guarda indietro e poi davanti, e dà alla Francia quella gioia che mancava, quella che Pinot con le sue gambone in salita non era riuscito a regalare.
Si torna indietro a van Aert. Anche oggi fa un po' quello che gli pare e guida Vingegaard davanti sbrogliando gli enigmi di tutte quelle rotonde. Eroe di casa Jumbo Visma, van Aert, sulla bocca di tutti dopo aver portato a spasso il gruppo per venti giorni o poco più; un po' eroe anche di Francia, oggi, che se avesse voluto chissà, avrebbe potuto vincere, ma ha scelto così: lanciare verso il traguardo Laporte. «Glielo dico sempre: non hai nemmeno idea di quanto tu sia forte».
Si torna indietro, a quando Pogačar, così per sfizio, per dispetto, per gusto, per essere semplicemente Pogačar e usare il Tour de France come un parco giochi, prova un attacco e forse non sa nemmeno lui bene il motivo, se un motivo ci deve essere, oppure perché la sua centralina è sempre programmata per dare spettacolo e far parlare di lui - per la cronaca si getta in volata e chiude quinto. Per la cronaca a fine tappa lui è lì che se la gode dispensando sorrisi e complimenti a tutti.
Si torna ancora indietro alle facce dei velocisti che hanno faticato per arrivare fino a oggi, a quella di Pedersen ammalato, a Jakobsen che sfida il tempo massimo per esserci, una sfida che non è nulla rispetto a quella che ha dovuto superare: entrambi guardano avanti, ma non troppo, sognando un epilogo diverso a Parigi.
Si resta indietro a farsi domande: cosa spinge un corridore a farsi centinaia di chilometri in fuga sapendo di essere ripreso? Simmons, Mohorič, van der Hoorn e Honoré, non hanno una risposta, ma sembrano creati per stare assieme e andare avanti.
Si guarda avanti, a Wright che comunque vada esce dal Tour consapevole della sua dimensione di corridore, a Stuyven che si fa in quattro per tutti, che ha talento ed eleganza e sembra un modello in bicicletta cosparso di olio abbronzato. Entrambi arrivano a tanto così, ma bisognava fare i conti con quello che voleva van Aert.
Si guarda avanti, infine, a Philipsen che per fortuna l'altro giorno ha vinto, perché anche oggi è arrivato secondo, oppure a Dainese, che dopo il Giro cerca la consacrazione al Tour, e sì, lo possiamo dire, che bel corridore abbiamo trovato. E sì lo possiamo dire, al Tour de France 2022 non ci si annoia davvero mai.
Comprendere un dominio
Chi scrive non ha mai avuto grande passione per quei domini che si manifestano tramite la tripletta di una squadra, come successo ieri alla Parigi-Nizza: 1° Laporte, 2° Roglič, 3° van Aert, in un mini campionato monomarca griffato Jumbo-Visma, robe da Pro Cycling Manager (per i non appassionati: videogioco del genere manageriale sul ciclismo), oltretutto la seconda in pochi giorni - al Laigueglia fu il turno dell'UAE Team Emirates - e che sottolinea con i risultati le differenze tra alcuni squadroni - nel budget e nella costruzione delle rose - e altri.
Ma chi scrive trova semplici spiegazioni all'arrivo di ieri verso Mantes-la-Ville. Intanto doverosa premessa: l'arrivo in parata può piacere o non piacere, come abbiamo detto, si toccano le corde del puro gusto personale e delle emozioni che trasmettono, ma sono azioni che non dovrebbero sfociare nel campo del dubbio, altrimenti significherebbe prendere con le pinze qualsiasi risultato, di qualsiasi corridore, e non ci pare questo lo scopo della nostra narrazione, che fai dei gesti, della leggerezza nel raccontare storie e spunti, i nodi principali nei quali stringere il romanzo ciclistico.
Chi scrive prova a comprendere tecnicamente: l'attacco mirato degli olandesi - in verità in formato franco-belga-sloveno, ha avuto il primo affondo decisivo con una volata vera e propria di Nathan Van Hooydonck che fa esplodere il branco sull'ultima salitella di giornata, costringendo tutti gli avversari a mollare creando buchi e gruppetti lungo la Côte de Breuil-Bois-Robert risultando decisivo per dare l'abbrivio ai tre compagni di squadra e mandandoli verso il traguardo. Non c'è nulla di disturbante o fuori luogo in quello che si è visto, da un punto di vista tecnico, semmai può essere terrificante per gli avversari sul campo.
È una prova di forza schiacciante, ma di semplice lettura. Dopo la tirata di Van Hooydonck restano in tre a certificare lo stato di strapotere: due dei tre corridori attualmente più forti al mondo - manca il terzo che vinceva qualche ora prima, o meglio, dominava qualche ora prima sulle strade bianche della toscana senese- , e con loro Laporte, corridore che non è atterrato ieri su questo pianeta.
Solido, finora poco vincente, ma molto appariscente, corridore che su su una salitella non impossibile di poco più di un chilometro e mezzo come quella di ieri, terreno da classiche, va a nozze; nel 2021, sulle strade della Parigi-Nizza, ha conquistato due secondi posti di tappa, uno alle spalle di Roglič su uno strappetto, l'altro l'ultimo giorno dietro a Cort Nielsen, al termine di una tappa nervosa, fatta a tutta e con arrivo che sgranò il gruppo e mise in croce diversi uomini di classifica. Senza elencare altri buoni risultati ottenuti in un 2021 che ne affermarono il salto di qualità.
Anno dopo anno è cresciuto al punto di diventare uno degli elementi più interessanti fra quelli che hanno cambiato squadra durante l'inverno. In altre sedi lo hanno definito un van Aert in miniatura, per motore e risultati, le caratteristiche sono pressoché quelle, in tono minore.
Quella di ieri non deve far storcere il naso lasciando il campo a chissà quali dietrologie e anzi ci preme sottolineare ancora di più il bel gesto di van Aert e Roglič, capitani e fuoriclasse, che lasciano la vittoria a Laporte coscienti che quando il bottino si farà più succulento sarà il francese ex Cofidis a ricambiare quel segno di gratitudine fatto dai due capitani designati, mettendosi a lavoro per loro, o fungendo come pedina fondamentale quasi su ogni percorso. In vista di Sanremo e classiche del Nord il resto della compagnia è avvisato, la Jumbo-Visma fa ancora più sul serio di quello che avremmo immaginato.