Ma quale inferno

Sono passati due giorni dalla fine della Paris-Roubaix e ancora quando ci svegliamo, ci pensiamo. Andiamo su internet e leggiamo testimonianze, vediamo foto di facce che sono croste di melma, oppure quella del manubrio di Lizzie Deignan imbrattato dal sangue delle sue mani: la prima vincitrice della Roubaix infatti, non indossava guantini, come fanno alcuni tra i più quotati colleghi, vedi Haussler o Gaviria.
Questo fine settimana, nel nord della Francia non si riusciva nemmeno a guidare la bici: basta vedere la difficoltà di Politt, che due anni fa arrivò secondo e che domenica sembrava uno messo la prima volta su un paio di pattini. L'hanno conclusa in 105, 11 di loro fuori tempo massimo, pur di onorarla, ma ci ritorneremo a breve. Non cadevano solo i ciclisti, ma anche le moto, mentre le ammiraglie finivano lunghe nei fossi.
Ma qual è il fascino di una corsa del genere? Beh, per chi la guarda da casa è facile: corridori infangati, la sfida tra i grandi nomi, l'epica delle facce da Roubaix, la fatica disumana, il corpo a corpo, la selezione, gli attacchi partiti dal km 0 quando ancora i settori di pavé distavano due ore. Oppure i tifosi «eccitati in maniera febbrile al nostro passaggio» come mi racconta Luca Mozzato, all'esordio in questa corsa e tra i protagonisti assoluti. In fuga prima, 20° al traguardo nel velodromo di Roubaix «dove ho cercato di stare più tempo possibile per godermi ogni attimo, guardarmi intorno e portare il ricordo con me».
La pioggia ha trasformato tutto in un affare brutale, ma terribilmente affascinante; il fango ha reso i corridori maschere e noi godevamo di quello spettacolo, con messaggi che arrivavano da spettatori ancora meno che improbabili e che si sono avvicinati al ciclismo grazie a una giornata del genere.
Perché il ciclismo ha bisogno di queste prove per uscire dalla sua nicchia; chiede fango e sterrati, pietre, sentieri, sfide differenti, testa a testa, come tutte quelle corse che ogni anno prendono piede e diventano sempre più conosciute: dal Tro-bro Léon in Bretagna, fino a diverse corse in Belgio, o persino quella disputata sempre domenica in Norvegia, la Gylne Gutuer: la Strade Bianche dei fiordi. L'hanno conclusa in dieci: andate a vedere i video per capire di cosa stiamo parlando. Pioggia, sterrato, salitelle, brutale selezione.
E i corridori, che sono poi gli attori principali dello spettacolo, anzi gli unici protagonisti, raccontano le diverse sensazioni: sempre Luca Mozzato afferma di aver vissuto due chilometri d'inferno dentro Arenberg dove ha forato, poi è caduto, ma dice di essersi sentito gasato ed emozionato ad averla corsa e conclusa. Gasato: «perché passavano i chilometri e ti giravi e vedevi intorno a te van Aert, Van Avermaet, Kristoff, Laporte. Perché passavano i chilometri e prendevi dimestichezza. Sul primo tratto ero in coda, irrigidito, su quel tipo di pavé non sapevi fin dove potevi spingere: la bici andava dove voleva lei, sbandava, dovevi assecondarla. Poi man mano che andavo avanti la confidenza aumentava, sapevi come muoverti e chilometro dopo chilometro gli altri saltavano e tu eri sempre davanti». Emozionato da tutta quella gente: «E pensare che nemmeno avevo capito di avere così pochi corridori che mi precedevano. E gli ultimi 30 chilometri sono stati, seppur nella fatica, una goduria».
Mozzato mi spiega poi come, alla vigilia, quasi per gioco, insieme ai suoi compagni di squadra si era messo a guardare i video dell'ultima Roubaix bagnata: «All'inizio, guardando i filmati scherzavamo, poi è salita un po' di ansia che diventava palpabile al via della corsa: tutti i migliori stavano davanti dal primo metro di gara. Si era capito che sarebbe stata una giornata diversa dalle altre».
Poi c'è chi come Niki Terpstra ha impiegato un'ora e mezza in più del vincitore, ma ha voluto onorare la corsa portandola a termine ugualmente - fuori tempo massimo. Niki Terpstra che nel 2014 vinse la Roubaix.
Per Fred Wright, anche lui nella fuga che ha visto dentro Mozzato, Moscon, Vermeersch e altri, è stata: «La corsa più bella, migliore, peggiore, più dura e brutale che abbia mai fatto: tutto in uno». Ed è da leggere quello che scrive Davide Martinelli, arrivato anche lui fuori tempo massimo. Un messaggio che si conclude con un attestato d'amore:
"Comunque sia volevo arrivare a Roubaix a tutti i costi e ce l’ho fatta, il boato della gente all’entrata del velodromo ha ripagato tutti gli sforzi! Se penso che tra qualche mese saremo di nuovo su quelle pietre mi viene un po’ il ribrezzo, ma per ora non ci voglio pensare, ora come ora odio il pavé, ma sicuramente tra qualche giorno tornerò alla mia idea iniziale: cioè che la Parigi-Roubaix è un amore puro, la follia incarnata in una corsa su due ruote".
Verrebbe da dire: meraviglioso inferno.

