Auguri, Sceriffo

La strada che sale a Maso Warth è ripida e tortuosa. Si arrampica tra le vigne, curate meticolosamente.
Siamo arrivati davanti alla cantina Moser alle 19, ormai era sera. Dalla mattina presto eravamo in giro attorno a Trento per scattare foto per un servizio sui Campionati Europei di ciclismo che si svolgeranno proprio nel capoluogo trentino a metà settembre. Non è che ci presentassimo benissimo, sudati, malconci, vestiti metà da bici e metà no. Fermate le auto davanti alla tenuta, non c’era nessuno, a parte un uomo, con due cani, che armeggiava in un garage con delle cassette di legno. Decido di scendere per chiedere informazioni. Quando quel signore alza la testa, mi pianta gli occhi in faccia e lo riconosco al volo: lo Sceriffo.

Immaginate di trovarvi in casa di Moser, davanti a Moser a chiedere informazioni su dove andare a parcheggiare l’auto.
«Ehm… Buonasera signor Moser, avevamo un appuntamento con Carlo. È un piacere, è un onore…».
Quelle cose lì che si dicono goffamente quando si è in imbarazzo e ci si ritrova davanti un’icona dello sport. Lui, dopo avermi squadrato e probabilmente dopo aver ricordato che avrebbero dovuto arrivare dei giornalisti e dei fotografi della rivista Alvento, invece non era in alcun imbarazzo. I due cani Lindsey (da Lindsey Vonn) e Tom (da Tom Boonen) - ho colto quando diceva questa cosa, ma non ho afferrato il perché si chiamassero così - hanno iniziato a saltarmi addosso per farmi le feste e per prima cosa si è premurato di ribaltare Lindesy pancia all’insù e mostrarmi una lunga cicatrice, spiegandomi il decorso clinico di un intervento a cui l’anziana cagnolona era stata da poco sottoposta.

«Non sopportava quell’ostia di collare, com’è che si chiama…».
«Elisabetta?»
«Ma no, si chiama Lindsey. Dicevo il collare!»
«Eh, sì, collare Elisabetta, quello che mettono ai cani perché non si lecchino le ferite».
«Ma no, insomma quel collare là che si mette ai cani. Ma non lo sopportava povera bestia. Allora ho preso una maglietta da ciclismo. Era di una granfondo, forse la Charlie Gaul del Bondone, e gliel’ho messa su, così stava bella protetta e non si leccava. Ah, è guarita una meraviglia, altro che il collare».

Insomma, dall'imbarazzo di quell'incontro casuale, avevo rotto il ghiaccio con Francesco Moser.
A seguire ha poi accompagnato me e il resto della banda di Alvento a visitare la sala degustazioni della cantina, le viti, le piante di ciliegie, avrebbe sciabolato un 51.151, il suo metodo classico dedicato al record dell’ora, e soprattutto ci avrebbe incantati mostrandoci la sala dei trofei e snocciolando un aneddoto dopo l’altro.
Noi, naturalmente, tutti a bocca aperta.

In bacheca, il Checco vanta un Giro d’Italia, 3 Parigi-Roubaix, 3 Giri di Lombardia, una Freccia-Vallone, una Gand-Wevelgem, una Milano-Sanremo, un campionato del mondo su strada e uno su pista nell’inseguimento individuale.
273 vittorie su strada da professionista: primo ciclista italiano per numero di successi, terzo al mondo dopo Eddy Merckx e Rik Van Looy.
Con il suo record dell’ora, stabilito a Città del Messico nel 1984, cambiò per sempre il ciclismo, spingendolo verso il futuro e i giorni nostri.

Oggi Francesco Moser compie settant’anni.
Tanti auguri allo Sceriffo del ciclismo italiano, uno dei più grandi campioni della storia di questo sport.

