La vittoria di Oldani attraverso i sensi di Genova

Un silenzio particolare cala sul traguardo di Genova mentre Stefano Oldani, Lorenzo Rota e Gijs Leemreize imboccano il viale in leggera pendenza che li porta al traguardo. È quel silenzio che si può distinguere anche in mezzo a tanto rumore, quello degli occhi che, mentre scrutano per capire cosa accade, sembrano inibire la parola. Uno strano legame di senso. La città brulica ma la gente, per qualche attimo, guarda solo senza fare nulla.
E sono gli occhi a cercare, abili segugi. Stefano Oldani controlla Leemreize e risponde ad ogni attacco, ad ogni anticipazione di tempesta, poi parte e non lascia a Lorenzo Rota che la possibilità di seguirlo senza quasi poterlo affiancare. Ci siamo chiesti spesso cosa si provi quando ci si sente impotenti in sella, quando vai ma non vai, quando il movimento non è fuga, salvezza o ritorno, ma condanna, asfalto che trattiene, calura che scioglie. Rota, dopo una giornata in fuga, deve avere provato questo.
Oldani vince, si sdraia a terra, si mette su un fianco, quasi a dare aria ai muscoli e piange. È lì, sdraiato e accerchiato da fotografi e giornalisti: non si vede nulla, solo un insieme di persone che guardano, qualcuno lo applaude con le mani sopra la testa. Notiamo una ragazza, dall’altro lato delle transenne, che si abbassa e guarda sotto, nello spiraglio delle transenne e in mezzo al groviglio della gente. Lei ha voluto e potuto vedere solo così Oldani, dopo la vittoria. Lei ha cercato di vederlo così, nelle fessure, nelle pieghe, nel caos. Sono gli stessi occhi segugi, quelli che hanno fatto silenzio in mezzo al rumore. Quelli di cui il ciclismo è pieno.
Pensate alle bandiere dell’Eritrea stamattina a Parma e questo pomeriggio a Genova. Verrebbe da chiedersi perché così tante proprio ora che Girmay non è più qui. Noi lo chiediamo e ci chiedono se davvero crediamo non sia possibile tifare per qualcuno che non c’è, poi aggiungono che quella è la bandiera dei vincitori. Una bandiera legata a un ramo, chissà se di un albero di queste zone o di chissà dove, con un pezzo di cartone attaccato sopra: «Forza Eritrea!». Una piccola lezione: basta strappare un pezzo di cartone, un pennarello, un appiglio e puoi dire a tutti ciò che pensi, quello in cui credi.
Nella giornata delle fughe, nella giornata in cui si è passati dal Passo del Bocco, quella in cui si è ricordato Wouter Weilandt e il suo numero che non è più solo un numero, le persone a Genova hanno usato tutti i loro sensi per arrivare anche dove non si può o dove si credeva di non potere. A costo di sdraiarsi per terra e sbirciare da una transenna fra i passi dei tanti fotografi: la vittoria di Oldani è bella anche da lì.