Foto: ASO/Pauline Ballet


Il viaggio di Luca Mozzato arriva fino al nord Europa

Luca Mozzato arriva dal Nord e, ci concederà questa licenza, probabilmente più che dal nord Italia avrebbe preferito arrivare dal nord Europa. Corre in Francia con la maglia della B&B Hotels – Vital Concept P/B KTM dove pedala per trovare la sua dimensione, ma non solo, prova a migliorare in tutto per realizzarsi; cerca di imparare la lingua «mi arrangio, ma mi faccio capire» ci spiega, e vuole correre sempre più forte tra le infide stradine fiamminghe. È in Belgio, infatti, magari proprio al termine di una gara che prevede muri e pavé, che vorrebbe scagliare i suoi sogni.

Parlando con lui sembra di avere dall’altro capo del telefono un quadro di questo tipo: elettrico, frizzante, gioioso ma allo stesso tempo un po’ spigoloso quanto sincero. Dice che era uno di quei bambini irrequieti che non riusciva a stare mai fermo: nei pomeriggi liberi da studio e scuola giocava a pallone, nuotava, girava con lo skateboard e quando ha iniziato a correre in bici era poco più di un ragazzino, un po’ come tutti i suoi colleghi – ma in realtà non proprio tutti tutti. Aveva nove anni quando si mise in luce e mica lo fece in una corsa normale: era una gincana organizzata nel suo paese. Quando gli chiedo qual è il suo paese me lo spiega, ma precisa: «Sono nato e vivo nella provincia di Vicenza, ma ciclisticamente sono cresciuto in quella di Verona. Abito a Sarego che praticamente è al confine tra le due province e spesso quando mi presentano c’è un mezzo equivoco: “il veronese Luca Mozzato” dicono». La cosa non è che gli dia fastidio, puntualizza ulteriormente, e pensiamo lo dica con il sorriso, anche se attraverso un telefono possiamo solo dare spazio all’immaginazione.

Luca Mozzato in azione durante la Gand-Wevelgem 2020 (Crediti: FRJ | B&B HOTELS – VITAL CONCEPT p/b KTM)

La guerra dei campanili evidentemente non gli interessa, pensa ad altro, e più che fantasticare è concreto. Ambizioso: altrimenti non avrebbe mai iniziato un viaggio che lo ha portato a dividersi tra Francia e Belgio. E non avrebbe potuto prendere decisione migliore lui che, sin da ragazzino ammira Boonen. «Sono cresciuto guardando la rivalità tra Boonen e Cancellara, ma il mio cuore ha sempre battuto per il belga. A crono non sono mai andato forte e in più ho sempre avuto spunto veloce e passione per le pietre del Nord». Quale corridore migliore da scegliere come modello in gara se non uno vincente (e trascinatore di folle di appassionati) come Tornado Tom?
Sin da ragazzino Luca Mozzato ha avuto caratteristiche ben definite – fatto tutt’altro che scontato. «Ho sempre avuto una buona manualità con la bici (altrimenti non si sarebbe mai messo in luce in una gincana! N.d.A.), e da subito veloce ma con la capacità di difendermi anche sui percorsi impegnativi». Gli faccio notare come alcuni suoi colleghi, su tutti lo sloveno Žiga Jerman, quando tra gli juniores chiedevano chi fosse il corridore da battere in una determinata corsa, il suo nome era il più gettonato. «Mi fa piacere e mi rende orgoglioso, vuol dire che si riconosce il buon lavoro che ho fatto, però precisiamo una cosa: eravamo dei ragazzini, ora tra i professionisti la musica è cambiata».

