La Sanremo ci racconta l'adrenalina

Sedetevi tifosi, appassionati, suiveur, insomma, chiunque abbia assistito alla Milano-Sanremo di oggi, che proviamo a raccontare l'adrenalina. Sedetevi perché ne avete bisogno anche voi dopo quello che si è visto dalla Cipressa in poi.

Quasi 300 km con la fuga di giornata con Tonelli e Rivi, gli ultimi superstiti che meritano una menzione per tutti gli altri, che pareva non volessero farsi più riprendere: d'altronde è il destino di chi scappa.
Quasi 300 km ma ne bastano poco più di una ventina per mettere in pari ogni giudizio. Per trasformare gli sbadigli in cuori che battono all'impazzata. Per far pendere l'idea generale verso la più semplice delle sentenze: ma che bella Milano-Sanremo abbiamo visto?

Il mare che attende il gruppo a Sanremo è sul nervoso andante, oggi. Le tonalità spingono decise verso il grigio, i saggi di qui dicono sia così perché il mare lavora continuamente con le onde, su e giù, dentro e fuori; si consuma, riflettendo la luce soffusa di un sole pallido che riempie l'aria di bianco panna. Si consuma, come le gambe dei corridori in una corsa che pare facile, ma che ti cuoce.

«È una corsa così lunga che abbiamo avuto tempo di scherzare in gruppo e a un certo punto ho detto: se mi seguite in discesa lo fate a vostro rischio e pericolo», racconterà a fine corsa il vincitore.

Il gruppo, quando scende dal Turchino, vede il mare ma non si fa domande, sa che manca ancora tanto prima di conoscere il destino. Si sente quel vento, però, che spinge forte da dietro, di fianco da ovunque: i marinai dicono che sulle navi non bisognerebbe mai fischiare perché così risvegli Eolo che rischierebbe di farti naufragare.

Credono che, fischiando, si possa evocare una tempesta, e oggi, il mare di Matej Mohorič è in burrasca. Una Cipressa fatta dal gruppo a testa bassa come si è vista di rado e poi un Poggio (ma quanto ci siamo divertiti sul Poggio?) di scatti, rallentamenti, di mal di gambe, dove fischiavano al vento i ciuffi di Pogačar, dove van der Poel inseguiva tutti, dove Turgis c'era, ma magari non lo notavi, dove a un certo punto Kragh Andersen pareva andarsene via, dove van Aert, invece, pensava di poter controllare meglio, ma le gambe, spesso, chi va in bici lo sa, non mantengono le promesse fatte la sera prima al centro di comando.

Tempesta, adrenalina pura, è la discesa di Mohoric che rischia tutto - anche di più: pazzo! avremmo voluto urlargli da bordo strada, lungo quei tornanti infami che caratterizzano la discesa del Poggio.
Allunga, va, costruisce, a un certo punto potrebbe pure distruggere tutto. Ma lui racconta che è stato tutto calcolato: un nuovo reggisella che gli permette di prendere più rischi, una discesa provata e riprovata, salvo due intoppi: azzardi del mestiere del discesista. «Un lungo e poi una sbandata su un tombino, è stato l'unico momento in cui ho temuto di non farcela». Glaciale: ci lascia a bocca aperta e vince.

A noi invece tocca sederci e riprendere fiato, far scendere l'adrenalina e stavolta chiedere scusa alla Sanremo se a volte dubitiamo di lei.