Di riforme e futuro sulla strada: intervista a Giovanni Visconti

Giovanni Visconti ha le idee chiare in merito alla recente riforma del Codice della Strada: «Sento dire che è ancora tutto uguale a prima, non è vero, si sbagliano. È peggio di prima, molto peggio. Ogni giorno si continua a morire sulle nostre strade, eppure si sceglie ancora una volta di non fare nulla. Restare immobili di fronte a una situazione di questo tipo è terribile». Il siciliano ammette pochi minuti dopo che, purtroppo anche in lui, si sta facendo strada la rassegnazione. «È sbagliato, lo so bene. È sbagliato perché ci sono persone che su quella strada hanno perso figli, genitori, fratelli. In quella rassegnazione di cui ti parlo c'è tutto il dolore e la rabbia per l'immobilismo di fronte a queste situazioni. C'è chi continua a lottare per una strada più giusta dopo la perdita di un figlio e chi, potendo cambiare, fa altre scelte, si pone altre priorità. Alla fine, ti rassegni perché fa male».

Nella riforma non si parla di zona 30 in città, non si parla di distanza minima vitale per il sorpasso di un ciclista oppure di ritiro della patente per l'uso del cellulare alla guida. Visconti ha qualcosa da aggiungere: «Di queste cose non si dice nulla, ma anche delle cose di cui si parla, si parla a vuoto. A me sembrano norme vuote, che, alla fine, non porteranno nulla, non saranno applicate. Faccio una domanda: si parla di sanzioni per l'uso di tablet alla guida ed è giusto. A parte il fatto che trovo assurdo che la sospensione scatti alla seconda violazione nel corso di un biennio, vorrei capire quante multe si fanno ad oggi per l'uso del cellulare alla guida, situazione già normata. Mi sembra che si punisca troppo tardi. Magari dopo incidenti gravi. Vedo ogni giorno persone che usano il cellulare in auto. Le persone continuano a usare il cellulare in auto perché non sono attente, perché non capiscono ma anche perché non hanno abbastanza timore della sanzione. Dovrebbe bastare il buon senso e il rispetto degli altri utenti della strada, ove non basta servono più controlli e più sanzioni. Sia chiaro, vale anche per noi ciclisti. Perché non si passa col rosso, non si sta appaiati in mezzo alla strada, non ci si distrae. Personalmente richiamo sempre all'attenzione i ciclisti che pedalano con me».

Discorso simile, Giovanni Visconti lo apporta quando si parla del metro e mezzo di distanza. «L'iniziativa dei cartelli è lodevole ma senza controlli, senza sanzioni non andiamo da nessuna parte. Mettere cartelli e ignorarli è un'ulteriore mancanza di rispetto nei confronti di padri come Marco Cavorso che non rivedrà più suo figlio. La sensazione di non essere considerati come ciclisti l'abbiamo ogni giorno. L'altro pomeriggio, in una galleria, al buio, un camion, a velocità elevata, mi ha fatto il pelo. Una volta mi sarei arrabbiato, l'avrei mandato a quel paese. Oggi ringrazio solo di tornare a casa senza essermi fatto male». Il punto è sempre lo stesso, la strada è un luogo sempre più caotico, dove si scatena il nervosismo di ognuno. Visconti ha posto una regola a tutti coloro che escono ad allenarsi con lui: «Non voglio vedere persone che urlano o mandano a quel paese l'automobilista, il camionista o l'incivile di turno. Non voglio vederle perché tanto così non cambiamo nulla e anzi accresciamo solo quella rabbia che si vive in strada, oltre a rischiare che, di parola in parola, poi ci si metta a litigare e ci si faccia ancora più male». Certo questo non vuol dire che vada tutto bene e che si debba continuare così. «Perché non c'è una pubblicità in televisione che parli di questo? Magari alla sera mentre tutti si è sul divano. Che faccia riflettere su questo tema. Perché nelle scuole non c'è un'ora di educazione stradale? Non credo sia impossibile inserirla fra le materie».

