Gli otto trasferimenti del 2025 di cui è necessario parlare
A CURA DI CARLO GIUSTOZZI
Dopo aver parlato dei trasferimenti più importanti del ciclismo maschile nella newsletter della scorsa settimana, oggi parliamo di quelli nel campo femminile. I nomi che citerò sono meno, ma sono anche migliori per valore assoluto.
Nel 2025 vivremo un World Tour profondamente diverso, in cui ci dovremo abituare a vedere due delle migliori cicliste al mondo (stiamo parlando di Demi Vollering ed Elisa Longo Borghini) con una maglia diversa. Potrà essere l’anno dell’affermazione di qualche nuovo talento, ma la Notizia (con la n maiuscola) è il ritorno dal ritiro di Anna van der Breggen!
Anna van der Breggen (SD Worx-Protime)
Iniziamo barando, perché non si tratta esattamente di un trasferimento di mercato, ma di un clamoroso rientro dal ritiro. Tre anni dopo aver lasciato il ciclismo pedalato per dedicarsi all’attività di direttrice sportiva della SD Worx, Anna van der Breggen nella scorsa estate ha annunciato il suo ritorno in gruppo. Vestirà sempre i colori della compagine olandese, che potrà contare su una delle migliori cicliste di tutti i tempi. Van der Breggen ha vinto quattro Giri d’Italia, la medaglia d’oro nella prova olimpica di Rio ed è stata per tre volte iridata (due volte in linea e una volta a cronometro). E questo è un elenco assolutamente parziale, visto che ha nel palmares più di 60 vittorie tra le professioniste.
Il punto interrogativo sarebbe lo stato di forma con cui potremmo ritrovare un' atleta professionista dopo tre anni di stop. Uso però il condizionale, perché per van der Breggen non sarebbe sorprendente ritrovarla subito tra le migliori al mondo. Secondo Lorena Wiebes, un’altra che non va certamente piano, van der Breggen continuava a essere sempre la migliore quando si allenava con le ex compagne.
La SD Worx, che può contare sulla due volte campionessa del mondo Lotte Kopecky ma ha perso Demi Vollering, avrà un talento di assoluto livello per tutte le corse più importanti dell’anno, dai grandi giri alle classiche di un giorno.
Demi Vollering (Team SD Worx ➡ FDJ - SUEZ)
L’addio di Demi Vollering alla SD Worx, in aria da tempo visto il contratto in scadenza, è stata la notizia più importante di questo inverno nel mondo del ciclismo. Vollering viene da un 2024 in cui, seppur vincendo tanto, non si può ritenere soddisfatta fino in fondo. Ha trionfato alla Vuelta Espana, nei Giri di Svizzera, Paesi Baschi e Burgos. Ma per la ciclista più forte del mondo sono arrivate anche parecchie delusioni. Nelle classiche di primavera è rimasta dietro alle dirette avversarie: Longo Borghini, Niewiadoma e soprattutto l’ormai ex compagna di squadra Lotte Kopecky.
Non è facile avere nella stessa squadra due talenti di quel calibro. La gestione delle gare diventa complicata, visto che gli obiettivi sono spesso gli stessi. Parlando a NRC, l’olandese ha detto che il loro rapporto era cambiato molto nell’ultimo anno, e che Kopecky l’ha evitata, e ha iniziato a pensare a quando non sarebbero state più compagne di squadra. L’atleta belga si è fatta sentire a sua volta, dicendo che l’olandese avrebbe dovuto mostrarsi più riconoscente verso la SD Worx.
SD Worx che Vollering ha lasciato per accasarsi alla FDJ - SUEZ. La compagine femminile della FDJ si prepara a un ruolo di assoluta protagonista nel World Tour. Oltre a Vollering, sono arrivate anche le firme di Juliette Labous ed Elise Chabbey. E la squadra sta stringendo anche contratti di sponsorizzazione importanti. Il più significativo è quello con la Nike, che fa il suo ritorno nel ciclismo professionistico dopo 15 anni.
Pauline Ferrand-Prévot (Ineos Grenadiers ➡ Visma-Lease a Bike)
Nella sua carriera lunga già un quindicennio, Pauline Ferrand-Prévot è stata una delle migliori cicliste del mondo in tutte le specialità in cui si è cimentata. Ha vinto i campionati mondiali di ciclocross e di gravel, oltre a quello su strada nel 2014, ma i risultati migliori li ha raccolti nel mountain bike. Negli scorsi anni PFP si è concentrata soprattutto sul cross country, togliendosi la grande soddisfazione di vincere la medaglia d’oro nelle Olimpiadi di casa.
Arrivata a 33 anni, Ferrand-Prévot ha scelto di tornare alla strada, dove le soddisfazioni più grandi se le è tolte da giovanissima, più di dieci anni fa. E per farlo ha cambiato squadra, e ha firmato un contratto triennale con la Visma-Lease a Bike.
Come ha raccontato lei stessa negli ultimi giorni, il grande obiettivo dei prossimi tre anni sarà il Tour de France, in cui vuole riuscire a vincere per coronare una carriera straordinaria.
Non mancheranno ovviamente le classiche, a partire dalla Strade Bianche del prossimo marzo. Gli obiettivi di Ferrand-Prévot sono altissimi, ma se c’è una che è riuscita a raggiungere tutto ciò che aveva in mente, quella è proprio lei.
Elisa Longo Borghini (Lidl-Trek ➡ UAE Team ADQ)
Delle tre migliori atlete del 2024 secondo i ranking World Tour, due hanno scelto un cambio drastico per la stagione ai nastri di partenza. Oltre a Demi Vollering, anche Elisa Longo Borghini vivrà nel 2025 un nuovo inizio in UAE Team ADQ. La squadra degli Emirati vuole diventare una delle migliori anche nel ciclismo femminile, e trova nella campionessa di Ornavasso un capitano di assoluto spessore.
Il 2024 è stato l’anno migliore nella carriera di Longo Borghini, che ha vinto, tra le altre cose, il Giro delle Fiandre, la Freccia del Brabante e, soprattutto, la maglia rosa al Giro d’Italia. Ha dimostrato che si può continuare a migliorare anche dopo i 30 anni, e anche per questa stagione si è posta gli obiettivi massimi.
Secondo quanto riportato da Ciro Scognamiglio, Longo Borghini ha in programma la partecipazione a Giro e Tour. Inizierà la stagione nell’UAE Tour, la corsa di casa della nuova squadra, per poi difendere il Trofeo senza fine vinto l’anno scorso. Non ci sarà invece alla Parigi-Roubaix, che ha vinto nel 2022.
Cat Ferguson (Shibden Apex RT ➡ Movistar)
La giovanissima ciclista britannica si è unita alla Movistar nello scorso agosto, ma ci perdonerete se la mettiamo comunque in questa lista. L’hype che circonda Cat Ferguson è troppo grande, e nel 2025 ci si aspetta un ulteriore salto di qualità.
Nell’anno appena trascorso Ferguson ha dominato a livello juniores, dove nessuna è riuscita a competere con lei. Ne sono un chiaro esempio gli ultimi Mondiali, in cui ha vinto la prova in linea e quella a cronometro dedicate alla categoria. Ma ha figurato benissimo anche quando si è trovata a correre contro le professioniste. È arrivata seconda al La Choralis Fourmies, la sua gara d’esordio nel circuito Europe Tour, e ha vinto la Binche Chimay Binche.
Nel 2025 farà il suo esordio nel World Tour. Passerà del tempo prima che riesca ad affermarsi anche nelle gare più importanti del mondo, ma secondo molti il destino è proprio quello di diventare un talento generazionale.
Cecilie Uttrup Ludwig (FDJ-Suez ➡ CANYON//SRAM)
La 29enne danese viene da un anno particolarmente negativo, in cui, tra cadute e problemi di salute, non è mai riuscita a esprimersi al livello a cui ci aveva abituato. Dopo la vittoria di tappa al Santos Tour Down Under, Ludwig non ha raccolto altri successi, e il miglior piazzamento è stato un terzo posto in una tappa del Giro.
Con la FDJ che ha piazzato il colpo Vollering, Ludwig ha scelto di lasciare la squadra francese per cui ha raccolto tanti ottimi risultati nelle ultime cinque stagioni, e si unirà alla Canyon-Sram. Il progetto della squadra tedesca è entusiasmante, e Ludwig potrà ritagliarsi il proprio spazio a fianco di Kasia Niewiadoma, fresca vincitrice dell’ultimo Tour de France.
Marion Bunel (St Michel-Mavic- Auber93 ➡ Visma-Lease a Bike)
Nel 2023, gli organizzatori del Tour de l’Avenir hanno deciso di lanciare anche la versione femminile della corsa a tappe dedicata ai migliori talenti under 23, e che ha consacrato tanti campioni nel corso degli anni.
La protagonista della seconda edizione della corsa è stata la normanna Marion Bunel, classe 2004, che ha vinto due tappe, la classifica generale e quella di miglior giovane. Il successo più impressionante è stato quello arrivato nella frazione conclusiva, in cui ha trionfato sul Colle delle Finestre dando più due minuti alla rivale Isabella Holmgren.
Marion Bunel può essere la next big thing del ciclismo francese, e nel 2025 farà il grande salto nel World Tour con la maglia della Visma-Lease a Bike. Visma che, con le scelte di Bunel e PFP, ha scelto di affidarsi al ciclismo d’oltralpe per brillare.
Chiara Consonni (UAE Team ADQ ➡ CANYON//SRAM)
A casa Consonni sono state delle Olimpiadi uniche, con Simone in grado di accaparrarsi un argento e un bronzo, mentre Chiara ha fatto anche di meglio, vincendo l’oro nell’americana a fianco di Vittoria Guazzini.
Chiara Consonni è nel giro della nazionale italiana su pista da quando aveva 16 anni, ed è proprio in questa disciplina che si è saputa togliere le soddisfazioni più importanti. Ma è un grandissimo talento anche su strada, come ha fatto vedere allo scorso Giro d’Italia. Ha vinto la seconda frazione, dove è stata in grado di battere in volata due fenomeni come Lotte Kopecky ed Elisa Balsamo.
