Una fuga sul promontorio

A riassumere la quarta tappa dell’Adriatica Ionica Race ci ha pensato uno spaesato Emil Dima all’arrivo: «abbiamo andato forte tutto il giorno e abbiamo rimasti in pochi molto presto». Il giovane fuggitivo rumeno usa il verbo avere per qualunque forma verbale e non sa se secondo e terzo classificato debbano andare sul podio. Lo vorrebbe chiedere a qualcuno della sua squadra ma non nota nessuno. Sul volto si scava una smorfia di disappunto, infantilizzata dall’apparecchio ai denti e dall’evidente voglia di salirci, su quel palco delle premiazioni, perché è «la prima volta che vado sul podio in Italia, un paese che mi ha dato tanto».
Sul traguardo di Sirolo, tra la chiesa di San Nicolò da Bari e la terrazza vista Conero, un marchigiano d’adozione mastica amaro. Stava benissimo oggi e «forse il problema era proprio quello», rivela Antonio Nibali tenendo lo sguardo basso. «Ho esagerato un po’ e gli altri ne hanno approfittato» rimugina, mentre gli torna il sorriso solo parlando di Filottrano, comune in cui si è trasferito più di quattro anni fa: «È stata un’emozione unica. C’era mia figlia, l’ho salutata. Proprio bello».
Come buona parte delle tappe marchigiane, anche questa ha spezzato presto il gruppo e la strada ha imposto selezione. Un finale mosso tra Recanati, Camerano e Sirolo è stato teatro di attacchi continui sia davanti – i fuggitivi sono arrivati uno a uno – che dietro, dove i tre tenori della classifica generale – Zana, Tesfatsion e Pronskiy – sono arrivati assieme dopo diverse mazzate.
A spuntarla per la vittoria di tappa, alla prima volta in una corsa professionistica, un venticinquenne che professionista vorrebbe tanto diventarlo: Riccardo Lucca ha già un palmarès ricco, è stato stagista alla Gazprom l’anno scorso, ma corre ancora tra i dilettanti.
Oggi in fuga è riuscito a battere veterani di lungo corso come Nibali e Battaglin e quando gli chiedo se questo dà un sapore speciale alla vittoria parla del lavoro fatto per arrivare a giocarsela («sono stato in fuga tutto il giorno e non mi sono mai tirato indietro dal collaborare») e del momento in cui i fuggitivi diventano l’uno avversario dell’altro («fa parte della tattica anche questo»).
È arrivata la fuga sul Conero, ma ad alzare le braccia al cielo è sempre e solo uno.