Un lampo, una rosa, un saluto al Giro

Ciao Giro, come sei arrivato, purtroppo, te ne vai. Un privilegio raccontarti: con il tuo epos, i tuoi colori, le tue imprese e i colpi di scena che anche oggi non sono mancati, tra la caduta di Cavagna, la foratura di Ganna, l'incidente sfiorato da Sobrero.

Ti rendi conto di quanto il tempo passa in fretta? Tre settimane sono volate via e ci hai fatto soffrire ed emozionare. Gioire, inveire, arrabbiare persino.

Sadico e benevolo, ti abbiamo maledetto per quelle tappe noiose, ci hai fatto spaventare quando abbiamo visto De Marchi a terra, o Mohorič volare in aria. Ci hai fatto tifare per Taco e per Nizzolo. Ci hai fatto spingere per i fuggitivi e storcere il naso per quelle (troppe) fughe arrivate al traguardo.

Ci hai fatto aguzzare l'occhio per cercare i nostri beniamini in gruppo, ci hai fatto contare il tempo che passava in salita tra un corridore e l'altro, come quando da bambini si calcolavano i secondi tra il lampo e il tuono, durante un temporale.

Ci hai fatto viaggiare con la fantasia facendoci conoscere luoghi da piazzare sulla mappa, salite nuove o leggendarie, discese, sterrati e tornanti. Ci hai fatto chiacchierare sulla forma dei corridori e disquisire sulle tattiche di squadra. Abbiamo avuto freddo e caldo, ci hai fatto imprecare il giorno del Giau; abbiamo conosciuto storie e alcune abbiamo provato a raccontarle.

Hai condotto 184 passeggeri e alla fine ne sono rimasti 143. Ti sei fatto portavoce della voglia di evasione di Marengo e Tagliani, Pellaud e Zoccarato, De Bondt, Rivi e tanti altri.

Ci hai donato luminose maglie rosa, che raccontano, ognuna di loro, una storia degna di essere tramandata: quella ambiziosa di Ganna, quella fugace di Valter, quella significativa di De Marchi, premio alla carriera, quella duratura di Bernal, consacrazione.

Ci hai fatto applaudire la gioventù di Covi, Schmid, Affini, Oldani, Lafay, Mäder, Sobrero e Fortunato, hai fatto riemergere Consonni, Battistella, Ulissi e Albanese, hai mostrato i muscoli di Bettiol, la lucida follia di Vendrame, ti abbiamo visto passare così velocemente sulla strada che abbiamo maledetto come sempre il tempo che passa.

Sei stato appuntamento fisso: per le vie e dentro i borghi, in tv e al telefono, al confine, in riva al mare o in cima alla montagna.

Ci hai fatto sbadigliare e innamorare, ci hai riempito gli occhi. Ci hai stregato e ogni tanto ci hai fatto prendere la mano, e se abbiamo esagerato ti chiediamo scusa per averti raccontato con qualche eccesso di retorica e un pathos incontrollabile sfociato in esaltazione dei buoni sentimenti.

Ci hai strappato sorrisi e mostrato talento, quello di Bernal, oggi vincitore finale, quello di Ganna, oggi vincitore di tappa e ogni giorno di fianco al suo capitano a scherzare per alleggerire il carico, a farsi serio per trascinare il gruppo per chilometri.

Ci hai mostrato cadute, risalite, rinascite. Ci hai dato l'ebrezza di Caruso e la grinta di Almeida. Hai cosparso tutto di neve e avvolto di nebbia. Ci hai mostrato coraggio e fantasia, abnegazione e sofferenza, sagacia e umiltà.

Sei stato, come spesso accade, un magnifico compendio strapaesano, metafora di viaggio all'italiana e di vita. Sei stato semplicemente Giro: il miglior compagno d'avventura possibile. Arrivederci all'anno prossimo, Giro, amore, nonostante tutto, infinito.

Foto: Luigi Sestili


Il valore di Damiano Caruso

Ieri era tutto nelle gambe di Damiano Caruso. Per esempio, c'era la storia del padre che, senza lavoro, nell'estate del 1984 fece parte della scorta del giudice Giovanni Falcone, guardia del corpo negli anni di piombo, a soli diciannove anni, per un milione e duecentomila lire, i nostri seicento euro. In una Sicilia dura, aspra, rigida. Ma gli uomini passano, diceva Falcone, restano le loro idee che continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini. Così il problema non erano i seicento euro al mese, ma la volontà di dare un esempio al figlio, un esempio che gli facesse strada. Per questo ancora oggi il padre gliene parla con orgoglio, con fierezza.
E Damiano Caruso ha capito ed ha sempre voluto essere uomo prima che ciclista. «Quei valori ho cercato di portarli con me nel tempo, anche quando è stato più difficile. Per questo penso che questa vittoria sia per me, perché nessuno può capire cosa ho passato per essere qui, tutti i sacrifici che ho dovuto fare. Perché certe cose le ho provate io, le so solo io». Caruso che ha spiegato quel gesto, quella pacca sulla spalla a Pello Bilbao, meglio di chiunque altro. Perché quella pacca sulla spalla parla di ciò che ha vissuto. Del coraggio che un uomo si sente di fare ad un altro uomo, come lui, anche se ieri sembravano così diversi Damiano e Pello.
«Gli ho dato quella pacca perché so cosa si prova a fare ciò che ha fatto Pello. Lo so perché l'ho sempre fatto io, perché magari ho vinto da campione ma non mi sento un campione. Pello non è il vecchio Caruso, come qualcuno ha detto. Io e Pello siamo uguali ed io ho vinto perché c'era Pello».
Caruso che rifugge ogni forma di retorica: «Non c'è molto da dire. Ho semplicemente corso per vincere perché quando sei un professionista o sei al servizio della squadra oppure devi provare a vincere». Non senza dubbi, ma i dubbi sono tipici della scelta ed anche Caruso ne ha avuti: «Quando siamo rimasti davanti mi sono chiesto se fosse la cosa giusta da fare, poi mi sono risposto che non mi interessava, che avrei continuato a prescindere da tutto. Fosse andata male, sarei stato il Damiano Caruso di sempre».
E agli uomini non fa male il dovere, mai. «Ai ciclisti fa male la pressione, agli uomini fa male la pressione. Poche cose pesano di più. In queste tre settimane ho dovuto imparare a gestirla e così farò anche domani. Non dovrò pensare di essere al Giro, dovrò solo pensare a dare tutto quello che mi è restato. Non avrebbe senso nulla di diverso». Lui, quello che sta accadendo adesso, ha iniziato a pensarlo dopo la tappa di Montalcino quando qualcuno gli ha detto: «Perché pensare solo ad una tappa e non alla classifica? Io credo tu possa centrare entrambe». Così è tornato in sella da capitano, schivando le illusioni, ma essendo certo del fatto che, anche con i piedi per terra, si possa credere in qualcosa di grande e provare a realizzarlo.
Damiano Caruso è padre e ha detto che questa storia vorrebbe raccontarla al figlio. Noi raccontiamo questa storia per Damiano e per tutti coloro che nella vita sono un poco come Caruso. Sono uomini di fatica e di sudore che non hanno la stessa risonanza di un ciclista che centra il podio al Giro, ma che sanno le stesse cose e in quel mese in cui ottengono un piccolo successo sul lavoro, tornando a casa, lo raccontano ai propri figli. Fieri di tutta la fatica che hanno fatto, dritti per la propria strada