Consonni dà il suo meglio proprio negli sprint e nelle classiche del nord, una tipologia di corse che si sposa ottimamente con le sue caratteristiche e in cui ha già avuto modo di brillare. Alla Canyon-Sram trova un ottimo ambiente in cui crescere, per puntare proprio ai successi nella campagna di primavera. Il suo obiettivo è la Parigi-Roubaix: un obiettivo difficile ma alla portata, per una campionessa olimpica che deve ancora compiere 26 anni.
I quindici trasferimenti del 2025 di cui è necessario parlare
A CURA DI CARLO GIUSTOZZI
Gennaio è un mese frenetico per noi appassionati di ciclismo. I campioni di ciclocross si sfidano affrontando non solo i propri avversari, ma anche percorsi sfacciatamente avversi e condizioni meteo a volte disastrose. Sui social circolano le foto delle nuove divise, indossate spesso dai nuovi volti delle squadre. In questo articolo proviamo a vedere, tra i tanti movimenti che ci sono stati, alcuni dei trasferimenti più interessanti e indicativi per la prossima stagione su strada.
Prima di iniziare, tre note:
- nel titolo ho parlato di quindici trasferimenti, ma i nomi citati saranno di più;
- oggi trattiamo solo di ciclismo al maschile, i trasferimenti del femminile arriveranno la prossima settimana;
ho cercato di evitare la parola ciclomercato, che non è tra le mie preferite nel vocabolario ciclistico.
Tibor Del Grosso (Alpecin-Deceuninck Dev. Team ➡ Alpecin-Deceuninck)
Se a inizio gennaio vi trovate a leggere un articolo sui trasferimenti più importanti dell’inverno ciclistico, è probabile che conosciate già Tibor Del Grosso. Per chi non sapesse di chi stiamo parlando: Del Grosso è un olandese classe 2003 dal fisico longilineo (supera il metro e novanta), specialista soprattutto nel ciclocross, dove è il campione del mondo under 23 in carica. Questo inverno sta dominando la stagione di categoria e ha fatto anche diverse buone prestazioni tra gli élite, posizionandosi sempre tra i primi.
La Alpecin-Deceuninck è la squadra giusta per sviluppare i migliori talenti multidisciplinari e dopo un anno nella squadra Under 23, nel 2025 lancerà Del Grosso tra i professionisti. Non sappiamo bene quali possano essere le sue potenzialità su strada, a livello di caratteristiche soprattutto, ma può diventare un ottimo cacciatore di tappe. Lo scorso anno ha disputato una buona Course de la Paix U23 con due piazzamenti sul podio ed è sembrato a suo agio nelle gare ProSeries a cui ha preso parte. I punti di domanda sono parecchi, ma sarà interessante seguirne l'evoluzione.
Giulio Pellizzari (VF Bardiani CSF-Faizanè ➡ Red Bull-BORA-hansgrohe)
Il mercato della Red Bull di questo inverno sembra ricordare le recenti sessioni di calciomercato del Chelsea: acquisti compulsivi di ottimi talenti, con la certezza che almeno alcuni di loro sapranno confermarsi tra i migliori al mondo. L’aumento di budget iniettato dal gigante austriaco ha portato a nove nuovi arrivi e sono tutti nomi interessanti.
Ci sono Finn Fisher-Black e Oier Lazkano: il primo avrà più spazio dopo l’inizio carriera in UAE, il secondo è pronto a un ulteriore salto di qualità dopo un ottimo 2024. Ci sono gli esperti Moscon e Tratnik, presi per le classiche del nord. Ci sono i gemelli Tim e Mick van Dijke, dotati di un buono spunto. Hanno preso Laurence Pithie, fortissimo neozelandese in uscita dalla Groupama. Corridore completo, ha un spunto veloce, ma corre bene anche sul pavé e nei percorsi mossi. Ed è arrivata anche la firma di Maxim Van Gils, tra i protagonisti delle classiche collinari, arrivato dopo il litigio con la Lotto.
In ottica italiana, pensando al futuro oltre che al presente, la presa più importante è quella di Giulio Pellizzari. Dopo l’ottimo Giro con cui si è fatto conoscere in maglia Bardiani, Pellizzari passerà nel World Tour con la Red Bull-BORA. Sul Monte Pana è stato battuto solo dal cannibale Pogačar, ma la stella dello scalatore camerte sembra aver appena iniziato ad emettere luce. Nel 2025 non ci aspettiamo che corra da capitano - è in una squadra affollata di talento -, ma che continui a migliorare e raccogliere esperienza per il futuro.
Lenny Martinez (Groupama-FDJ ➡ Bahrain Victorious)
Per i francesi, che non vincono la Grande Boucle dal 1985, la quête del successore di Hinault sembra un’impresa irrealizzabile. Negli anni, tutti quelli chiamati dal popolo a rompere il digiuno non sono riusciti a sopportare la pressione. Con Thibaut Pinot ritirato da un anno e Bardet che appenderà gli scarpini al chiodo nel prossimo giugno, il più grande talento francese per le corse a tappe è Lenny Martinez.
Figlio d’arte - il papà Miguel è stato campione olimpico di cross country, mentre il nonno Mariano ha vinto due tappe e una classifica scalatori al Tour -, Lenny ci ha messo davvero poco a far vedere il suo talento. Ha solo 21 anni, ma ha già sei vittorie tra i professionisti ed è tra i migliori del gruppo, quando la strada sale.
La gestione del suo 2024 da parte della Groupama ha lasciato tanti dubbi. Doveva correre la Vuelta, ma all’ultimo è stato chiamato a esordire al Tour, dove, fuori forma, è passato senza lasciare traccia. E a fine anno ha deciso di lasciare la compagnia di Marc Madiot, unendosi alla Bahrain con un ricco contratto triennale.
Questo inverno ha detto a Le Monde che l’obiettivo della sua carriera è “vincere il Tour”, anche se è consapevole della concorrenza. Certo è che se ci dovesse riuscire, sarebbe un grande rimpianto per la Groupama-FDJ.
Diego Ulissi (UAE Team Emirates ➡ Astana)
In Astana si percepisce una certa tensione per questo 2025. Questo è l’ultimo anno del triennio in cui si assegnano le licenze per il World Tour e al momento l’Astana è lontana dal rimanere nel livello più alto del professionismo. C’è bisogno di fare tanti punti, anche e soprattutto nelle gare di secondo piano e la XDS Astana si è mossa sul mercato. Ha pescato tanti corridori in grado di fare buoni piazzamenti, a partire dal campione italiano Bettiol, arrivato già nello scorso agosto.
I volti nuovi in Astana sono ben 14 e sarebbe inutile citarli tutti. I più interessanti sono Clément Champoussin, Sergio Higuita, Fausto Masnada e Wout Poels, tutti nomi da mandare in fuga nei grandi giri e da far correre da capitani nelle brevi corse a tappe. In ottica futuro, sono interessanti le firme dei 21enni Florian Kajamini e Alessandro Romele.
Il ciclista più interessante da seguire a nostro avviso sarà però Diego Ulissi, che ha lasciato la UAE in cui ha sempre corso fin dagli inizi, quando è passato al professionismo con la Lampre. A 34 anni, Ulissi è ancora in grado di vincere sui traguardi mossi e gli arrivi in pendenza. È dal 2010 che vince almeno una corsa all’anno ed è anche per questa garanzia di successo che l’Astana lo ha voluto fortemente come capitano per un 2025 di lotta e di governo.
Gli Under 22 della Decathlon AG2R
Dopo l’addio di Ben O’Connor, passato alla Jayco-AlUla, la Decathlon AG2R ha deciso di ripartire dai più giovani. Per la squadra savoiarda sarà difficile riconfermarsi dopo un 2024 di altissimo livello, in cui sono arrivate 30 vittorie, il miglior risultato nella storia della squadra. Il leader per le corse a tappe sarà l’austriaco Felix Gall, ma sono particolarmente interessanti i volti nuovi della squadra.
Il nome più noto è Johannes Staune-Mittet. Norvegese di 22 anni, Staune-Mittet ha vinto il Giro Next Gen nel 2023, ma non è riuscito a trovare spazio nella Visma già piena di talenti. Deve ancora migliorare a cronometro, ma è molto giovane e a Chambéry sanno sviluppare gli scalatori. Per le volate ci sarà Rasmus Søjberg Pedersen, 22enne danese che ha battuto Kasper Asgreen negli ultimi campionati nazionali.
Tra i giovani francesi, passano professionisti il 2005 Léo Bisiaux e il 2006 Paul Seixas, cresciuti nel sistema giovanile della Decathlon. Bisiaux è un ottimo scalatore ed è arrivato quarto nella classifica generale dello scorso Tour de l’Avenir. Paul Seixas nel 2024 ha vinto tra gli juniores i mondiali e i campionati francesi a cronometro, la Liegi-Bastogne-Liegi di categoria e il Giro della Lunigiana. Sono ancora giovanissimi e ci sarà bisogno di tempo prima che riescano a brillare tra i professionisti. Ma sono nomi da segnare per il futuro, soprattutto quello di Seixas.
Vincenzo Albanese (Arkea-B&B ➡ EF Education-EasyPost)
Dopo l’addio di Alberto Bettiol a metà dello scorso agosto, in EF arriva un altro italiano in grado di lottare per le corse di un giorno. Vincenzo Albanese è un ottimo puncheur, dotato di un buono spunto e in grado di lottare sui percorsi mossi. Dà il suo meglio nelle classiche italiane autunnali, dove anche nel 2024 ha raggiunto diverse top 10, senza però mai riuscire ad alzare le mani al cielo.
Nel primo anno in World Tour si è ambientato subito bene e in EF avrà carta bianca nelle gare ProSeries “di secondo livello”. Ha solo due vittorie tra i professionisti, ma è appena entrato nel suo prime e ha tempo per levarsi soddisfazioni.
Victor Langellotti ( Burgos-BH ➡ INEOS Grenadiers)
Per quale motivo la INEOS, fino a qualche anno fa al centro dell’ecosistema ciclistico, sta vivendo un’involuzione da cui non sembra trovare la via d’uscita? Il problema più grande è quello identitario: la INEOS non è più la squadra dominatrice delle corse a tappe, ma ancora non riesce a esprimersi nelle classiche e nelle gare di un giorno. Raccoglie ancora alcuni ottimi risultati, soprattutto grazie a Ganna e Carlos Rodriguez, ma è lontana dai vertici del World Tour a cui vorrebbe aspirare.
