Siate veri
«Sai, la maglia di campionessa europea è qui in camera con me. È lì, distesa sul letto. Ogni volta che passo la guardo, la fisso. Mi invento anche qualche scusa per tornare in camera a vederla. Devo ancora capire se è vero oppure no. Ma mi sembra proprio realtà, altrimenti tu come faresti a saperlo? Stanotte la terrò nel letto con me, deve essere bello dormire con tutte quelle stelle». Sono le sei di sera del giorno in cui ha conquistato l’Europeo, quando telefoniamo ad Eleonora Camilla Gasparrini e lei ci risponde così. Forse per questo il pensiero va ad una notte speciale. Sono sempre insonni le notti che succedono a giorni belli: quando dormi perdi la cognizione del tempo e se sei felice ti spiace buttare via anche solo qualche granello di sabbia della clessidra che scorre. «Sono stanca ma forse stanotte starò ad occhi aperti a fantasticare. Del resto non ho debiti col sonno, la scorsa notte ho dormito davvero bene. Non ero preoccupata. Avevo coscienza del fatto che mi aspettava una prova importante ma sapevo anche di aver fatto tutto il possibile e di avere al mio fianco delle compagne fantastiche. Perché avere paura? Ero emozionata, certo». Qualcuno diceva che le emozioni le viviamo tutti, solo che alcuni si spaventano quando si sentono diversi. Parlano tanto della normalità che uccide ma poi, quando incontrano lo speciale, rimpiangono il normale. Perché lo speciale ti ribalta la vita e non è detto sia sempre così piacevole. Il segreto è trasformare quello scombussolamento emotivo in adrenalina. Magari in euforia.
C’è una regola personale: quando scrivi, vai sempre di prima impressione. È quella giusta. Eviti l’errore? No, però, hai imboccato la via giusta, quella della realtà. Nuda e cruda, talvolta. Non piaci? Pazienza, il vero difficilmente piace. La società si è ammalata del brutto vizio di edulcorare. Eleonora no, sarà perché è così giovane e crede ancora a quel manicheismo esistenziale che l’età tende a smussare. In parte va bene, in parte è un errore. Per esempio è un errore quando parli con il cervello che tiene sotto stretto controllo ogni virgola del pensiero. Quando nelle parole non lasci uno spazio, il giusto spazio, al tuo sentire. Quando ogni parola è una ponderazione esasperata per restare dove più ti conviene. Eleonora, per fortuna, non sa cosa significhi questo o, se ne è cosciente, lo respinge. Tra le nostre domande e le sue risposte non passano mai più di tre o quattro secondi. Per questo siamo certi di raccontarvi il vero, perché in così poco tempo non si può assemblare una bugia. «Cosa vuol dire la maglia azzurra? Ma vuol dire tutto. Molti dicono che è un onore. È vero ma c’è di più. Per la maglia azzurra devi essere disposto a morire. Tu rappresenti la tua nazione. Tu sei figlio di quella terra che hai sulla pelle. Non vale una sola scusa».
Al traguardo Eleonora Gasparrini è scoppiata in un pianto liberatorio. Lacrime grosse, anche quelle tipiche solo di una certa età. Crescendo si impara a mentire anche con le lacrime. Non le lasciamo più uscire, non le lasciamo più libere. «Appena ho rivisto le mie compagne mi sono messa a piangere. Piangevo e mi asciugavo il viso nelle loro magliette. Poi c’erano mamma e papà, loro sono ovunque io sia. Questa vittoria li fa felici e questo è il mio primo motivo di felicità: vedere mamma e papà contenti». Del ciclismo le è sempre piaciuta la velocità, e, quando questa primavera, a causa del lockdown, non ha potuto correre, soffriva: «Sono sempre le sensazioni a mancarci. Sin da piccola mi sono abituata a vivere quelle sensazioni e mai avrei pensato ad una situazione come quella di marzo. È come se ti portassero via ciò che provi. Come puoi fare? Adesso disputerò il Giro delle Marche e poi aspetterò ottobre per altre gare. L’attesa in questo periodo è snervante. Vorrei questo tempo passasse velocemente per essere già lì. Per buttarmi in una nuova corsa con la certezza che nulla potrà impedirmelo. È bello buttarsi a capofitto nelle cose che ci fanno stare bene. Per carattere lo ho sempre fatto, so che ci sono persone più riflessive o meditative. A me piacerebbe provassero anche loro a fare così. Credo potrebbero essere felici».
Foto: comunicato stampa Vo2 Team Pink
Enigmi e tartufi, Tour e dintorni
La partenza del Tour sembra essere l'unica certezza, perché a oggi non c'è più grande enigma del suo arrivo. Come si giungerà tra una ventina di giorni a Parigi? Il protocollo Covid è una pezza difficile da tenere cucita, due positivi in una squadra - ogni team sarà composto da massimo 30 persone, staff compreso - e si va a casa. Per evitare succeda come in Bora-Hansgrohe e in Astana - casi positivi, “diventati” negativi nel giro di poche ore - si potranno effettuare ulteriori test che stabiliscano la reale positività ed eventuale contagiosità, insomma un bel caos da gestire.
Tanta confusione sotto il cielo che maledice una corsa che, con queste avvisaglie, potrebbe saltare in aria, e chissà, non concludersi nemmeno nella peggiore delle ipotesi. Un paio di giorni fa quattro membri dello staff di un team (Lotto Soudal) sono risultati positivi al tampone, rimandati a casa e poi sostituiti, vedremo al Tour come gestire una corsa a eliminazione degna di un reality futuristico.
