Tormento senza estasi

A una media di circa 37 km/h e in sella a una bicicletta, Bagno di Romagna è parecchio lontana da Siena. Se poi vai giù dopo quattro chilometri diventa un calvario.

Sono passati pochi minuti dal via, forse sei o sette, massimo otto, quando Marc Soler cade. Sbatte la schiena e si rialza, come fa un ciclista quando assaggia l'asfalto, e chi va in bicicletta sa di cosa parliamo. La telecamera si ferma a lungo su di lui, mesto, con un compagno di fianco, arriva l'auto del medico, persino l'ambulanza, si tocca la schiena, ha male dappertutto. Qualche gesto plateale che fa parte del personaggio.
Chi ha visto il documentario sulla Movistar uscito un paio di anni fa si è fatto un'idea di lui. Talentuoso quanto bizzoso, quando si accende in salita è tra i più forti, e il Tour de l'Avenir vinto non fu per caso.

Due anni fa, durante la Vuelta, mentre il gruppo saliva verso Andorra, Soler era davanti in fuga e assaporava il successo. L'ammiraglia lo richiamò: «Dietro Valverde e Quintana hanno bisogno di te», Soler si girò mandando tutti a quel paese, volarono insulti quel giorno e in quelli successivi. Soler è un tipo difficile da tenere a bada.

A questo Giro era tra i pretendenti a un buon risultato, tanto che l'altro ieri, tra uno sterrato e l'altro, aveva dato un'accelerazione in testa al gruppetto dei migliori, pagando poi nel finale di corsa.

Soler è sempre lo stesso, forte ma volubile, è quello che vinse al Romandia un paio di settimane fa esultando polemicamente col dito davanti alla bocca, lo stesso che ieri è caduto e si è rialzato nonostante il dolore. È cambiata solo la prospettiva in questo Giro dopo una rincorsa al gruppo che stava diventando un'agonia.

E ieri il suo tormento si è chiuso dopo 50 km di telecamera fissa sul suo malessere. Lascia il Giro, mancando l'ennesima occasione per dimostrare chi è.
Il ciclismo, tra le sue peculiarità, è uno sport che dà poco e toglie molto. Ripido in salita come in discesa: una bilancia della giustizia falsificata. Pensate a De Marchi: a un certo punto lo abbiamo visto riverso sull'asfalto. Chi ha mandato in onda le immagini è stato penoso ancora più che impietoso, lo diciamo senza morderci la lingua: era proprio necessario indugiare come l'occhio di un avvoltoio? Era proprio così utile farlo senza sapere nulla sulle sue condizioni?
De Marchi solo qualche giorno fa ha vestito il sogno di una vita per un corridore italiano: la maglia rosa. Ieri è stato trasportato in ospedale con botte e fratture, e quelle immagini non le avremmo mai volute vedere, noi, figuriamoci le persone più vicine a lui. Quelle immagini non sarebbero mai dovute andare in onda almeno fino a notizie rassicuranti avvenute.

Ieri è stata la tappa del calvario e dell'agonia: Bagno di Romagna è davvero lontana da Siena. Naesen cade mentre cerca di mettersi una mantellina; Goossens cade, batte il fianco destro e si ritira, Dowsett chiude il suo tormento poco dopo quello di De Marchi, sconfitto dai dolori allo stomaco. Masnada dà una risposta alle contro prestazioni dei giorni scorsi e abbandona per un problema al ginocchio. E poi ancora lo strazio di vedere Petilli, Ulissi e Tesfazion soffrire in discesa e staccarsi. E poi un altro ritiro, quello di Mäder. Pochi giorni fa vinceva la tappa il giorno dopo la caduta con ritiro del suo capitano Landa, prendendosi una rivincita su quel finale strappacuore della Parigi-Nizza. Per la sua squadra un tormento continuo. Bello il Giro d'Italia, è vero, formidabile sport il ciclismo. Ma quanto patire.

Foto: Luigi Sestili