In questo inverno hanno perso due dei corridori migliori presenti in rosa: Narvaez, l’ecuadoriano atipico che dà il meglio nelle corse del nord e l’inglese Tom Pidcock. Pidcock non sarà mai al livello dei Van Aert o Van der Poel, ma le sue vittorie in carriera sono di assoluto spessore, ed è un gallo che sa cantare nei giorni più importanti.
Al loro posto, la dirigenza INEOS ha deciso di far firmare Jungels (che ha alle spalle gli anni migliori), Axel Laurance e Sam Watson - due ottime prese -, Lucas Hamilton e Victor Langellotti. La scelta dello scalatore monegasco lascia più di qualche dubbio. Nel 2024, con la maglia della Burgos BH, ha colto dei buoni piazzamenti al Tour du Jura e alla Classic Grand Besançon Doubs. È sicuramente un ottimo professionista, ma non è quello che serve a una squadra con le ambizioni maggiori. O forse è un insegnamento per la nostra vita: bisogna saper lasciare andare i ricordi del passato e accettare che pure le cose belle, quelle che pensavamo perfette, finiscono.
Lennard Kämna (Red Bull-BORA-hansgrohe ➡ Lidl-Trek)
Abbiamo imparato a conoscere Lennard Kämna al Tour del 2019, nella 18esima tappa. Nella durissima Embrun-Valloire, 208 km con due salite HC, un giovane scalatore tedesco del Team Sunweb si inserisce nella maxi fuga di giornata, come sempre affollata di talento, e coglie il quarto posto precedendo nomi ben più noti. Il passaggio alla Bora ha permesso a Kämna di dare il suo meglio come cacciatore di tappe di alta montagna. Il tedesco di Wedel, la città dove morì il poeta Johann Rist (che scrisse Dio è morto!), ha vinto una tappa in tutti i grandi giri, aiutando pure i suoi capitani quando chiamato a compiti di gregariato.
Il 2024 doveva essere il suo anno, ma dopo l’ottavo posto alla Tirreno-Adriatico ha subito un gravissimo incidente a Tenerife, mentre si stava preparando per il Giro. L’ultima corsa risale allo scorso marzo, ed è fisiologico che Kämna ci metterà del tempo per tornare al suo livello. Ma alla Lidl-Trek sanno essere pazienti, e sono consci del talento che hanno tra le mani.
Pablo Castrillo (Equipo Kern Pharma ➡ Movistar)
Il giovane eroe della scorsa Vuelta, vincitore di due tappe con arrivo in solitaria e sempre in fuga, non poteva che scegliere la squadra spagnola per eccellenza per il suo esordio nel World Tour. A soli 24 anni, Castrillo può ancora migliorare dopo un anno in cui ha dimostrato di non temere la concorrenza di nomi più blasonati. Come accade per tanti scalatori del suo livello, sarebbe un bene che si continuasse a concentrare sui successi di tappa. Le classifiche generali lasciano più soddisfazioni, ma richiedono sacrifici e doti naturali di cui non tutti dispongono. Il suo più grande rimpianto potrebbe però essere quello di aver lasciato la Kern Pharma nell’anno in cui indossano le migliori divise del circuito professionistico.
Ben O’Connor ( Decathlon AG2R ➡ Team Jayco-AlUla)
Sono pochi i ciclisti del panorama mondiale che possono vantare un 2024 migliore di Ben O’Connor. In un anno monopolizzato dai fenomeni assoluti, O’Connor ha saputo ritagliarsi un ruolo da coprotagonista che vale un Oscar. Ha fatto quarto al Giro d’Italia, e poi ha corso in modo spregiudicato alla Vuelta. La sua fuga nella prima settimana gli ha fatto indossare la maglia rossa per 13 giorni, e solo il miglior Roglič ha potuto levare lui la soddisfazione più grande della carriera. Per non farsi mancare niente, è arrivato secondo ai Mondiali di Zurigo.
Abbiamo ormai capito che per le grandi corse a tappe dobbiamo considerare anche il suo nome. Nel 2025 correrà per la prima volta con la sua squadra di casa, la Jayco-AlUla, dove sarà il capitano assoluto nei grandi giri.
Niklas Behrens (Lidl-Trek Future Racing ➡ Visma-Lease a Bike) e Jørgen Nordhagen (Visma-Lease a Bike Dev. ➡ Visma-Lease a Bike)
Negli ultimi anni, la Visma-Lease a Bike si è tolta diverse soddisfazioni pescando corridori nel nord Europa. Con Vingegaard è andata estremamente bene, e dopo il tentativo fallito di Staune-Mittet (a cui sono mancati gli spazi per crescere in Visma) ci riprova con Jørgen Nordhagen. Dopo un anno nel team di sviluppo, il norvegese Nordhagen diventerà professionista nel 2025. A settembre ha dominato il Giro della Regione Friuli, dove ha vinto tutte le classifiche precedendo due talenti come Pellizzari e Pablo Torres. Che sia stato il primo capitolo di sfide a venire?
Insieme a Nordhagen, passa professionista anche Niklas Behrens, che proviene dal settore giovanile della Lidl-Trek. Il tedesco ha vinto gli ultimi Mondiali Under 23, e anche la gara di categoria dedicata ai migliori talenti di Germania, Lussemburgo, Svizzera e Austria (evidentemente non deve essere facile organizzare competizioni nazionali). Behrens ha una storia sportiva particolare: era un triatleta, e si dedica esclusivamente al ciclismo solo da pochi anni. Con la Visma ha un contratto triennale, e in Olanda riusciranno a sviluppare bene uno con le sue doti fisiche.
Pablo Torres (UAE Team Emirates Gen Z ➡ UAE Team Emirates)
Nel ciclismo di oggi, in cui tutto si evolve a una velocità mai vista prima, neanche la squadra migliore al mondo, e con il ciclista migliore del mondo, può permettersi di rimanere ferma. Per la UAE, il colpo più importante è stato non perdere i tanti talenti già presenti, e che potrebbero volere più spazio per correre in autonomia. La conferma di Juan Ayuso è stata preziosa e per certi versi inaspettata, da capire se e quanto peseranno gli addii di Hirschi, Ulissi e Fisher-Black.
Tra i volti nuovi, il corridore più interessante è lo spagnolo Pablo Torres, che passa professionista dopo gli anni nella squadra di sviluppo (che a nomi banali come Future o Development preferisce l’attributo Gen Z).
Torres è stato protagonista in tutte le corse a tappe dedicate agli under 23 e in cui partecipava da sotto età. Ha fatto secondo al Giro Next Gen e al Tour de l’Avenir, dove ha infiammato la corsa vincendo due tappe e la classifica di miglior giovane. Dà il suo meglio nelle salite lunghe e difficili, come ha dimostrato nell’ultima frazione del Tour de l’Avenir. Quel giorno ha dato quasi quattro minuti al secondo arrivato e ha fatto registrare il nuovo record assoluto di scalata del Colle delle Finestre, migliorando di parecchio il primato appartenente a José Rujano. A 19 anni abbiamo visto pochi scalatori con il suo motore e l’affiancamento dei migliori tecnici al mondo gli permetterà di migliorare ancora.
Tom Pidcock (INEOS Grenadiers ➡ Q36.5 Pro Cycling)
La notizia di una particolare disarmonia tra Pidcock e lo staff della INEOS era nell’aria da tempo, ma il suo addio ha comunque lasciato a bocca aperta. Solo due anni fa, sembrava certo che Pidcock fosse stato eletto a volto per il futuro della squadra britannica, che dopo il bruttissimo infortunio di Bernal era alla ricerca di un nuovo protagonista.
Scorrendo il palmares di Pidcock, vediamo come in questi anni siano arrivate poche vittorie, ma tutte di peso. La tappa del Tour con arrivo sull’Alpe d’Huez, la Strade Bianche e l'ultima Amstel Gold Race. Quanti corridori oggi sono in grado di raggiungere risultati simili?
Dopo il divorzio inaspettato, Pidcock ha firmato un contratto triennale con il Q36.5 Pro Cycling Team. Sulla scelta di scendere a livello Pro Tour ha pesato sicuramente la libertà che Q36.5 gli lascerà per concentrarsi anche sull’attività off-road, in particolare il cross country in cui si è laureato campione olimpico. Sarà anche il capitano indiscusso in tutte le corse a cui prenderà parte e il centro per il progetto a lungo termine del patron Ivan Glasenberg. Il punto interrogativo più grande riguarda però il calendario della Q36.5, che partecipa agli eventi World Tour solo su invito. La partecipazione alle classiche del nord dipenderà dalla capacità della squadra di attrarre inviti. Basterà la presenza di Pidcock?
Marc Hirschi (UAE Team Emirates ➡ Tudor Pro Cycling) e Julian Alaphilippe (Soudal Quick-Step ➡ Tudor Pro Cycling)
Il progetto della Tudor Pro Cycling, che ha un forte sponsor alle spalle e Fabian Cancellara come fondatore, è molto ambizioso e l’obiettivo è il passaggio al World Tour. Se lo scorso anno si era già alzato il livello con le firme di Trentin e Storer, in questo inverno sono arrivati altri due nomi ancora più di impatto.
Il primo è Julian Alaphilippe, che riparte dal Pro Tour dopo una carriera al Wolfpack. Al francese recentemente è sembrata mancare quella libertà di correre e di attaccare che gli ha permesso di alzare le mani al cielo decine e decine di volte. Libertà che dovrebbe ritrovare in maglia Tudor.
Il capitano per il 2025 sarà però lo svizzero Marc Hirschi, che in UAE rimpiangeranno dopo una seconda parte di anno spettacolare. La scorsa stagione ha vinto per nove volte e la sua firma è una situazione win-win per il corridore e per la squadra. Hirschi può permettersi di non dover più correre da gregario, come spesso era costretto a fare alla UAE, mentre la Tudor ha trovato una stella su cui puntare in ottica punti per guadagnare una licenza World Tour. Al momento sono abbastanza indietro in classifica, dove occupano la 23esima posizione, ma la lotta per la promozione è ancora apertissima.
Simon Yates (Team Jayco AlUla ➡ Visma-Lease a Bike)
Come accaduto qualche anno fa al gemello Adam, anche Simon Yates ha scelto di lasciare la Jayco per passare in una delle migliori squadre del World Tour. Simon sarà il supergregario della Visma per Vingegaard, che potrà contare su uno dei migliori scalatori del gruppo nelle tappe più difficili.
