Vittoria e cambiamenti - TRENTINO 2021 - DAY 3

Si potrebbe partire da qualsiasi momento per raccontare questa giornata, così intensa che se la agitassi ti verrebbe fuori tanta di quell'acqua da rinfrescare un pomeriggio caldo, che più caldo non si potrebbe.

«Qui va così: è il tipico settembre trentino», mi racconta Enzo. Fa il volontario e cerca di smistare le persone: tra quelle che vogliono entrare al museo, i corridori che attraversano la passerella per dirigersi al via della crono, semplici curiosi, o giovani tifosi con in mano un foglio stropicciato e sopra indicata la lista di partenza. «Adesso arriva Remco, ora passa Ganna, ora Pogačar» e così via. Affidandosi ad orario e numeri di pettorale. Già scafati.

Si potrebbe continuare raccontando dell'urlo del pubblico strozzato sull'arrivo, in quella sorta di Maracanazo in salsa (infinitamente minore, si capisce) ciclistica, quando Stefan Küng, vincitore potente, elegante, a pieno diritto nell'élite mondiale della crono, si mette dietro per sette secondi Filippo Ganna, il più atteso, il più tifato.

Il livello è così alto che te ne accorgi vedendo gente come Bissegger quarto o Affini sesto, terminare la prova completamente stremati; o Pogačar ancora più indietro, uno che non lo troveresti mai al dodicesimo posto se non, forse, in uno sprint di gruppo.

Te ne accorgi quando Evenepoel, uno che terrebbe il broncio pure se finisse secondo nella volata al cassonetto, afferma: «È un giorno speciale, se guardo a dove ero pochi mesi fa dopo l'incidente al Lombardia, per me è un miracolo già essere in bici, figurarsi stare sul podio di fianco a due così».

Si potrebbe continuare parlando delle crono del mattino quando Marlen Reusser vince quella femminile élite e in un perfetto italiano mi racconta di venire da un paesino conosciuto solo per la sua prigione e che fino a nemmeno troppo tempo fa, in gruppo, non la facevano nemmeno passare per andare davanti. Ora batte tutte, olandesi comprese.

Si potrebbe parlare di Vittoria e Viktoria. Vittoria è Guazzini, gambe muscolose di chi a crono vola, vince l'oro tra le Under 23, la sua gioia è mista alla consapevolezza di avere grandi mezzi.
Viktorija è Senkute che arriva dalla Lituania e oggi correva la sua prima gara di livello internazionale. Quando mi avvicino alla sua ammiraglia per chiedere di scambiare due parole con lei, un membro dello staff lituano sgrana gli occhi: «La nostra Viktorija o l'italiana Vittoria?».

MI racconta, Senkute, di aver scelto il ciclismo al posto del canottaggio praticato ad altissimo livello, lo scorso anno, dopo un grave incidente. Da quel momento il ciclismo non lo ha mai più abbandonato, o anzi, precisa, è il ciclismo che non ha mai voluto abbandonare lei. L'obiettivo agonistico è migliorarsi: «soprattutto a stare in gruppo, è la cosa più difficile di tutte», ma con la bici, afferma, posso trasformare una giornata buia in una giornata luminosa.

Mentre mi spiega qualche altro dettaglio della sua vita, vicino a noi è parcheggiato il motorhome dell'UAE. Tadej Pogačar scende gli scalini, occhialini dorati, cuffiette, inizia a prepararsi sui rulli. Di fianco è parcheggiata una vecchia station wagon con targa lettone; una ragazza scende dall'auto, si prepara e sale in bici per provare il tracciato della gara in linea. Ha la maglia della BORA-hansgrohe, i calzoncini di un'altra squadra e una banana ammaccata nel taschino posteriore.

E si potrebbe chiudere, e così chiudiamo, raccontando di quel ragazzo macedone, Andrej Petrovski, che corre la crono maschile e arriva 33° a 2'30'' dal podio di Remco. Si avvicina al belga e chiede foto e autografo. Trasformeranno tutti, questa calda e intensa giornata, in qualcosa da raccontare al prossimo. Potere del ciclismo.

Foto: Bettini