Luca Scinto e il prezzo dell'essere veri
«Ho provato a mentire alle mie figlie per lavoro. Magari, il sabato, mi chiedevano di accompagnarle da qualche parte dopo la scuola e io rispondevo che non potevo in quanto dovevo andare in ufficio a lavorare. Non era vero, andavo ad allenare qualche ragazzo in vespa. Mi è accaduto con Visconti, con Tortomasi e con tanti altri: ero disponibile con chiunque me lo chiedesse. Non sarebbe stato mio dovere ma per come vivo il ciclismo non avrei mai potuto dire no. A me piace allenare i ragazzi».
Luca Scinto vive il ciclismo in maniera totale e come lo vive lo racconta. Non ci sono parole trattenute o nascoste, Scinto deve dire ciò che pensa e non importa il pensiero comune, lui, da buon toscano verace, dice la sua. «A volte i ragazzi non ringraziano nemmeno, come fosse scontato. Sto ore sullo scooter e non sono pagato per farlo. Lo faccio volentieri e non saprei fare altrimenti, mi chiedo solo se questo spirito venga capito. Al Giro d’Italia, arrivo a fine giornata sfinito. Perché? Perché vivo la corsa, soffro in corsa, partecipo ad ogni circostanza. Potrei fare come alcuni colleghi che arrivano in hotel e sono tranquilli perché hanno fatto il loro lavoro e poi “vada come vada”. Invece no».
Questo è un pregio ma, come dice Luca Scinto, potrebbe anche essere visto come un difetto. «Non ho mai trascurato la mia famiglia, sia chiaro. Grazie al lavoro, anzi, sono riuscito ad affrontare meglio difficoltà extra-lavoro. Sono riuscito a isolarle. Credo sia per il mio darmi completamente a quello che faccio. Ho tanti difetti e pochi pregi. Questo modo di operare spesso non viene compreso fino in fondo». Qui Scinto pensa alle delusioni avute in questi anni. «Cinque anni fa ho scelto di prendermi un periodo di pausa e dedicarmi ai più giovani. Angelo Citracca non avrebbe voluto, mi chiedeva di aspettare. Non potevo aspettare, si era rotto qualcosa con i ragazzi e non riuscivo più a continuare facendo finta di niente. Non mi fidavo più, ero stato deluso, ero stato tradito. Quando un corridore fa uso di doping, ti mente, finge di sentirti ma prende altre strade. Chi fa uso di doping imbroglia, ruba agli altri. Non è mai stato accettabile, oggi ancora meno. Sono tornato perché sapevo di avere la coscienza pulita, perché ero certo di non avere alcuna responsabilità ma è servito tempo. Ho sempre messo la faccia per i miei ragazzi. Citracca continuava a dirmelo: “Luca, guarda che non sei lo stesso. Sei cambiato, Luca. Torna come prima”. Ci ho messo tre anni per tornare come prima. Alla fine ti lecchi le ferite e vai avanti ma resta l’amaro in bocca. Capisci che, nella vita, ci sono degli irresponsabili e accetti questa verità».
In quell’anno Luca Scinto ha riflettuto. «Mi sono guardato intorno e ho capito chi erano i veri amici. Citracca era un amico, uno di quelli veri. Con lui condivido un’amicizia di quasi trentacinque anni, un’amicizia in cui si condivide tutto, anche fuori dal ciclismo. Tanti altri no. Ma le delusioni non sono solo queste. Sono delusioni anche tutti quei rapporti che cerchi di costruire con i ragazzi e che si disfano sotto il peso di questioni meramente economiche. Succede così. Certi rapporti puoi costruirli fino a quando gli atleti sono giovani poi diventa impossibile. Si tratta di un dato di fatto».