Ma anche per il britannico questo passaggio potrebbe portare a un salto di qualità. Da quando è arrivato alla UAE, Adam non ha potuto correre da capitano, ma si è levato parecchie soddisfazioni personali. Ha vinto una tappa alla Vuelta e una al Tour indossando la maglia gialla e ha trionfato a Montreal, al Giro di Romandia a quello di Svizzera.
Come abbiamo capito bene, le differenze di budget di UAE e Visma rispetto alle altre squadre permettono di investire non solo sulla rosa, ma anche sugli allenatori all’avanguardia, in grado di far rendere al meglio i propri corridori. Simon Yates ha già una Vuelta in bacheca, ma potrebbe migliorare con l’aiuto dello staff olandese? Staremo a vedere, anche perché a 32 anni Simon Yates ha almeno un paio di buone stagioni davanti.
Vivi le Olimpiadi Milano Cortina 2026 in maniera unica ed esclusiva con On Location
Te le ricordi le salite sul Passo Falzarego e Valparola? Oppure le ascese su Stelvio e Mottolino? E le picchiate in Trentino? Sembra quasi impossibile oggi, ma c’è uno spettacolo simile che On Location, fornitore ufficiale ed esclusivo di hospitality per i Giochi Olimpici, ti propone in quelle zone dove pedali. Il sogno continua. E quella favola, si può riproporre anche se in un ambito completamente diverso. Ma le zone sono le stesse, ricordalo. E’ la prima volta che che un programma di hospitality di alto livello sarà offerto ai Giochi Olimpici Invernali, come è anche la prima volta che Milano ospita una rassegna a cinque cerchi. Queste esperienze di hospitality sono disponibili per l'acquisto su www.hospitality.milanocortina2026.org. Ovviamente tutti i pacchetti includono biglietti per un evento sportivo olimpico invernale o per le cerimonie di apertura e chiusura.
Attraverso il pacchetto On Location si potrà vivere in maniera esclusiva in ogni aspetto la manifestazione olimpica, la rassegna per antonomasia insomma. Nelle parole di Emilio Pozzi, amministratore delegato di On Location Italia si comprende il valore delle proposte: «Siamo orgogliosi di essere i primi a realizzare un’esperienza di questo livello nella storia del nostro paese e mostrare al mondo l'eccellenza della cultura, della cucina e dei paesaggi italiani». Del resto affidarsi a On Location è il massimo visto le esperienze olimpiche trascorse e visto soprattutto l’offerta di livello straordinario. (Parigi 2024, Milano Cortina 2026, LA28, Coppa del Mondo FIFA 2026, NFL, NCAA, UFC e PGA of America). E’ arrivato allora il momento di scendere dalla sella e riposarsi per godere appieno questo evento.
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Programma di Hospitality
Programma di Ticketing
L'ultimo ballo di Rigoberto Uran
Articolo di Carlo Giustozzi
I primi colombiani arrivarono nel grande ciclismo europeo negli anni ‘80. Il precursore, per onor di cronaca, fu in realtà il Cochise Martín Emilio Rodríguez. Ottimo passista, gregario di Felice Gimondi tra Salvarani e Bianchi, vinse due tappe al Giro nel ‘73 e ‘75 e un Trofeo Baracchi. Fu anche campione del mondo nell’inseguimento individuale tra i dilettanti e detenne, nella stessa categoria, il record dell’ora.
Un decennio dopo, al Tour iniziava a partecipare la Café de Colombia, squadra sponsorizzata dalla federazione colombiana dei coltivatori di caffè. Il primo successo di tappa arrivò nel 1984 con il capitano Luis Herrera, che tre anni dopo vincerà anche la classifica generale della Vuelta. I colombiani erano piccoli, mingherlini, ottimi scalatori. Se in salita vanno così bene, pensò Bernard Hinault, li attaccheremo in pianura, li batteremo nelle cronometro. E andò proprio così: la Colombia ha dovuto aspettare Egan Bernal per la prima maglia gialla sul podio di Parigi.
Nel frattempo, però, tanti ciclisti colombiani si sono affacciati in Europa. Il paese sudamericano ha iniziato il processo di “internazionalizzazione” del ciclismo: l’apertura a nuovi talenti provenienti da ogni parte del mondo. Tra questi, un posto speciale nel cuore degli appassionati ce l’ha uno scalatore che si ritirerà a fine stagione, e che sta nel frattempo correndo la sua ultima Vuelta. Stiamo parlando di Rigoberto Uran Uran, per gli amici italiani Ciccio.
Prima degli ottimi risultati raggiunti e dei piazzamenti nelle classifiche generali, di Uran ricorderemo la sua genuinità, l’ottimismo, quel modo simpatico di parlare e di pensare che lo ha sempre contraddistinto. E pensare che il colombiano della EF, un uomo che tutti descrivono solare, ha dietro di sé una storia difficilissima.
È nato nel dipartimento di Antioquia, a oltre 1800 metri di altitudine, in una famiglia molto povera. Il padre vende i biglietti della lotteria, la prima bicicletta gliela regala la zia. In una vecchia intervista al Corriere della Sera, Uran raccontò che alla prima gara non sapeva neanche cosa fosse una cronometro. Lo hanno messo semplicemente in sella dicendogli: “Fai più veloce che puoi”. Quella gara Rigoberto la vinse, mettendo subito in mostra il suo immenso talento. Ma i festeggiamenti per i suoi successi durarono poco: dopo pochi mesi il padre venne ucciso da una pallottola vagante, una tragica fine comune a tanti negli anni della guerra per il narcotraffico.
A soli 14 anni Uran si trova a dover mantenere la propria famiglia. Comincia lui a vendere i biglietti della lotteria per le strade, ma non lascia mai la bici. Tra gli juniores raccoglie molti successi, tra cui il campionato nazionale di categoria su strada. La disciplina in cui va meglio è però la pista, e sembra quasi un errore se si pensa che poi sarà tra i migliori scalatori del mondo.
Finite le categorie giovanili, Rigoberto ha un grande dilemma davanti. Se vuole continuare la sua carriera nel mondo del ciclismo e tentare il salto nel professionismo deve andare in Europa. Non è una decisione semplice: vorrebbe dire lasciare in Colombia madre e sorella, che dopo aver perso già il padre rimarrebbero sole. In una situazione così difficile, Uran mostra un grande coraggio. Sa che questo è un sacrificio importante, ma è anche l’unico modo per provare a migliorare le condizioni proprie e della famiglia.
Tante volte leggiamo delle storie di ciclisti del passato, per i quali la bicicletta è stata un’ancora, un’occasione di salvezza per uscire da una vita che dà poche possibilità. Qui ci troviamo in un passato molto più vicino, una condizione di grande povertà in cui si trovano tutt’ora miliardi di persone nel mondo.
A 19 anni firma con la Tenax-Salmilano e si trasferisce a Brescia. L’inizio non è facile, ma anche con l’affetto della sua famiglia “adottiva” riesce a superare le prime difficoltà. Come raccontato da lui al Corriere: “Dopo due mesi mi mandano in gara sul pavè e mi rompo subito la clavicola. Però a fine stagione il contratto arriva. Merito anche di Melania e Beppe, la mia “famiglia” italiana, di Brescia. Mi hanno sempre aiutato, anche quando ho fatto un incidente gravissimo al Giro di Germania 2007, che mi costò diverse fratture. Anche grazie a loro il rapporto che ho con l’Italia è speciale”.
Da quel lontano 2006 non si è più fermato, correndo da capitano i grandi giri nelle squadre più importanti. Prima la Caisse d'Épargne, poi il Team Sky, la Quick Step e infine la EF, dove è arrivato nel 2016, quando si chiamava ancora Cannondale, e dove è rimasto fino a oggi. Nel tempo ha raccolto un palmares molto importante: due vittorie di tappa al Giro, una al Tour e una alla Vuelta, diverse classiche di spessore e tre secondi posti nei grandi giri (alla Corsa Rosa nel 2013 e 2014, e al Tour nel 2017, a neanche un minuto da Chris Froome). Il piazzamento a cui è più legato rimane la medaglia d’argento ai Giochi Olimpici di Londra 2012, arrivata con la maglia del suo paese sulle spalle.
In un’intervista a inizio stagione, Uran ha comunicato la sua volontà di lasciare il ciclismo a fine 2024. Il colombiano ha ritenuto che la sua avventura sia giunta al termine dopo 19 anni nel mondo del professionismo, in cui ha raccolto quattordici vittorie e una miriade di piazzamenti. Ha detto che le ragioni sono diverse: “Il primo motivo è la famiglia. Il ciclismo professionistico ti richiede impegno e sacrifici, togliendo tempo alla famiglia e ai figli. Il secondo è l’età: è difficile mantenere un rendimento elevato e questa generazione di giovani è veramente troppo forte”.
Qualcuno dirà che avrebbe potuto vincere di più, che i mancati successi nella generale non gli permetteranno di essere considerato tra i migliori dell’ultimo decennio. Ma i risultati sono solo una piccola, minima, parte della storia di uno sportivo, e ancora più di un uomo con un passato difficilissimo alle spalle. In Colombia è una celebrità, è ancora oggi molto più amato di altri che hanno vinto di più come Nairo Quintana o Egan Bernal. Per tanti, tantissimi è un esempio di qualcuno che si è fatto da solo, che invece di lavorare per le bande di trafficanti si è dedicato tra mille sacrifici allo sport che amava, mantenendo nel frattempo la propria famiglia lavorando per strada. E che, diventato famoso, non si è dimenticato delle proprie origini, aprendo imprese e fondazioni benefiche a vantaggio dei suoi compaesani bisognosi.
Il gruppo non perderà il ciclista più forte, ma sicuramente non conterà più su un hombre vertical. Buena suerte, señor Rigoberto.
Fonti:
Tuttobiciweb, Dal «Corriere della Sera». Uran: corro per salvarmi dai narcos
Dal canale Youtube di EF Pro Cycling, Gracias, Rigo | Rigoberto Urán's retirement interview | Explore series | Presented by Wahoo
Cyclingnews, ‘In the end, what you’re looking for is satisfaction’ – Rigoberto Urán and the fear of the final phase
Procyclingstats.com, Rigoberto Urán
Foto: Sprint Cycling Agency
Place to be: Ticino
Paesaggi alpini o clima meridionale: in Ticino una scelta non preclude l’altra, a favore di una stagione ciclistica da 365 giorni.