È preciso e deciso nell’analizzare le fasi della sua maturità puntando l’attenzione più sulla crescita che sui risultati. «Se guardo agli Under 23 il mio percorso è stato ottimo. Sono cresciuto, maturato, mi sono adattato bene alle situazioni dimostrando di essere un ragazzo che si sa gestire in corsa. Se invece guardo ai risultati un po’ di amaro in bocca resta». Una punta di insoddisfazione data dalle poche vittorie ottenute e che probabilmente non danno merito al talento e allo spunto veloce. «Però mi chiedo: meglio passare con dieci vittorie, e poi magari ritrovarsi a fare fatica tra i professionisti anche rispetto a quei corridori che battevi?» – non sarebbe né il primo né l’ultimo – «Oppure passare con poche vittorie, ma la consapevolezza di aver fatto il percorso giusto, e di avere ancora margine di crescita?». No, Luca Mozzato non farebbe mai a cambio di situazione. Tuttavia ci tiene a specificare che non sembri la favola della volpe e l’uva: «Chiariamo, però: avrei voluto vincere comunque di più. Vincere ti provoca una gioia senza paragoni, è come una sorta di liberazione».

Luca Mozzato in azione alla Paris-Camembert 2020 (Crediti: FRJ | B&B HOTELS – VITAL CONCEPT p/b KTM)

Si parla di lingua, di squadra, di Belgio, di Francia e di pietre del Nord e allora Luca si apre e quasi non riesci più a fermarlo come se dovesse andare in fuga con in testa il traguardo del Fiandre o il velodromo della Roubaix. «I belgi sono incredibili: parlano qualsiasi lingua e ti capiscono». E con Backaert, De Backer e Boeckmans – sembra una filastrocca – è come andare all’Università. «In corsa mi aiutano, mi spiegano tutto. Io arrivo da un contesto culturale diverso e senza l’esperienza necessaria per queste gare. Il loro supporto è fondamentale soprattutto nei finali di corsa quando tendo a spendere troppo, ad agitarmi, ad alimentarmi male. E loro invece mi guidano, mi aiutano: “no tu devi fare come ti dico io, devi starmi a ruota, non pensare, poi se hai le gambe per il finale bene, altrimenti, se ne riparla”. Mi hanno portato un paio di mesi su un palmo di mano dandomi tutto l’aiuto possibile, sia legato alla corsa sia legato a tutto il resto, insegnandomi i trucchi del mestiere».

Al Fiandre 2020 le cose non sono andate come sperava, si è ritirato, ma era pur sempre la prima esperienza e non può che riuscire a vederci il lato positivo, come per il resto del periodo che ha trascorso in Belgio. «In primavera ho fatto un mese tra Francia e Belgio prima di rientrare a casa per il lockdown: la cultura che hanno della bici è incredibile, anche lo stile di vita. Backaert abita praticamente sul percorso della Ronde e conosce a memoria ogni pietra e difficoltà del Fiandre». La corsa che, insieme alla Roubaix sogna sin da bambino. «Muri fiamminghi e foresta di Arenberg sono luoghi che mi hanno sempre affascinato. Prima quando li vedevo in tv, poi quando ci ho corso le prime volte. Da Junior ho corso la Roubaix: prima di entrare nei settori di pavé arriva questo stato di agitazione difficile da descrivere e che si differenzia da qualsiasi altro momento di qualsiasi altra corsa. E poi c’è un’atmosfera! La gara si corre lo stesso giorno dei professionisti, si passa circa due ore prima di loro e c’è già il pubblico che fa il tifo. Mai vista una situazione del genere: mi ha letteralmente travolto».

E Se Luca Mozzato è un tipo elettrico, il più esuberante del gruppo dei “Men in Glaz” è decisamente Coquard. «È il jolly: se non c’è te ne accorgi. Trascina, scherza, tiene alto il morale, ha sempre buone parole per tutti e cerca di coinvolgerti. Ha un’incredibile capacità di allontanare la pressione: è l’anima della squadra». E quando gli chiediamo se si rivede in lui come caratteristiche, si fa discreto: «Di strada devo farne ancora tanta. Io, pensando al 2021, mi definisco un neoprofessionista del secondo anno. Ho fatto un po’ di esperienza ma per ovvi motivi non abbiamo corso molto e dunque non ho assorbito ritmo e gamba. Per il 2021 l’obiettivo principale sarà imparare ancora, assimilare ulteriormente, migliorare tutti gli aspetti, anche quelli mentali e se avrò la condizione arriveranno anche i risultati. Anche perché poi c’è un problema: sapete qual è? Vogliono vincere tutti, e allora prima puntiamo a fare esperienza, poi la vittoria arriverà di conseguenza». Il viaggio di Mozzato verso le pietre del Nord sta per ricominciare.

Foto: FRJ | B&B HOTELS – VITAL CONCEPT p/b KTM