Il viaggio in Alaska di Tiziano Mulonía

Solo il giorno prima Tiziano Mulonía si era svegliato piangendo. Sette, otto mesi passati ad allenarsi duramente e ora il viaggio in Alaska era a rischio. Aveva chiesto più volte spiegazioni all'ambasciata americana, ma l'invito era sempre lo stesso. «Le faremo sapere. C'è un'epidemia, è un periodo delicato». Quella telefonata, il 26 febbraio, era totalmente inattesa ormai. Tiziano, al mattino, era uscito in bicicletta per distrarsi, per non pensare a nulla. «Avevo già tutto pronto, la bicicletta impacchettata, il tampone prenotato. La testa mi diceva che non c'erano più possibilità, l'istinto mi faceva restare in attesa». Quel permesso voleva dire che quelle 350 miglia di Iditarod Trail, lunga ultramaratona invernale che si può affrontare in bici, a piedi o con gli sci, da percorrere nel gelo, sarebbero stata realtà solo due giorni dopo. Lo spaesamento aveva presto lasciato spazio ad un'organizzazione fulminea con un volo preso all'ultimo secondo, tra chi gli permetteva di scavallare la coda in aeroporto e chi lo mandava a quel paese, innervosito da tanta fretta. A Tiziano non interessa, l'unico suo pensiero è arrivare in Alaska.


Sono ventisei le ore di volo e Tiziano Mulonía cerca di non dormire, vuole arrivare stanco, in modo da riposare bene la notte. In hotel, a tarda sera, preparerà la bicicletta in vista dell'appuntamento con il meccanico e andrà a letto. «All'entrata in quel negozio ho sentito una forte botta, un tonfo sordo, qualcosa che rimbombava. All'inizio ci ho dato poco peso, poi, non riuscendo a togliermelo dalla testa, ho chiesto. La risposta mi ha lasciato basito: “C'è stato un terremoto. Più di quattro gradi della scala Richter, qui succede”. Mi sono ripetuto che dovevo stare calmo». Suo fratello, Willy, glielo aveva detto molte volte: «Ricorda, in Alaska ti aiuteranno solo la calma e la pazienza». Lui in Alaska c'era già stato e un percorso simile lo aveva già affrontato a piedi, si era ritirato distrutto, prima di scoprire un'ernia e di capire che i tempi di recupero per la camminata non ci sarebbero più stati. Dopo alcuni mesi aveva chiesto a Willy di metterlo in sella, perché era l'unica possibilità per poter pensare di tornare in Alaska. «L'unica volta che ero stato in bici avevo diciotto anni e con Willy avevamo scalato un monte della zona. In cima avevo giurato che non avrei mai più toccato una bici. Ma la vita è imprevedibile».


Tiziano parte forte, sta bene e, forse, questo lo induce in errore. La prima notte la neve cade grossolana e lui, in viaggio verso il secondo checkpoint, la subisce. Arriverà con sei ore di ritardo sulla tabella di marcia e oggi ammette che la scelta migliore sarebbe stata fermarsi al primo punto di controllo e gestire i tempi diversamente. Il giorno successivo dovrebbe percorrere cinquanta chilometri, ne percorre novanta per recuperare quel ritardo. L'avvicinamento alla prima scalata del Rainy Pass è cruciale: bisogna arrivarci il prima possibile, in modo da avere il tempo di recuperare. Tiziano ha dormito bene, “quasi in coma” dice lui, e quella mattina i pedali vanno veloci. Ad un bivio, Mulonía sbaglia strada e va dritto. «Stavo percorrendo vie che non conoscevo, nel nulla. Dopo circa quaranta chilometri ho controllato il gps: ero fuori percorso. Mi sono seduto per terra, sono crollato. Piangevo, singhiozzavo. Saranno stati tre minuti, infiniti. Al ritorno della razionalità, mi sono parlato: “Tiziano, sei stato tu a sbagliare. Ora riparti e vai a destinazione”. Dovevo arrivare alle sei del pomeriggio, sono arrivato alle due di notte, ma era l'unica cosa da fare. Se non sei grado di porre rimedio da solo ai tuoi errori, sei il tuo più acerrimo nemico».