- 27 percorsi ufficiali per MTB
- 4 piste ciclabili su asfalto
- 815 chilometri di pista ciclabile per MTB
- 13 impianti di risalita con trasporto di biciclette
- oltre 30 Bike Hotel pronti a offrirvi ogni tipo si servizio
C'è un luogo davvero a pochi passi da noi, dove quasi non ci si rende conto di essere all'estero, se non per qualche minima differenza linguistica. Così vi capiterà di sentir parlare di medicamenti invece che di medicine e di bilzo balzo invece che di altalena. Le ciabatte vengono dette ziblette e il meteo assume forma femminile: la meteo. Il telefono è il natel, l’ascensore il lift, e se un ristorante cambia proprietà, si dice che cambia gerenza. A parte queste piccole, e decisamente innocue differenze, pedalare in Ticino sarà come sentirsi davvero a casa.
Per prima cosa c’è il treno che da Milano ci porta direttamente lì, nel cuore del cantone svizzero. Sì, una scelta che fa sicuramente bene all’ecologia, ma che ci da subito quell’emozione e quella sensazione di essere in viaggio, già partendo da casa.
Una volta arrivati a Bellinzona, si apre un mondo di opportunità. Si può iniziare subito a pedalare, dirigendosi verso Lugano o verso il Mendrisiotto, oppure verso Ascona e il Lago Maggiore. O ancora proseguendo verso le vicine valli di Bellinzona. E se il chilometraggio diventa troppo importante, si può utilizzare la fitta rete ferroviaria gratuita. Si chiama Ticino Ticket, ed è un semplice biglietto con cui viaggiare all’interno della regione durante il soggiorno, che si ottiene pernottando in uno degli oltre 500 alloggi partner, tra alberghi, ostelli della gioventù e campeggi del Canton Ticino. Attenzione però, le biciclette sono escluse dall’offerta Ticino Ticket; il che vuol dire che se vuoi portare la bici con te devi informarti in anticipo circa eventuali costi e limitazioni definiti dalle imprese di trasporto sulle quali desideri viaggiare.
Noi, per rendervi tutto più comodo, abbiamo pensato a tre itinerari da consigliarvi.
1. Il giro del Lago di Lugano
Una volta arrivati in treno a Capolago, si parte per un tour che tocca la regione di Lugano, il Mendrisiotto e, per una parte, anche l’Italia. Da percorrere in senso orario o antiorario, la scelta sta a voi.
Periodo consigliato: tutto l’anno.
77 km, 680 m d+
2. Blenio – Lucomagno
Raggiunto il paese di Biasca con il comodo servizio ferroviario, parte una lunga salita che lungo la Valle di Blenio arriva fino al Passo del Lucomagno, uno dei valichi più belli e panoramici di tutta la Svizzera.
Periodo consigliato: estate.
28 km, 660 m d+
3. Locarno – Palagnedra – Bordei
Il giro parte da Locarno, raggiungibile con il treno. La zona è più selvaggia e testimonia la povertà del passato, con una strada che sale moderatamente attraverso la valle fino al lago artificiale di Palagnedra. Dopo aver svoltato in direzione Palagnedra e Bordei, inizia la salita vera, con una serie di tornanti, seguiti da una discesa e da un'ulteriore salita fino a Bordei.
Periodo consigliato: primavera, estate e autunno.
50 km, 890 m d+
Le Alpi, i fiumi, i laghi, le curatissime vigne: che sia asfalto o gravel, qualunque itinerario sarà una piacevole scoperta. E, siamo sicuri, alla fine del vostro piccolo viaggio capirete perché tanti professionisti delle due ruote hanno scelto il Ticino come casa, anche per gli allenamenti quotidiani.
Per maggiori informazioni
ticino.ch/bike
Leo Hayter: la mia lotta
Non lo si vedeva in gruppo da un po', non c'erano notizie sul perché. Non lo avevamo mai visto raggiungere quei livelli che da Under 23 gli permisero di vincere alcune tra le corse più importanti del calendario (Giro, Liegi e medaglia di bronzo al mondiale a cronometro). Qualche giorno fa, Leo Hayter, 23 anni, corridore britannico della Ineos, ha rotto il silenzio e ha squarciato il velo su una situazione che da anni costringe a lottare lui e chissà quanti altri, e che inevitabilmente fa riflettere su quello che vivono i ragazzi che, giorno dopo giorno, si allenano, subiscono pressioni, non hanno un adeguata struttura che gli dia i mezzi necessari a sopravvivere in un mondo che va avanti in nome del successo, prima ancora che dello sport.
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"Ciao a tutti, sono scomparso da un po' di tempo, ma sento che ora è il momento giusto per raccontare la mia storia.
Ho avuto problemi mentali negli ultimi cinque anni. È qualcosa che per molto tempo ho semplicemente "affrontato". Ho pensato di essere solo pigro, che mi mancava la motivazione.
Doveva essere qualcosa di passeggero, ma è semplicemente impossibile superarlo senza avere la sensazione di perdermi dettagli importanti.
Lo scorso maggio ho toccato il fondo. Ero completamente bloccato. Non potevo lasciare il mio appartamento ad Andorra; riuscivo a malapena ad alzarmi dal letto. Il mio team di supporto alla INEOS mi ha riportato a casa e mi ha fatto una valutazione professionale, dove mi è stata diagnosticata la depressione. Ho preso una pausa dal ciclismo, ho iniziato a prendere farmaci e mi è stato detto che non avrei più dovuto gareggiare l'anno scorso, ma in poco tempo mi sono sentito meglio.
Sono tornato al Tour of Guanxi alla fine della stagion scorsa e tutto sembrava a posto. Mentalmente e fisicamente ero nelle migliori condizioni: non mi sentivo così da diverso tempo. Ho avuto una buona off season, ma non appena sono tornato ad allenarmi, quelle stesse sensazioni, quei pensieri negativi sono tornati.
Prima del ritiro di dicembre con la squadra sono andato in modalità panico totale, non riuscivo quasi ad alzarmi dal letto. Ero imbarazzato perché non mi sarei presentato al ritiro al livello che volevo. Non ho dormito molto in quei giorni, non mi sono nemmeno allenato. Mi sono chiuso nella mia bolla, non rispondevo a nessuno lasciando il telefono in modalità silenziosa. È come se sentissi di deludere le persone e di non riuscire nemmeno a controllare le mie azioni.
Quando sono in questi stati di forte ansia, il metodo di difesa a cui ho sempre fatto ricorso è il cibo. Ovviamente, come atleta professionista, non è l'ideale, ma per me è incontrollabile. Mangio in modo compulsivo tutto ciò che mi capita davanti, e poi, molto spesso, mi sento male. Mi sento in colpa per essermi abbuffato, mi faccio morire di fame, prima di sentirmi completamente vuoto e mangiare di nuovo un sacco di cibo. Ovviamente, questo mi porta ad aumentare di peso, quando il mio obiettivo è l'opposto, causando più ansia e continuando lo stesso circolo vizioso.
Sono arrivato al campo di dicembre, la prima settimana è andata bene, e poi la seconda settimana ero a letto con la febbre. Sono tornato dal campo e ho passato la stessa cosa di prima del campo: sono nervoso per il Tour Down Under, sono fuori forma. Ho costantemente "shock" dovuti all'ansia, tutto il mio corpo si blocca per alcuni momenti, questo perché il tuo sistema nervoso è in modalità "combatti o fuggi".
È difficile spiegare l'effetto che hanno su di me. La mia ansia è solo aumentata. Cose che di solito non mi darebbero mai fastidio, come un'auto che mi sorpassa su una strada, mi bloccano per un momento. Rende la guida poco piacevole.
Poi ho avuto un buon periodo in Australia, quando torno succede la stessa cosa. Non sono nella forma in cui sarei voluto essere per la corsa a tappe negli Emirati Arabi Uniti. Gli ultimi anni non mi sono mai sentito dove vorrei essere, ho sempre la sensazione che ci sia un'enorme montagna da scalare per raggiungere il livello a cui "dovrei" essere. Questo ciclo continuo di nessun progresso finisce per essere molto estenuante.
Ho trascorso la prima metà di questa stagione a combattere contro questo. Sapevo che era la mia "ultima possibilità". Stavo facendo di tutto, compresi due campi privati in altitudine organizzati e finanziati da me. Nessuno dei due ha avuto successo.
Quando ho difficoltà mentali il mio fisico ne paga le conseguenze. Dormopoco, non mi sento recuperato nel sonno, la mia ansia porta a un assorbimento di cortisolo. Quando ho fatto un passo indietro l'anno scorso, i miei livelli di testosterone sono aumentati in modo significativo, dormivo meglio, ero più socievole, non ho mai perso peso così rapidamente. Ho sempre fatto buone prestazioni quando non c'era pressione su di me e mi sentivo calmo. Tutte le mie migliori prestazioni sono arrivate in questo modo. Per essere chiari, questa pressione viene sempre da me stesso, una pressione interna per essere il migliore, ossessionato dalla perfezione, che nello sport non è qualcosa di realistico o realizzabile giorno dopo giorno. I piccoli insuccessi fanno parte dello sport, ma non riesco proprio a gestirli in modo positivo. Una brutta prestazione o un giorno meno buono degli altri e vado nel panico al punto che la situazione sfugge al controllo.
Ho raggiunto il punto di rottura prima del Tour de Hongrie quest'anno. Durante tutto il viaggio ho avuto ripetutamente shock di ansia. Non riuscivo a concentrarmi su nulla. All'aeroporto mi hanno detto che non avevo bisogno di correre, ma ero determinato. Ho messo una faccia da poker, sono partito e ho pedalato bene. Al ritorno ero esausto.
