La Ciclovia Parchi di Sicilia nel racconto di Giovanni Visconti
I colori sono, in fondo, tutto ciò che serve per descrivere la Ciclovia Parchi di Sicilia. Il nero della terra, della sabbia, nei pressi dell'Etna, il bianco dell'Alcantara, con l'estate che è rimasta e l'erba che ingiallisce, il verde dei Nebrodi, con lo sterrato marrone e le pietre, e il colore tipico dello sterrato toscano delle Madonie da dove si intravede il mare. Ne parla così Giovanni Visconti che, assieme a Filippo Fiorelli e Paolo Alberati, ha percorso quei trecentocinquanta chilometri in quattro tappe, a fine ottobre e, oggi, ritornerebbe lì, in quella Sicilia che sente sua. «Quando ti dico che la Sicilia è stata il mio sacrificio intendo questo. Non l'ho mai conosciuta come avrei dovuto, voluto. Da ragazzo, forse, non vi ho trovato ciò che mi sarebbe servito per diventare ciclista, è stato tutto più difficile, mi è servito molto più impegno per farcela. Però, oggi, lo so: posso dire che se sono diventato ciclista è anche grazie a questa terra. Alla voglia di farcela che mi ha trasmesso». Ci pensava mentre pedalava a Piano Battaglia, pensava a tutte le volte che da ragazzino aveva percorso quella strada per allenarsi, insieme a suo padre, e a come la ricordava, o meglio, a come non la ricordava perché di quella strada era rimasta solo la fatica, il brutto tempo, il freddo, invece questa volta ha visto di più, ha visto quello che è realmente quel paese.
«Siamo partiti da Giardini Naxos e avevamo uno zaino per uno, niente più. Negli alberghi ci guardavano in modo strano, quasi fosse impossibile viaggiare così. Eppure ci è bastato quel poco. Per una vacanza con amici basti tu stesso, la mente sgombra da pensieri e l'idea di divertirsi. Per una vacanza fra amici basta l'idea di uscire dagli schemi. Schemi che la società mostra e noi ci imponiamo». Uscire dagli schemi anche durante un viaggio, ovvero non avere fretta di arrivare, di visitare, di vedere, di guardare o, più semplicemente, di viaggiare. «Significa fermarsi a pranzo e gustarsi il cibo, i sapori, i profumi, significa guardarsi attorno e non temere di allungare la strada per visitare un paese che appare in lontananza. Noi lo abbiamo fatto con Geraci e Gangi e per me sono state scoperte. Significa abbandonare per un poco tutti i programmi che facciamo e che ci condizionano la quotidianità. Significa che è possibile arrivare in albergo col buio, facendo attenzione, certo, ma si può cenare tardi e non cambia nulla. Anche il buio può essere un momento bellissimo in gravel. La domanda deve essere: mi sono goduto il viaggio? Se la risposta è sì, il resto conta poco».
Godersi il viaggio vuol anche dire guardare fuori dalle finestre dei luoghi in cui si è e notare ciò che si può osservare, abitudine che si è persa, ma le finestre sono fatte per guardare fuori: quel treno ad un unico vagone e quella ferrovia non lontano dall'Etna. «Lungo la Ciclovia Parchi di Sicilia, in bicicletta, ho parlato spesso con Filippo Fiorelli di questa terra. Lui c'è cresciuto, lui la conosce bene. Mi ha parlato di luoghi che poi abbiamo incontrato e di quel carretto siciliano che si sta facendo costruire, qualcosa di personale. Ecco quel carretto parlerà della sua Sicilia, credo sia una bella usanza. Ogni carretto racconta un pezzetto di Sicilia e basta pensare al giallo e all'arancione per immaginare parti di quest'isola».
In bicicletta Giovanni Visconti ha scoperto che vicino all'Etna, a 1200 metri, crescono funghi, anche bei porcini, una sua passione da sempre che, però, non pensava proprio di ritrovare qui. Qualcosa che ricorda questo autunno che tarda ad arrivare mentre attorno il colore dominante è ancora il verde che fa da contrasto allo sterrato.