Le esperienze degli anni precedenti gli hanno insegnato la sola cosa che conta in questa ghiacciaia. «Madre Natura comanda, lei decide, lei ha pieno potere su di te. Se pensi di sfidarla, se pensi di ingannarla, ti affossa, ti sfinisce. In casi estremi ti uccide. Devi accettare la tua inferiorità e vivere con rispetto». La paglia accanto a cui posa il sacco a pelo per riposare è la stessa che l'anno prima non lo ha lasciato dormire, questa volta, però, Tiziano non si alza, non perde la pazienza. «Una volta, con Willy, ero ripartito in piena notte e avevo camminato ventidue ore, a mollo in settanta centimetri di neve, a meno cinquanta gradi, solo per l'impazienza di arrivare. Ricordo che Willy, all'arrivo, mi disse: “Tiziano, non sei contento? Sei arrivato, l'hai finita”. Ero felice ma non me la sentivo di sorridere, avevo sbagliato, non mi ero controllato, non avevo fatto come avrei dovuto. Avevo pagato quella fatica e avevo capito cosa non fare più. Se non sei razionale, sei perduto. Qualche anno fa sono stato assalito da un alce di settecento chili. Potevo spaventarmi, scappare o pensare al ritiro. Mi sono gettato nella neve fresca, ricordando che questi animali, lì, vanno in difficoltà». Si riparte alla una di notte, svegliati dall'arrivo di una gara di cani: le norme non permettono l'assembramento e quattro ore di riposo sono più che sufficienti.


Mulonía scala l'altro versante del Rainy Pass. In cima torna a cadere la neve, gli ultimi due chilometri li percorre con già venti centimetri sul terreno. Giusto un checkpoint per mangiare qualcosa e si va verso Finger Lake. Mancano cento miglia all'arrivo e non nevica più. Tiziano impiega altri due giorni. Il suo viaggio terminerà alle due di notte. «Stavo perdendo lucidità, ero convinto di non avere più cibo, invece qualcosa c'era ancora. Negli ultimi chilometri pensavo a mia moglie e a mia figlia. A tutto il tempo che ho tolto loro per prepararmi, a tutte le attenzioni che mi hanno dedicato, al pane contato a tavola, ai vestiti che mi hanno fatto trovare sempre puliti, a posto, pronti per ripartire. Sono in debito con loro, ma restituirò tutto, se lo meritano». E ancora ritornano le parole di Willy e la consapevolezza. «Non gli ho mai chiesto nulla in più di ciò che già mi dicesse. Non doveva essere lui a sobbarcarsi anche la mia fatica. Ho sempre pensato che dovevo essere io in prima persona a sbattere il naso per capire gli errori. Devi avere il coraggio di sbagliare da solo, perché, poi, la soddisfazione sarà ancor maggiore. Essere uomini significa anche questo».


Tiziano aggiunge poche parole: «Non voglio sentire parlare di eroismo. Non sono un eroe. Quello che ho fatto è qualcosa di mio, qualcosa che fa parte della mia vita e che tengo stretto. Solo questo». Poi l'ultimo pensiero: «Due anni fa, abbiamo perso il nostro secondo figlio. Era ancora in grembo, diciotto anni dopo la mia primogenita. Io ho sofferto, ma l'ho accettato. Mia moglie ha passato un periodo molto difficile e non se l'è più sentita di provare ancora ad avere un bambino. Aveva troppo paura di una nuova perdita, di tutto quel dolore. Ho accettato questa scelta. Due mesi fa abbiamo preso una cagnolina, abbandonata in una scatola in un campo. Non puoi immaginare quello che mi fa provare guardarla. Mentre ero in Alaska, mia moglie le faceva sentire la mia voce e lei guardava lo schermo del telefono. Quando sono tornato mi ha accolto in un modo indescrivibile. C'era così tanta felicità in quel suo scodinzolare. Se avessi saputo che avere un cane sarebbe stato così, l'avrei adottato dieci anni fa».

Foto: Tiziano Mulonía