Ma in una stagione così proviamo a parlare di corsa e dintorni, almeno un po', e magari a non prenderci troppo sul serio: si parte da Nizza, quella mondana e francese, seppur al confine e dunque molto italiana, ma comunque non quella di Eco e Pavese così zeppa di tartufo. Semmai, per chi se lo potesse permettere: ostriche e champagne, anche se oggi quelle le puoi trovare pure se vivi a Pizzo Calabro – se siete da quelle parti in quel caso vi consiglieremmo il tartufo gelato. Provare per credere. Tuttavia, ci sarà ben poco modo di gustarsi il contorno: sarà una corsa blindata come un fumetto di fantascienza.
Sarà, come si legge un po' ovunque: “Tutti contro Bernal”? Oppure un tutti contro Roglič? Chi lo sa, la vigilia non è mai stata così tormentata anche per loro, agonisticamente parlando. Bernal ha mal di schiena, ma quando si sale ha un motore mica male e oltretutto deve difendere il titolo, cosa che di solito al Tour riesce pure abbastanza bene se hai del talento. Roglič cadeva quindici giorni fa e racconta di essere pronto ma di non sentirsi tanto bene (pretattica), e allora occhio agli altri che schiereranno Ineos-Grenadiers (sic!) - per i quali speriamo di non leggere metafore di guerra, non se ne sente il bisogno - e Jumbo-Visma: fossi un direttore sportivo, un corridore, un suiveur, uno scommettitore, un appassionato, un lettore di Alvento, un blogger, un giornalista, mi preoccuperei pure di Bennett e Sivakov, Carapaz, Kuss e Dumoulin. Vanno forte, e sanno più o meno come si vince o come si potrebbe. Lo spilungone olandese oltretutto è dato in crescita, forse potrebbe essere l'uomo della terza settimana. Lui, più verticale di una parete alpina.
Poi certo, in tutto questo ben di dio si potrebbero scegliere Quintana o Pogačar che mi fanno venire in mente il vecchio e il bambino, ma giusto perché Quintana con quella faccia vecchio lo è sempre stato, bambino chissà. Il Quintana di inizio stagione lo avrei dato favorito almeno per il podio, questo lo vedo "comme ci comme ça" come dicono loro, i francesi, loro mai così poco convincenti da quando hanno trovato una generazione nuovamente vincente.
Pinot e la sua idiosincrasia con la vittoria che fa quasi tenerezza come quel pedalare con le ginocchia che sembrano colpirlo in faccia; Bardet sempre più incerto ed enigmatico, nonostante ami tenersi informato costantemente leggendo di politica e sociologia – e questo in un certo senso ce lo fa stare più simpatico. Doveva fare il Giro, è stato dirottato al Tour e magari questo cambiamento gli farà bene. Alaphilippe lo scorso anno fiammeggiava e volteggiava, non riusciva a stare mai fermo con quelle gambette da grillo e un orribile pizzetto che lo faceva sembrare un Peter Sagan con la febbre. Quest'anno chissà, pure lui non sembra al meglio, ma corre nella squadra più vincente che ci sia e un colpo lo darà – magari già al secondo giorno.
Poi la sfilza di nomi proseguirebbe: non citiamo Porte, per decoro, ma magari il simpatico quanto caratteristico Mollema sì. Quando pedala è curvo e dinoccolato come un galgo, vince poco ma bene, ma anche quando non vince si fa sempre vedere. Il landismo di Landa ci ha un po' stufato perché è un'attesa eterna (o forse ci piace per questo?), però per un quinto, sesto, settimo posto o giù di lì c'è pure lui. Così come ci sono tedeschi con clavicole rotte e braccia scorticate che non si sa come abbiano recuperato. E poi? Altri colombiani tutti da spuntare con la penna rossa: Urán, Martínez, Higuita, López, nomi meravigliosi che sembrano quasi di fantasia, corridori di spessore ma dalla cifra a volte misteriosa.
Percorso? In brevissimo: tanta salita, tante tappe miste, poco tic-tac. I francesi fanno sempre come pare a loro e dopo averci annoiato per anni con volate e lunghe crono, oggi decidono che ne possa bastare una messa il penultimo giorno. Potrebbe essere una mossa contro lo spettacolo non mettere una cronometro a metà o inizio corsa e che favorisca in qualche modo gli specialisti, con il rischio di annacquare la corsa e tenerla ancora più sonnolenta di quella che ci si potrebbe prospettare. Uno scalatore in ritardo a causa delle prove contro il tempo è invogliato ad attaccare, così invece si aspetterà sempre la prossima salita, in un loop infinito, e verso l'esasperazione del landismo. E vediamo, poi, cosa succederà con gli interminabili treni formati dai vagoncini Jumbo-Ineos che potrebbero, così come sono, tranquillamente attraversare l'Europa e arrivare in Asia e tenere la corsa cucita come un abito da sera.
Infine due parole sulla pattuglia italiana, pochi ma buoni: sono sedici. Nizzolo sogna un filotto campionato italiano-europeo-maglia gialla il primo giorno; da Viviani ci si aspetta sempre un bel colpo, Trentin, Bettiol e De Marchi possono farsi vedere tutti i giorni con il loro animo da incendiari. Occhio a Formolo, corridore diventato spettacolare anche in bicicletta, mentre su Aru non ci accaniamo. Buon Tour a tutti.
Foto: ASO/ Thomas Maheux e ASO/ Pauline Ballet