La gratitudine ha un peso notevole nella coscienza del direttore sportivo della Vini Zabù Ktm. «Sai, è importante dire i tuoi grazie, ogni tanto. Penso a mia mamma che non c’è più. Lei e i miei nonni mi hanno da subito supportato in questa scelta e posso assicurarti che per loro, per quei tempi, si trattava di un sacrificio notevole. Tutto quello che ho fatto, lo devo a loro. Penso a Maximilian Sciandri che mi ha voluto con lui al passaggio al professionismo. A tutti gli insegnamenti di Giancarlo Ferretti e agli anni condivisi con Michele Bartoli. Soprattutto penso ad Angelo Citracca».
Citracca e Scinto hanno corso assieme, sia da compagni di squadra che da avversari. Quando Luca Scinto stava per smettere, Angelo Citracca gli ha telefonato: «Mi chiese di andare con lui, c’era l’idea di costruire una squadra di dilettanti. Quando smisi, gli proposi di trovarci al bar per parlarne: ci fu una stretta di mano da amici quali eravamo e iniziammo tutto. Angelo è come un fratello per me, sono diciotto anni che lavoriamo assieme e, lo dico sinceramente, fino a quando Citracca resterà nel ciclismo io sarò con lui. Diversamente ci penserò, magari cambierò lavoro. Si discute, certo. Chi ti dice sempre sì, chi non dialoga ed accetta ogni cosa, non è un amico. Bisogna ricordarselo. Sembra strano da dire ma Angelo caratterialmente è più forte di me». Scinto sorride e ammette: «Sono salito in auto e ho provato a fare il direttore sportivo».
Nel tempo tante soddisfazioni: la più grande, a giudizio di Scinto, è la vittoria di Oscar Gatto a Tropea al Giro, davanti a Contador. Come non ricordare il secondo posto di Pozzato al Fiandre, «una scommessa di una piccola squadra che sarebbe potuta valere una grande classica», e i titoli italiani conquistati da Giovanni Visconti. «Sembrerà esagerato ma non lo è. In fondo, un direttore sportivo deve fare con i propri atleti quello che un genitore fa con i propri figli. Deve rassicurarli, tranquillizzarli, metterli a proprio agio. Bandire il panico. Questo comporta un forte rapporto con i corridori, bisogna sentirsi spesso, bisogna parlarsi molto».
Sull’abbrivio di queste considerazioni, Luca Scinto continua: «Non può esistere campione che non si conosca, che non conosca il proprio fisico. Ho avuto un grande preparatore come Luigi Cecchini ed il Centro Mapei mi ha aiutato molto ma certe cose devi capirle da solo. Un corridore deve sapere quando è il suo picco di forma stagionale. Deve sapere se va meglio con il caldo o con il freddo. Puoi avere tutti i migliori preparatori dell’ambiente ma se non ti conosci non vai lontano. Si sono fatti tanti passi avanti ed oggi anche i materiali sono parte integrante delle prestazioni, questo, però, viene a monte. A me non piace la programmazione esasperata. Sono atleti, non robot. Alcuni ragazzi hanno paura a restare un giorno senza bicicletta, sono terrorizzati. Il riposo è importante quanto l’allenamento, se lavori bene puoi restare anche due, tre giorni senza bicicletta. Ci sono tanti altri esercizi da fare. Molto sta all’intelligenza tecnico-tattica dell’atleta. Un discorso simile lo ho fatto ai ragazzi questa primavera rispetto all’uso dei rulli: va bene usarli ma non bisogna abusarne, non bisogna fare fuori giri. Quei momenti sono, invece, i migliori per lavorare su tutti quei dettagli su cui di solito non si lavora. Dettagli che fanno la differenza».