Sapevo che non potevo continuare così, ma sapevo anche che se mi fossi fermato per fare un passo indietro, realisticamente la mia carriera sarebbe stata in pericolo. Ho trascorso giorni, settimane completamente bloccato. Sono tornato in una situazione simile a qualche mese prima. Ho fatto un'altra valutazione medica, dove era chiaro che i miei sintomi depressivi non stavano migliorando, anzi, stavano peggiorando. Una cosa del genere non è qualcosa che può essere cambiata da un giorno all'altro, sto seguendo una terapia al momento, ma è un percorso. Ho già fatto alcune sedute con un terapeuta che non hanno funzionato, quindi è come tornare al punto di partenza. Sono molto fortunato ad avere accesso ai migliori psicologi del mondo tramite il team, quindi lavorerò a stretto contatto con loro nel prossimo periodo.
È improbabile che correrò di nuovo quest'anno. C'è ancora tempo e potrei farlo, ma a posteriori non è stata una buona scelta tornare nemmeno l'anno scorso.
Ho sempre avuto questo pensiero in testa, che diventare più in forma e più magro mi avrebbe reso più felice, ma in realtà non ha fatto altro che nascondere il vero problema. Non appena rallento, i pensieri negativi tornano, e rientrare più in forma è come mettere un cerotto su una ferita che ha bisogno di punti.
Al momento anche il mio futuro nel ciclismo non è chiaro. In questo momento è irrealistico continuare come ciclista professionista, quindi non correrò per INEOS l'anno prossimo. Quando riesco a mettermi nella giusta disposizione mentale, non c'è niente che mi piaccia di più. È come una dipendenza per me. Ecco cosa mi fa sentire così doloroso non poterlo fare in questo momento. Ho tutto ciò che ho sempre desiderato, ma non sono ancora felice.
Qualunque cosa accada, la mia carriera ciclistica non è finita. Solo in pausa. Lo devo a me stesso e a tutti coloro che hanno lavorato così duramente per me negli ultimi 10 anni per portarmi dove sono.
So che se riesco a cambiare i miei comportamenti la mia coerenza arriverà e sarò a un livello in cui non sono mai stato prima. Negli ultimi quattro anni non credo di aver avuto più di una manciata di periodi in cui mi sono allenato costantemente per alcuni mesi. Quando ci sono riuscito ho ottenuto vittorie come LBL o Giro U23, ma le singole prestazioni non sono ciò che rende un grande corridore. Ricordo che prima del Mondiale di Wollongong nel 2022 il mio agente è dovuto venire a casa mia per convincermi ad andare. Ero in lacrime. Non potevo immaginare niente di peggio. Ero convinto che avrei fallito; ero grasso, non ero abbastanza bravo per esibirmi. Avevo trascorso una settimana a letto, la mia bici si era rotta ed ero completamente bloccato. Sono andato lì e ho ottenuto una medaglia di bronzo nella cronometro.
Voglio anche aggiungere che mi sembra incredibilmente sbagliato per me scrivere questo. Ho pensato che fosse una buona idea farlo per mesi, mi siedo per farlo ogni giorno e mi ritrovo a fare qualcos'altro, ma è durato troppo a lungo. Al momento non esco di casa. Ho paura. Anche scrivendo questo ora riesco a percepire quanto sia stupido, ma questo non cambia il fatto che è come mi sento.
Mi sono sempre preoccupato di come la gente mi percepisce. Ora sono a un punto in cui finisce solo per debilitarmi. E se esco e vedo qualcuno che conosco? E se mi chiedono dove sono stato? E se pensano che ho messo su peso? E se pensano che sia pigro? Questo è il genere di cose che mi passano per la testa, in ogni situazione.
Significa che prendo le distanze da tutti. Ho perso così tanti amici negli ultimi anni, non perché abbiamo litigato, ma solo perché mi sono allontanato da loro quando ero in difficoltà. Le persone mi mandano messaggi per chiedermi come sto, e io non riesco proprio a rispondere. Cosa dovrei dire? A che punto ho detto cose cattive o stronzate troppe volte? Mi considereranno meno se sono in difficoltà?
È anche una delle cose che mi tiene lontano dalla bici. Vorrei essere più sano, più in forma e più vicino al mio peso da gara. Mi piace andare in bici all'aperto, lo adoro. Ma cosa succede se qualcuno mi vede e mi chiede come sto? Vede che sono chiaramente sovrappeso per essere un ciclista professionista? Penseranno che sono pigro e che faccio perdere tempo alla squadra? Rideranno di me per il mio aspetto?
Al momento in cui scrivo, sono a Parigi a guardare mio fratello alle Olimpiadi. Anche questo non mi sembra giusto, mi sento a disagio solo a stare qui. Confrontarmi con amici e familiari è difficile, ma ancora di più mi sembra sbagliato poter godere di qualcosa. Se in questo momento non sto nemmeno facendo il mio lavoro, merito di divertirmi?
È come se non ci fosse una situazione che non mi spaventi. Se non fosse stato per la mia ragazza, non credo che avrei avuto alcun contatto umano negli ultimi tre mesi. Per questo le sarò sempre grato. Anche nei giorni peggiori riesco a vederla e a dimenticare per un po' quello che mi succede.
Vorrei anche dire un enorme grazie e scusarmi con il mio team di supporto di INEOS. Non posso fare a meno di sentirmi come se vi avessi delusi tutti, ma ci sto provando. Davvero. Il mio allenatore Dajo, gli psicologi Tim e Robbie e il mio agente Jamie mi hanno sostenuto negli ultimi anni, ma non sono riuscito a ripagare quella fiducia e quella convinzione come vorrei. Spero che scrivere questo e renderlo pubblico renderà più facile contattare i miei amici, vedere le persone, fare cose normali. Non ho pedalato negli ultimi mesi, ma non ho nemmeno vissuto.
Spero di potervi aggiornare tutti nel prossimo futuro con qualcosa di più positivo. Tornerò a gareggiare di nuovo ai massimi livelli del ciclismo, non so ancora quando. Ma quando lo farò, sarò pronto.
Leo"
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Il post originale, tradotto dalla redazione, lo potete trovare a questo indirizzo: https://leohaytercycling.com/
Foto: Sprint Cycling Agency
Ci vediamo domani?
SAVE THE DATE: sabato 31 agosto
BRIKO RIDE @ JAZZ:RE:FOUND
Ci sono ride organizzate ovunque e da chiunque. Alcune più belle, altre più brutte, alcune in posti magnifici, altre in posti modesti, ma tutte incontrano il nostro supporto, sempre e comunque.
E poi ci sono i ragazzi di Briko, che la banalità non sanno nemmeno cosa sia, che vi invitano a pedalare non in una situazione a caso, ma durante il Jazz:Re:Found, uno dei festival musicali più importanti e all’avanguardia a livello mondiale. Il tutto in una cornice da favola: il Monferrato.
E siccome non siamo nati ieri, quando annusiamo che la situazione è quella giusta ci intrufoliamo ben volentieri. Perciò ci saremo anche noi: prima a sudare, poi a distribuire i nostri gadget e infine a bere qualche birra e fare due salti.
Quando: Sabato 31 agosto
Dove: Jazz:Re:Found Festival, Cella Monte (AL)
Programma:
- Ore 10 ritrovo allo stand Briko
- Ore 11 partenza della ride di circa 80 km attraverso i colli del Monferrato
- Ore 16 arrivo della ride, musica e birrette
Ah, due cose abbastanza importanti:
1. Per i partecipanti alla pedalata è previsto un ingresso agevolato al festival – e ne vale davvero la pena, fidatevi.
2. Di questa giornata e del progetto in generale uscirà un bel reportage sul prossimo alvento35. Vorrete mica mancare?
Le iscrizioni sono chiuse, ma se venite un posticino lo troviamo lo stesso.
Seguiteci sui social per tutte le altre informazioni necessarie.
Ci vediamo lì!
La Spoleto Norcia in MTB
L’anno scorso ci siamo stati e quest’anno, ovviamente, ci ritorniamo. Domenica 1° settembre, andiamo a divertirci con le gomme grasse a La Spoleto Norcia in MTB.
Cinque percorsi, tra cui la nuova SN CHRONO che sostituisce la SN CUP. Si tratta di un percorso di 53 km e 1750 m di dislivello, non agonistico ma per questo non meno interessante, studiato nei minimi dettagli: un tracciato che prevede 2 salite davvero toste per non togliere il gusto a tutti coloro che vogliono misurarsi con se stessi e anche con gli amici. La prima salita è di 1,8 km e 237 m di dislivello con una percentuale media del 13%, la seconda è di 1,9 km e 190 m di dislivello con una percentuale media del 10%. E, ottima novità, premi Garmin per i più veloci.
Confermate le altre quattro tracce su tratti con fondo misto e single track tecnici: il percorso CLASSIC di 57 km e 1570 m di dislivello che segue il tratto più scenografico della SpoletoNorcia; il percorso EASY ROUTE, 40 km e 900 m di dislivello (una variante del Classic); il percorso HARD che, con il suo itinerario circolare di 85 km e 2.200 m di dislivello è il più impegnativo, destinato a partecipanti in possesso di certificato medico agonistico specifico per ciclismo.
Non manca infine anche quest’anno il percorso FAMILY di 15 km adatto a tutti, il cui ricavato sarà come sempre devoluto in beneficienza all’associazione Il sorriso di Teo.
Tutti i percorsi incrociano il tracciato dei binari della Vecchia Ferrovia, con viadotti di pietra e gallerie elicoidali al buio attraverso le montagne solcate dal corso del fiume Nera e punteggiate da borghi davvero spettacolari.
Per le iscrizioni e altre informazioni, cliccate qua.
Foto: MirrorMedia Art
Italy Divide: da Pompei a Torbole
Articolo e foto di Benedetto Conte
1270 chilometri e 22000 metri di dislivello da Pompei a Torbole. Dati alla mano non sembrava una cosa grossa o, almeno, non così tanto: dividendo i chilometri e il dislivello per il numero di giorni a disposizione si trattava di mettere in fila 210 chilometri e circa 3500 metri di dislivello al giorno, per diversi giorni. Che potesse essere una cosa grossa sembrava emergere solo dalle esclamazioni dei non addetti ai lavori ma alla fine dei conti, cosa potevano saperne? Bisognava solo pedalare, senza nient’altro a cui dover pensare.