Il ciclista della Bardiani Csf-Faizanè è completamente sfiduciato rispetto alla propria generazione, crede invece nelle generazioni future. «Noi non cambiamo più. I bambini invece assorbono tutto e non devono captare questi comportamenti. Sono loro a dirci che non si usa il cellulare in auto, che non si gettano le carte per strada, a correggere i comportamenti sbagliati che portiamo avanti da anni. Parliamo di questo nelle scuole, se vogliamo avere una strada diversa».

Qualche tempo fa, il figlio di Giovanni gli ha confessato di avere paura quando lo vede uscire per gli allenamenti. «Cosa puoi rispondere? Ha ragione. Se si pensa che io stesso, ciclista, ho paura a farlo andare in bicicletta con gli amici, ci si rende conto dell'assurdità della situazione. È triste perché la bicicletta è una delle più grandi scoperte per tutti i bambini». Anche questo, per Visconti è un discorso di cultura. «L'altro giorno ho rimproverato mio figlio: gli chiedo sempre di mettere il casco, ho visto che lo aveva ma sul manubrio, non in testa. Mi ha detto di non averlo indossato perché altrimenti gli altri bambini lo prendono in giro. Non è colpa dei bambini ma dei genitori: tutti ci fidiamo dei nostri figli, il casco serve per proteggerli dai comportamenti errati altrui, perché lo facciamo percepire come un di più?».

E si ritorna alla capacità di percepire le esigenze altrui. «Ogni volta che parlo di questi temi ho la netta sensazione che sarò ascoltato e compreso solo da ciclisti che vivono le stesse problematiche, come se agli altri non interessasse. È grave. Purtroppo, quando senti parlare di riforme e poi leggi queste cose, la percezione si amplia».


Di super tuck e modifiche UCI

In questi giorni l’UCI ha apportato delle modifiche sostanziali rivolte, tout court, alla sicurezza dei corridori in gara. Modifiche attuate nei limiti del possibile e con tutte le difficoltà del caso che ci saranno per chi organizza le corse, ma che cercano di venire incontro ai corridori che esigono, a ragione, che il loro posto di lavoro sia sempre sicuro, ogni giorno di più. Anche se, come vedremo, non tutti hanno accolto favorevolmente i cambiamenti.

Alcune modifiche saranno graduali e per il momento si partirà dal World Tour: si passa dal transennamento dei finali di gara alla segnaletica dei pericoli, dalla protezione di ostacoli lungo il percorso di gara al rifornimento e alla raccolta dei rifiuti, ma non solo (qui, per chi fosse interessato a entrare nel dettaglio, potete trovare tutte le modifiche https://www.uci.org/docs/default-source/rules-and-regulations-right-column/part-ii-road/2-roa-20210401-e-amendments-on-01.04.2021—updated-08.02.21.pdf mentre qui il comunicato ufficiale dell’UCI: https://www.uci.org/inside-uci/press-releases/the-uci-reinforces-rider-safety-and-its-commitment-to-sustainable-development).

Ma quello che sta facendo discutere di più è il divieto delle posizioni in bici definite “super tuck” e, per comodità, “da crono”. La “super tuck”, posizione usata in discesa, con il corpo quasi disteso sul tubo, già adottata da diversi corridori tra gli anni ’80 e gli anni ’90 e tornata in voga nelle ultime stagioni, era già discussa tempo fa e formalmente sembrava essere già vietata, anche se tollerata: “Il ciclista deve normalmente assumere una posizione seduta sulla bicicletta. Questa posizione richiede che gli unici punti di appoggio siano i seguenti: i piedi sui pedali, le mani sul manubrio e il sedere sulla sella” così riportava la regola 1.3.008 . Molti già si stanno chiedendo allora se è vietato scattare in piedi.

Mentre con le modifiche apportate l’8 febbraio si entra più nello specifico: “I corridori devono rispettare la posizione standard definita dall’articolo 1.3.008. Inoltre è vietato stare seduti sul tubo orizzontale e utilizzare gli avambracci appoggiandosi sul manubrio, tranne nelle prove a cronometro”. Dal 1° aprile entrerà in vigore il nuovo regolamento: da un’ammenda fino alla squalifica dalla corsa per chi adotterà questa posizione.