Scinto non ha dubbi. «Se un figlio mi chiedesse di correre in bicicletta, acconsentirei immediatamente. Il problema del ciclismo di oggi non è il doping, è la sicurezza stradale. Su quella bisogna lavorare». Del ciclismo, quest’anno, a Scinto è mancato il pubblico. «Dobbiamo ringraziare il fatto che ci è stata data la possibilità di correre, di lavorare. Il ciclismo ha superato un esame davvero difficile e questo deve darci fiducia. Ma andare alle partenze e vedere quei piazzali deserti è davvero triste. Mi sono mancate le persone, la loro richiesta di foto, di autografi, le loro grida ed i loro applausi quando attraversi un passo alpino, i giornalisti con le loro domande e le loro interviste. Il ciclismo è anche tutto questo. Io, lontano dal pubblico, sto male».
Quest’anno Luca Scinto ha detto addio a Giovanni Visconti, passato alla Bardiani. «Non rinnego nulla. A Giovanni voglio bene, per me è una persona importante. Mi ha regalato moltissime emozioni e quelle restano e resteranno sempre. Lui lo sa, abbiamo idee diverse. Io al suo posto avrei agito diversamente ma ognuno fa le proprie scelte e se ne assume le responsabilità. Mi sarebbe piaciuto vederlo concludere la carriera con noi e magari, chissà, con un ruolo in squadra anche successivo. Le cifre che ci chiedeva questa estate, per noi, erano importanti, è andata così. Forse è anche un bene. Ultimamente Giovanni non era più contento qui. Come dice quel detto? Le minestre riscaldate non vanno mai bene e probabilmente sarebbe stato meglio se non fosse tornato dopo la prima esperienza con noi. Gli auguro tutto il bene. Sono certo che vincerà ancora diverse gare».
Se Scinto dovesse parlare di un proprio difetto, parlerebbe del suo essere permaloso. «Questo non vuol dire che non mi piaccia scherzare. Anzi. Amo scherzare: bisogna essere capaci di sdrammatizzare e di alleggerire l’atmosfera alla vigilia di appuntamenti importanti. Però quando si scherza, si scherza. Quando c’è da lavorare seriamente, sono molto esigente. A me manca l’istruzione, non ho studiato e non so le lingue. Ma credo di fare molto bene il mio lavoro: date ad altri direttori sportivi il budget ed i corridori che ho io e date a me il loro, poi vediamo. Non tollero chi non è sincero. Si può dire tutto ma lo si dice in faccia. Sono un istintivo. Sono focoso, ora già meno dei primi tempi. Se parli male di me, se mi parli alle spalle, non venire a stringermi la mano perché non so far finta di nulla. Non sono capace di sorridere come se nulla fosse».
Il pensiero torna ad un amico e ad un maestro. «Franco Ballerini mi diceva di continuare a mostrarmi cortese anche con chi non mi stimava. Diceva che la cortesia non va mai negata a nessuno, nemmeno alle persone che non ci piacciono o a cui non piacciamo. Lui aveva sempre una parola buona per tutti. Mi insegnava bene, sono io che non ho imparato». Parlare di Franco Ballerini significa parlare di tante cose: del rapporto rimasto con la moglie, di tanti momenti vissuti assieme, delle gare e di pomeriggi indimenticabili. «Mi chiamava al cellulare e mi diceva: “Vengo a prenderti e si va da Alfredone”. Alfredone era Alfredo Martini. Si parlava di vita e di ciclismo. Con Franco si era amici prima che colleghi. Ci volevamo bene ma non mi ha mai regalato nulla. Pensa che quando eravamo in nazionale e per rispetto della professionalità ero più freddo, Ballerini lo diceva a sua moglie: “Scinto non mi ha neppure salutato, oggi. Eppure l’altra sera ridevamo e scherzavamo come niente”. Per me era una questione di serietà sul lavoro. Una volta me lo disse: “Luca, mi serve un uomo per il mondiale. Vorrei portarti perché so che su Scinto posso sempre contare, so quello che può darmi Scinto. Ma te lo devi guadagnare”. Lavorai duro e mi convocò. Questo era Franco. Certe volte penso che, fosse stato ancora qui, molte cose sarebbero state diverse. Penso che avremmo costruito una grande squadra. Assieme».
Foto: Vini Zabù-Brado-KTM