Il meteo non sembrava favorevole fino al giorno della partenza, con neve e temperature polari fino a -10 °C ad attenderci una volta entrati in Abruzzo, dove gli organizzatori avevano decretato uno stop obbligato dalle 22 alle 5 per evitare problemi sui 40 chilometri di nulla sul sentiero in quota che separa Rivisondoli dal lago di Scanno. Un problema che avrei ormai affrontato l’indomani, considerando che alle 21 mi trovavo incollato su una discesa fangosa, scastrando con le mani il fango che continuava ad ammassarsi tra la ruota e il telaio mentre i pronosticati 30 minuti per raggiungere Castel di Sangro si dilatavano sempre e sempre più.
La prima alba, e le prime 3 ore di sonno, partono con un anomalo fastidio al ginocchio destro, che decide di rivendicare la propria esistenza dopo 35 anni, esattamente in quel preciso momento, dopo una vita passata in sordina. Decido di ignorarlo concentrandomi invece sul vento tagliente dell’altopiano abruzzese, nell’attesa di trovare l’anticipata neve in quota. La salita è costante, scenografica e maestosa ad ogni curva fino a quando il paesaggio innevato appare, catapultandomi in un luogo che potrebbe essere tanto remoto quanto quasi impossibile da trovarsi qui. Una discesa scassata sembra farmi planare alle porte di Roma, ben oltre le più rosee aspettative, ferme un centinaio di chilometri più indietro.
La seconda alba, e le seconde 3 ore di sonno, partono sui basoli della Via Appia Antica che dopo 20 chilometri sfociano su un Colosseo semi-deserto illuminato dalle prime luci del sole. 3 brioche al lato di Piazza San Pietro e via verso Viterbo, a testa bassa fino a che la via Francigena non diventa più verde, sempre più fitta, sempre più fangosa. Mi godo i diversi passaggi tecnici, mi diverto, fino a che non ne esco e posso mettermi alla ricerca di un supermercato da svaligiare. Sono da poco passate le 15 e l’Umbria e la Toscana sono poco più in là, cadenzate da Montefiascone, Bagnoregio, Orvieto. Alle 20 solo una discesa e 20 chilometri sullo sterrato compatto di un bosco nel crepuscolo avanzato mi separano da Proceno, da 2 pizze e un letto.
La terza alba, con le sue 4 ore di sonno, inizia tra le colline toscane e la curiosità della salita verso Radicofani di cui tutti parlano. Iniziarla a stomaco quasi vuoto è un’idea che appare sbagliata solo a danni fatti e lo capisce subito anche la signora all’ingresso del paese che, senza proferire parola, mi conduce in silenzio assente a svaligiare il bancone del suo bar vincendo e assicurandosi il premio “Appostamento dell’anno”. La giornata è eccezionale e con i muscoli caldi andare su e giù per la Toscana è puro piacere. Sono tra i primi 20 e la bellezza è tale da farmi attraversare tutto d’un fiato San Quirico d’Orcia, Bonconvento e Siena senza che mi accorga di aver scalato anche diverse posizioni. Prima di attraversare le colline del Chianti, con il sole a picco, faccio una pausa e riparto; le salite ora sono dure e scassate e mi riprometto che oltre il 15% di pendenza, considerando ancora i giorni mancanti, non vale la pena pedalare, anche solo per cambiare postura e rilassare quanto più possibile i muscoli coinvolti. Alle 19 sono pronto per la discesa al tramonto verso Radda in Chianti ma, al primo colpo di pedale, qualcosa non va: il deragliatore penzola affianco alla ruota, completamente staccato dal telaio. Mantengo la calma, so di avere la soluzione ma non so ancora di avere una vite spanata e nulla con me per poter rimediare. Provo e riprovo mentre il sole si abbassa sempre di più, mi abbatto e inizio a pensare al treno che mi riporterà a casa, è domenica e l’unica cosa che posso fare è raggiungere il paese e poi…chissà! Mentre sono lì a tentare il tutto per tutto, un’auto mi si ferma accanto e chiama il meccanico del paese che, accertatosi che avessi il ricambio necessario, si rende disponibile ad aprire la sua bottega. Quanto più rapidamente possibile e incredulo, rimetto tutti i pezzi apposto, smaglio la catena e la infilo nella tasca posteriore, lego il deragliatore al telaio con nastro e fascette e giù sparato per la discesa, tra gli in bocca al lupo di tutta la famiglia stipata nell’auto che mi ha soccorso e che mi sta facendo sentire un campione. Il signor Ramuzzi è costretto ad imprecare un paio di volte, ed io con lui, per riuscire a tirar via quel maledetto forcellino ma poi, mentre io tengo gli occhi stretti e chiusi, girato di spalle, come all’ultimo rigore di una finale mondiale, con un ultimo e decisivo colpo riesce nell’impresa e alle 20.30 mi rimette in corsa, direzione Firenze, un po’ più tardi del solito ma solo 25 chilometri prima delle più ottimistiche delle aspettative.
La quarta alba, con le sue 3 ore di sonno, ha con sé tutti gli acciacchi del caso e il pensiero fisso e costante che oggi bisognerà valicare gli Appennini verso Bologna su salite proibitive e strade scassate chissà quanto. Il primo indizio sull’andazzo della giornata dovrebbe darlo l’attacco della salita al 25% dopo Prato ma bado bene a non farci caso. Al termine della prima salita e della prima discesa tra single track e freni tirati, l’orario e l’umore sono ancora più che fiduciosi. Al termine della seconda salita tutto sembra ancora possibile e nella mia mente si fa largo l’idea di una gloriosa discesa verso Bologna ma non sarà assolutamente così; tra terreni sconnessi, single track e frane da superare, Bologna sembra sempre più lontana e il Santuario di San Luca si rivela, nella sua veste migliore, dopo soli 130 chilometri in ben 13 ore, alle luci del tramonto, quasi come a farlo apposta per vomitarmi addosso quell’emozione tutta adolescenziale di farmi sentire di nuovo come quel “Girardengo appena appena più basso e rock”. Voto 10 per il tempismo: alla fine, che fretta c’era di arrivare se doveva essere nel momento sbagliato?
La quinta alba suona quasi come l’ultima ma non bisogna abbassare la guardia, un rischio grosso nel momento in cui ci si inizia a sentire quasi arrivati. I 100 chilometri di dritta ed infinita pianura che portano a Verona mettono a dura prova la concentrazione ed è meglio rallentare per non buttare alle ortiche quanto fatto finora. Verona arriva dopo ben 5 ore e alle 11 del mattino, sotto un sole che batte, non rimane che l’ultima salita per la Lessinia e l’ultima discesa a picco verso il lago di Garda tenuto nascosto dal Monte Baldo. Mi godo ogni pedalata in salita, tutto il vento in faccia in discesa e tutti gli ultimi 40 chilometri sulla ciclabile finale, messi lì sicuramente non solo per decantare l’adrenalina, la tensione e la stanchezza accumulata fin lì ma per cementare la valanga di ricordi prima del traguardo finale in 5 giorni e 10h. Ora sì che sembra una cosa davvero grossa.
Le jardin reste ouvert pour ceux qui l'ont aimé
Articolo di Carlo Giustozzi
Prima di partire per il Tour del 1967, Tom Simpson era passato in una concessionaria Mercedes di Gent, la città belga dove viveva. Appassionato di motori, aveva versato l’anticipo per l’auto più costosa. Il resto lo avrebbe pagato al ritorno con i soldi della vittoria della Grande Boucle. Era il suo modo di motivarsi per la corsa più importante del mondo, il grande successo che mancava nel suo palmares.
Non ci era mai andato neanche vicino, in realtà. Cinque anni prima aveva indossato per un giorno la maglia gialla, diventando il primo britannico a guidare la classifica generale del Tour. Un risultato storico, che sarebbe stato eguagliato solo più di 30 anni dopo da Chris Boardman. Alla fine era riuscito ad arrivare sesto – il suo miglior risultato in carriera – a oltre 17 minuti da Monsieur Chrono Jacques Anquetil.
Dire che era stato colpito dalla sfortuna nel 1965 è ingeneroso. Prima cade nella discesa dell’Aubisque, poi si prende una bronchite, fora perdendo quindici minuti e rimedia pure un’infezione alla mano. Il medico della corsa gli consiglia che sarebbe meglio fermarsi, ed è costretto al ritiro. A un luglio disgraziato segue però l’autunno migliore della carriera, in cui vince prima i Mondiali a San Sebastian e poi il Giro di Lombardia.
Con la maglia iridata è sicuro che gli andrà meglio, questa volta la Grande Boucle sarà sua. E invece la bici scivola sulla discesa del Galibier, il braccio si apre e ha bisogno di cinque punti. Un altro ritiro, e la delusione è sempre più grande. Sta per compiere trenta anni, e la finestra per vincere è ormai ristretta.
Thomas Simpson, professione: ciclista
Thomas Simpson nasce nella cittadina mineraria di Haswell, Inghilterra settentrionale, il 30 novembre 1937. È l’ultimo dei sei figli di Tom Simpson, minatore ed ex velocista di atletica, e sua moglie Alice. Dal padre eredita il diminutivo e una certa propensione allo sport. Ma più che all’atletica si avvicina al ciclismo. Fa la sua prima gara a 13 anni, correndo con la bici con cui consegnava la carne per il macellaio del suo paese. Capisce subito che il ciclismo può essere il modo per fare il grande salto, salire di classe sociale e condurre una vita più agiata rispetto a quella dei suoi genitori.
Come per tanti altri ciclisti dei suoi anni, la bici non è (solo) uno sport, una passione, ma diventa il mezzo per migliorare la propria vita. Fin da giovane è metodico, attento a ogni aspetto, tanto nella meccanica quanto nella sua alimentazione. Forse sarà questa stessa cura del dettaglio a portarlo, anni dopo, a far uso di doping per migliorare le sue prestazioni. Ora però è ancora un giovane talento, che batte in ogni gara i suoi pari età. I risultati migliori li raccoglie in pista, dove a soli 19 anni entra a far parte del quartetto inglese per l’inseguimento a squadre alle Olimpiadi di Melbourne. Si dovranno accontentare della medaglia di bronzo, e Simpson si assumerà le colpe per la mancata vittoria. Vince per due anni il titolo britannico nell’inseguimento individuale, e capisce che è il momento di fare il grande passo. Se vuole diventare come il suo idolo Fausto Coppi deve attraversare la Manica e correre in Europa continentale.