«A Taormina mi sono dovuto fermare a fotografare i prodotti di un fruttivendolo. Erano perfetti in quella cornice, stavano bene, donavano alla cornice. Il gravel, vissuto così, permette di vedere anche questo: nei paesaggi più belli che ci troviamo di fronte ci sono sempre tanti particolari che non scorgiamo, perdendoci nel tutto. Una bicicletta, con la sua fatica e i suoi tempi, ti sfida a notare i particolari, anche quelli che nessuno considera».
Talvolta ci si ferma a parlare con chi si incontra o con i propri compagni di viaggio e si scopre che aprirsi fa meno paura. Si è meno riservati in sella, anche si tratta di parlare di un problema: «A me è successo con Paolo Alberati. Ho sempre provato un certo fastidio, un certo disagio, nel raccontare le mie cose, le mie riflessioni, con Paolo è diverso. Credo abbia a che fare anche con la bicicletta, con la sensazione di parlare liberamente che restituisce».
Resta ancora il pistacchio di Bronte, una sorta di sfondo di questo viaggio, la "manna", un dolce tipico, fatto a bastoncini, ma anche il gelato e i panettoni esposti per strada, perché chiunque possa assaggiarli. E con tutto quello che resta viene proprio da pensare che, prima o poi, bisogna tornare a pedalare in Sicilia. Visconti lo dice: «Amunì, chi sta aspittànnu?».
Giovanni Visconti, come al primo giorno
Chi prova a narrare storie sa bene il talento di Giovanni Visconti nel raccontare. Giovanni parla nel modo che preferiamo: umile, semplice, spontaneo. Tu lo ascolti e, qualche volta, quasi dimentichi di rilanciare la domanda tanto quel flusso ti prende. «Sai, mi sembra tanto il primo giorno oggi. Ma non il primo giorno di corsa dell’anno, proprio il mio primo giorno di gare di quando ero un ragazzino. Forse anche bambino. Diciamo che è un poco tornare piccoli, almeno con le sensazioni». In realtà, lo sguardo al mondo del siciliano di Palermo è rimasto quello di quel ragazzo. Basta poco per capirlo. Per esempio osservare i dettagli su cui si sofferma. Dettagli che restano impressi quando si è più giovani, da grandi, purtroppo, si tende a normalizzare tutto. Una disdetta degli anni. «Penso che per i più non sia salvezza ma taluno sovverta ogni disegno» diceva Montale. Visconti è la variante.
Venerdì scorso era dispiaciuto: avrebbe voluto essere a Siena a correre quella che, per lui, è la corsa più bella del mondo, la Strade Bianche. Avrebbe potuto dire e scrivere molte cose, ha scritto solo che gli mancavano «quelle sere fuori dall'hotel a pensare a come sarebbe andata l'indomani, a toccare per l'ennesima volta le ruote, a controllarne la pressione». Gli mancava un dettaglio, un attimo. Quel giorno lo ha passato allenandosi e oggi dice che, forse, aver evitato quel caldo, quella polvere, quella fatica, potrebbe dargli qualche vantaggio. Sì, lo dice. Sorride. Ma c’è nostalgia. C’è voglia di ritorno.
Come sta, a dire il vero, non lo sa neanche lui. Non può saperlo. «Quando torni a fare qualcosa dopo tanto tempo non sai cosa aspettarti. Lo sai solo dopo averla fatta. Spero che vada tutto bene ma allo stesso tempo ammetto che qualche dubbio lo ho. È stato un periodo difficile, per tutti. È così diverso. Ci manca il pubblico. La gente è parte di noi. È così brutto non poterla vedere. Verrebbe voglia di non crederci invece è proprio vero».
Giovanni Visconti ha un desiderio. Vorrebbe che la stampa, che le televisioni, che i mezzi di informazione, raccontassero questa storia seppur triste: «Noi stiamo tornando a correre, stiamo tornando alla normalità ma c’è stata tanta sofferenza in questo periodo. Tanta fatica per restare a galla. Per esserci, per esserci ancora. Proviamo a parlare delle squadre, degli organizzatori, dello staff che c’è dietro di noi. Ricordiamo la loro importanza. Le loro difficoltà. Dovremmo smetterla di dare le cose per scontate. Nulla è scontato. Nulla».
È vero, Giovanni. È vero.
Foto: Claudio Bergamaschi