Giro d’Italia 2020, posizione “da crono”. 16° Tappa, Udine-San Daniele. Jan Tratnik (SLO), Emanuele Boaro (ITA). Foto: Gabriele Facciotti | Pentaphoto

Dunque niente più “super tuck” che, diciamolo francamente, mette i brividi a vederla, emoziona certo, ti dà una scarica di adrenalina, ma è quell’emozione che fa paura. In più uno studio fatto qualche stagione fa dall’Università di Eindhoven che metteva a confronto diverse posizioni in discesa, sosteneva come la posizione, oltre che pericolosa, non fosse di certo la più redditizia: https://www.linkedin.com/pulse/which-cyclist-hill-descent-position-really-superior-froome-blocken/.

Diverso il discorso se dovessimo esprimerci sul divieto della posizione “da crono”, adottata per essere più aerodinamici, nelle gare in linea: quella con gli avambracci distesi sul manubrio per intenderci. Utilizzata soprattutto quando si è in fuga oppure davanti al gruppo a tirare. Qui magari verrebbe forse da sorridere, anche se alla fine chi rischia la pelle sono loro, i corridori, e quindi il nostro giudizio lascia un po’ il tempo che trova. Oltretutto per alcuni è una posizione pericolosa se trovi una buca in strada, una folata di vento che ti sposta all’improvviso o se magari la stai mantenendo pedalando in gruppo.

Tuttavia si presume che alcune di queste modifiche – almeno sulla carta – siano state portate al tavolo delle discussioni proprio dai rappresentanti dei corridori, ma sappiamo come in gruppo vi sia una spaccatura e la nascita di un nuovo sindacato e questo potrebbe avere un peso anche sulle dichiarazioni di queste ore. E difatti per qualcuno il problema è diventato non tanto il cambiamento della regola, ma il fatto che in realtà i corridori non sarebbero stati interpellati.

Difatti Alex Cataford, corridore della Israel Start-Up Nation, sostiene: «Per essere chiari: come membro del CPA non sono mai stato informato di discussioni su possibili divieti su posizioni aerodinamiche. La prima volta che ne ho sentito parlare è stato sui media dopo che le regole sono state ufficializzate».

Mentre secondo Gianni Bugno, presidente del CPA, la responsabilità dei corridori è quella di essere esempi per chi li vede e li emula: «I corridori sono liberi di tenere le diverse posizioni in bici quando si allenano da soli ma non nelle gare quando sono in televisione. Hanno una responsabilità come esempi da seguire per tutti gli altri. Sanno come guidare ad alta velocità nelle gare e sono meno a rischio perché corrono su strade chiuse: le posizioni potrebbero non essere un pericolo per i corridori professionisti, ma lo sono per i giovani corridori e per i corridori occasionali che cercano di emularli».

Guarnieri, corridore sempre attento e pronto a esprimersi quando si parla di sicurezza, scrive sul suo profilo Twitter: «Le modifiche sulle posizioni in bicicletta sono buone» anche se per la verità, al momento, pare uno dei pochi tra quelli che si sono espressi, su questa linea.

Di diverso avviso invece Iljo Keisse, ma anche altri suoi colleghi (De Gendt, Vervaeke, Jungels, tra gli altri, andate a cercarvi i loro messaggi su Twitter e i vari botta e risposta in rete). «Siamo professionisti e pedaliamo ogni giorno. È ridicolo che qualcun altro decida come dobbiamo stare in bici» il parere del belga della Deceuninck-Quick Step. Keisse aggiunge anche che «nessun corridore metterebbe le mani sul manubrio in posizioni pericolose su una strada non adatta». Sempre secondo Keisse: «È assurdo. ognuno dovrebbe decidere da solo cosa è sicuro e cosa no, non servono regole imposte da chi non ha mai corso in bici o che lo ha fatto vent’anni fa».

Nemmeno sulla sicurezza un fronte comune. Le spaccature all’interno del gruppo proseguono e le polemiche non sono destinate a fermarsi nelle prossime ore.

Foto in evidenza: Kei Tsuji/BettiniPhoto©2020