Così a 22 anni arriva in Francia con cento sterline in tasca e due valigie, una per le bici Carlton e una per il completo pulito. Va ad abitare a Saint-Brieuc, un villaggio della Bretagna dove sente subito la mancanza di casa. Non parla il francese, rimedia frequentando la biblioteca locale e conoscendo una giovane inglese che fa la ragazza alla pari sulla sua stessa via. Si chiama Helen, e pochi mesi dopo diventerà sua moglie.
Nel frattempo la sua carriera da ciclista inizia a decollare. In poco più di un mese vince cinque gare, e i suoi successi non passano inosservati. La Saint-Raphael, la squadra di Raphaël Géminiani, lo firma con un contratto sbalorditivo per un dilettante. Nel 1960 prende parte al suo primo Tour de France, e nell’anno successivo inizia a togliersi le soddisfazioni più importanti.
Tra il ’61 e il ’65 vince Giro delle Fiandre, Milano-Sanremo, Giro di Lombardia e i Campionati del mondo. È il primo britannico a vincere una classica monumento, a indossare la maglia gialla, a diventare campione del mondo. Dell’Inghilterra della Swinging London, dei Beatles, la minigonna e Carnaby Street, si fa rappresentante nel mondo del ciclismo.
Oggi siamo abituati a campioni che vengono da ogni parte del mondo: sloveni, colombiani, statunitensi, eritrei. Ma negli anni sessanta il ciclismo è uno sport dell’Europa continentale. Nel gruppo dominano i belgi, i francesi e gli italiani. I britannici sono pochi, e i loro successi ancora meno. Le vittorie di Tom Simpson fanno scalpore nel suo paese, attirando molti nuovi appassionati.
Anche se viveva a Gent, dove il tempo era migliore e i trasferimenti per le corse più veloci, Simpson amava ancora la sua patria. Quando poteva rientrava nel Regno Unito e al Tour, dove all’epoca partecipavano le nazionali, indossava con orgoglio l’Union Jack, e sembrava andare ancora più forte quando rappresentava il suo paese.
Uno dei suoi obiettivi, poi, era quello di aprire una squadra professionistica britannica. Lui avrebbe avuto il doppio ruolo di capitano e di manager, con il sogno di farne il faro di un nuovo movimento ciclistico. Quello che abbiamo vissuto negli ultimi decenni, con gli investimenti inglesi prima nel ciclismo su pista e poi su strada, e i successivi trionfi – Cavendish, Froome e Wiggins, per dire tre nomi – sarebbero forse arrivati trent’anni prima, se Simpson avesse potuto portare avanti il suo progetto.
Il Tour del 1967
Per il 1967, il grande obiettivo di Tom Simpson è il Tour de France. Per prepararsi al meglio decide di correre alcune gare a tappe di una settimana. Vince la Parigi-Nizza, dove si mette in luce anche un suo giovanissimo compagno di squadra. Si chiama Eddy Merckx, ha già una Milano – Sanremo in bacheca ed è un ottimo velocista. Simpson non farà in tempo a vederlo vincere praticamente tutto. A fine aprile è in Spagna per correre la Vuelta. Bisogna preparare le gambe in vista del Tour, ma la condizione è così buona che riesce comunque a portare a casa due tappe.
Il 29 giugno è ad Angers, nella Loira, per la Grande Partenza del Tour. Vuole vincere la classifica generale, ma un ottimo piazzamento andrebbe comunque bene. In un’intervista alla rivista Cycling ha detto che a 33 anni vuole ritirarsi dal ciclismo su strada, per dedicarsi alla pista e alla famiglia. Nella sua mente sono rimasti solo tre anni prima di lasciare il professionismo. Fare bene al Tour vorrebbe dire anche firmare nuovi contratti con gli sponsor e partecipare ai criterium a invito che permettono di portare a casa dei premi ricchissimi.
Storicamente il Tour de France era l’unica corsa nel calendario in cui non partecipavano i Club ma le nazionali. Simpson era felice di questa cosa. La Pegeout era un’ottima squadra, ma il britannico non era mai l’unico capitano. La nazionale britannica era composta da corridori molto meno forti, ma Simpson sapeva che poteva contare sul loro servizio. Tra gli otto gregari presenti c’erano alcuni dei suoi migliori amici: Vin Denson, il veterano che aveva corso con Rik Van Looy e Jacques Anquetil, Arthur Metcalfe e i giovani Michael Wright e Barry Hoban, che dopo la morte di Simpson sposerà la sua vedova Helen.
I favoriti per la vittoria finale del Tour sono il campione in carica Lucien Aimar, lo spagnolo Julio Jimenez e l’eterno secondo Raymond Poulidor. Nelle prime tappe Simpson non prende rischi, ed è tra i primi in classifica generale. Quando la corsa arriva sulle Alpi, la sfortuna lo colpisce ancora una volta. Nella tappa che prevede la scalata del Galibier ha fortissimi dolori allo stomaco e diarrea. Non riesce a mangiare, ma limita i danni e si ritrova settimo in classifica generale.
A Marsiglia, alla vigilia della tredicesima tappa, la nazionale britannica ha dei forti dubbi. Daniel Dousset, il manager della squadra, vuole che Simpson provi ad attaccare per recuperare sugli avversari. Gaston Plaud, manager della Peugeot, vorrebbe invece che si ritirasse, perché il giorno dopo nel percorso è prevista la scalata del Mont Ventoux, e non crede che Simpson sia nelle condizioni di affrontarla.
Maledetto Ventoux
Un proverbio provenzale recita: “Non è stolto chi sale sul Ventoux, ma chi ci ritorna una seconda volta”. Nel cuore della Provenza si erge un gigante, un monte calvo che non appartiene né alle Alpi né ai Pirenei. I geologi dicono che la sua costruzione sia iniziata circa 100 milioni di anni fa, nel Cretaceo. In pochi però nella storia si avvicinarono a quella cima pericolosa. Le leggende raccontavano di venti devastanti, animali mostruosi e crateri che lo collegavano ai meandri dell’Inferno.
La prima scalata documentata l’abbiamo studiata tutti a scuola. È la Ascesa al monte Ventoso che Petrarca compie insieme al fratello nell’aprile del 1336. Per il poeta quella scalata è un’allegoria della crisi spirituale che sta vivendo: mentre il fratello Gherardo sale velocemente, lui si perde nel tentativo di trovare un sentiero meno ripido.
Ma solo a Petrarca era piaciuto arrivare su quella cima. Il Mont Ventoux arrivò al Tour nel 1951, e il gruppo lo accolse con maggior freddezza. Nel 1955 era stata la scena dell’ultimo atto dello svizzero Ferdi Kubler. Cinque anni dopo la vittoria della Grande Boucle, Kubler si ritirò al termine della tappa del Ventoux, e disse che era troppo. Non si possono affrontare certe salite, non corro più. Nel 1958 Charly Gaul vinse la cronoscalata, ma arrivò sul traguardo in asfissia e si temette il peggio.
Il 13 luglio 1967 a Marsiglia, sede di partenza della tredicesima tappa del Tour, non si respira. Un caldo torrido affatica i corridori dalle prime pedalate. Bisogna stare attenti a mangiare e a bere, o si rischia di non superare il Ventoux. Lo soprannominano monte calvo perché in cima si apre un paesaggio lunare. Non c’è vegetazione, non ci sono alberi che possano riparare dal sole che batte forte.
Dopo la prima metà dell’ascesa, Tom Simpson entra in difficoltà. I big stanno facendo un ottimo ritmo, ma il britannico non può permettersi di perdere le loro ruote. Quel giorno si gioca un pezzo importante del suo futuro, e non è ammissibile mollare. Cerca di restare idratato. Rimasto senza acqua, a inizio salita aveva preso una borraccia da dei tifosi. Dentro ci avevano messo il cognac. Secondo alcuni ne bevve solo un sorso, poi sputò e buttò via la bottiglia. Secondo altri se ne versò più di metà in gola. Uno degli aspetti da tenere a mente di questi ultimi attimi di vita di Simpson è che ci sono tante versioni della storia, tutte in contrasto tra loro.
Di certo sappiamo che, quando mancano un paio di chilometri allo scollinamento, Simpson si ferma una prima volta. Sembra al limite. I meccanici vorrebbero fermarlo, è troppo, ma l’inglese non vuole. Chiede di essere rimesso in sella. Riparte, ma è un continuo zigzagare finché non si accascia a terra un’altra volta. Non si rialzerà più. Arriveranno la sua ammiraglia, il medico del Tour, un elicottero per portarlo all’ospedale più vicino. Non ci sarà nulla da fare.
La sua morte rimarrà un mistero, un insieme di tanti fattori, non si saprà mai quale sia stata la causa principale. Il caldo torrido, la disidratazione, i problemi fisici dei giorni precedenti o quelle fiale di anfetamina trovate nelle sue tasche posteriori. Jacques Anquetil, fino agli ultimi giorni strenuo difensore del doping, dirà che la morte era colpa del medico del Tour, perché il viaggio in elicottero gli aveva causato un arresto cardiaco.
Di certo si sa che quel giorno un uomo sorridente, che amava il suo lavoro e la sua vita, aveva lasciato per sempre sua moglie Helen e le loro due bambine, senza nemmeno poter dire addio. Avrei potuto prolungarmi di più su questo finale, ma non sarebbe stato giusto. È bello ricordarlo con le parole che scrisse Gianni Mura, all’epoca inviato ventiduenne a seguito del Tour per la Gazzetta dello Sport:
“E già discutevano se era morto bene o male e già cominciava il girotondo delle verità e l’interrogativo era: omicidio o suicidio? Come se morire non fosse abbastanza e non fosse ovvio che chi muore ha sempre torto. Morire è come aprire una porta e chiudersela dietro. Chi è senza chiave non entra. «Le jardin rest ouvert pour ceux qui l’ont aimé», come disse un poeta. Simpson l’ha trovato aperto. È passato”
Fonti:
William Fotheringham, Put Me Back on My Bike: In Search of Tom Simpson, Yellow Jersey Press 2002
Francesco Petrarca, L’ascensione del Monte Ventoso
Leonardo Piccione, Diapositive dal Monte Ventoso, Rivista Undici 2016
Gianni Mura, Simpson, chi muore ha sempre torto, Gazzetta dello Sport, 15 luglio 1967
Gianni Mura, Maledetto, caldo Ventoux, La Repubblica, 21 luglio 2002