Foto: Jered Gruber


Il tempo del tricolore

Un signore, seduto su una panchina accanto alla stazione di Faenza, canta ad alta voce “A mano a mano” di Rino Gaetano. La cappa di umidità avvolge la città già di primo mattino e lascia alcuni passanti in canottiera. Se non fosse per pochi dettagli, Faenza, questo venerdì, potrebbe davvero essere un nuovo assaggio degli anni settanta, forse ottanta. Ci sono anche i bar che tornano a riempirsi, qualche sigaretta accesa nel portacenere e una partita a carte in sospeso sotto un portico. Il tempo non sembra essere mai passato, invece ci sono circa quarant'anni a dividere ciò che sembra da ciò che è. La causa è il ciclismo che col tempo sembra giocare a rimpiattino per poi salvare nei ricordi poche cose, quasi sospese fuori dal tempo, pur in una giornata, la cronometro, in cui il tempo è tutto. In ogni minuto, in ogni secondo.

Le parole di Matteo Sobrero, nuovo campione italiano a cronometro, ad esempio, vanno oltre il tempo. Ieri mattina Matteo ha scherzato con Filippo Ganna, gli ha detto: «noi tutti corriamo per il secondo posto con te in gara, ma va bene così». Ieri sera, dopo aver vinto, ha ribadito il concetto. «Filippo è davvero un campione del mondo contro il tempo. Non so se mi spiego». Certo che Matteo si spiega, perché un conto è la maglia che indossi, un altro quello che gli altri ti riconoscono. Per lui Ganna è campione del mondo a prescindere da quella maglia e dal quarto posto della cronometro. «Forse ho vinto io anche perché Filippo sta preparando altri traguardi» aggiunge alla fine, proprio mentre scherza. «Domenica vado al mare, inizio a essere anche stanco». Ed è bello così, perché questo ragazzo di soli ventiquattro anni sembra quasi di altri tempi.

È senza tempo il gesto di Sofia Bertizzolo che, appena arrivata al traguardo, va in mezzo al pubblico e cerca con lo sguardo Soraya Paladin dall'altra parte della strada, sotto il tendone delle premiazioni. Sa che la compagna è giunta seconda e il primo pensiero è quello di farle sentire la sua presenza. Sofia esulta, alza le mani tra folla. Si ferma a parlare con un'anziana signora che vuole filmarla qualche secondo con il telefono. Sembra dirle «è come se avessi vinto io, se la meritava». Così la signora sorride, abbassa il telefono, quasi compiaciuta, e finge di batterle il cinque.

Sofia, qualche tempo fa, mi ha confessato che forse il ciclismo è raccontato con troppa enfasi, forse anche con troppa poesia: in fondo, dice lei, per chi lo pratica è un lavoro, con gli onori e gli oneri di tutti i lavori. Non le piace romanzare, ama la concretezza dei gesti. Così le cose le fa, non le dice.
Fuori dal tempo, poi, c'è Elisa Longo Borghini, campionessa italiana èlite a cronometro, che ha percorso gli ultimi chilometri senza contatto radio, non avendo più la percezione esatta del vantaggio sulle rivali. Fidandosi delle sensazioni e di ciò che aveva visto e sentito quando aveva provato il tracciato. C'è Elisa che l'altra sera ha ricevuto un messaggio che le ricordava come, in fondo, la cronometro sarebbe stata una formalità e ha subito pensato che non era d'accordo, perché lei lo scontato proprio non lo conosce, per rispetto delle avversarie e «perché in strada può succedere di tutto».

In un tempo sospeso, che resta nonostante tutto, è Francesca Barale che ieri ha corso più veloce perché non stava pensando a ciò che gli altri si aspettavano da lei. Perché nelle ultime prove non si era sentita all'altezza e questo le aveva restituito la possibilità di provare senza troppe aspettative.
Resta nel tempo anche quella bambina che non ha voluto essere presa in braccio dal padre e, per vedere la gara, si è messa in punta di piedi vicino alle transenne, a costo di stancarsi il doppio. Perché al tempo sopravvivono poche cose. Di certo, però, resistono quelle fatte sinceramente e quelle costruite con le proprie forze.

Foto: BettiniPhoto