Il talento salverà il mondo
Datemi il talento e salverò il mondo. Datemi una tappa così e vi farò divertire. Datemi una maglia gialla e vi assicuro che attacco da lontano. Datemi un gruppo in fuga così ricco di talento da sembrare un festival rock degli anni '70, che vi regalo una giornata da non dimenticare.
Perché va così oggi: apologia del talento. Va in scena la forza, la classe, la fantasia. Nella vittoria di Mohorič ci sono tutte le sfumature che rendono memorabile il ciclismo, prezioso il talento. Quello di Mohorič che si accende a intermittenza come quando si ricorda di essere forte, o un po' di più, e oggi è una di quelle volte che lo rendono speciale. Pazienza se ogni tanto può apparire distratto, se rischia e cade persino. Ci piace così, come quelle lacrime a fine gara, ormai un grande classico al Tour, o come quell'inglese sfoggiato ai microfoni che sembra non abbia mai parlato un’altra lingua in vita sua. E poi 86 km col vento in faccia te li fai solo se hai talento.
Datemi il talento e vi ribalto il mondo: sembra sussurrare van Aert a van der Poel, tra i pedali, quando attaccano, tirano il gruppo in fuga e all'arrivo mancano 200 km. Quando si guardano, si dicono qualcosa e per un attimo sembrano persino ridere, poi si corrono contro, poi collaborano, poi danno spettacolo. Hanno sempre fatto così da quando si conoscono e lo ribadiscono nella corsa più grande del mondo che loro, grandi come sono, contribuiscono a esaltare.
Datemi il tempismo e attacco al momento giusto: è Carapaz, il campione mondiale dell'attacco al momento giusto. Peccato (per non dire altro) che la Movistar col dente avvelenato per storie tese ancora vive tra di loro - e che francamente hanno stufato - lo vada a riprendere sul traguardo. Almeno lui ci dimostra che il Tour è ancora vivo.
Datemi la tranquillità che vi gestisco tutto io, sembra pensare Pogačar che di anni ne ha 22 ma per come corre sembrano almeno il doppio. Oggi non appariva in una giornata da bambino d'oro, ma domani chissà, potrebbe persino chiudere i conti con il Tour negando totalmente quello che abbiamo detto sopra su una corsa ancora aperta.
Ma il talento è anche coraggio, quello di Vincenzo Nibali, a proposito di anni lui ne ha davvero quasi il doppio di Pogačar ed è lì che ci prova, brilla, scatta, risponde. Che Nibali sia un perfetto esemplare di talento, non lo scopriamo certo oggi.
Il talento, già, croce e delizia di chi ne porta troppo appresso. A volte ti distrae o ti affossa, ma è talento anche saper soffrire: come accade a Roglič che oggi segna l'addio alle sue speranze di vincere il Tour. Troppe le ferite sul corpo, da stasera anche nell'anima, ma animo: tornerà anche il tuo momento. Di talento per salvare il mondo ne sei provvisto.
Un gesso e una lavagna
Una lavagna in pietra ardesia nera, un gessetto bianco e qualche numero. In fondo è tutto quello che serve a un ardoisier, termine quasi onomatopeico, come il sibilio del gesso sulla lavagna, che racconta un mestiere del vecchio ciclismo che è sopravvissuto al tempo. Così, ancora oggi, in corsa vedete la moto ardoisier che fa la spola tra il gruppo e i fuggitivi per indicare i distacchi e la composizione della fuga. Il tutto così, facendo uso dei due strumenti più semplici che ci siano, quelli che conosciamo la prima volta che entriamo in un'aula scolastica. Per il resto bastano un casco e una divisa gialli, come la maglia gialla.
Eppure non è scontato, come tante altre cose. Pensate a un insegnante di educazione fisica in Burkina Faso, a Ouagadougou, che ogni tanto, quando passa il Tour del Burkina Faso, può uscire dalle aule di scuola e mettersi sulle strade con i suoi ragazzi a vedere i ciclisti. Si chiama Michel Bationo e la prima lavagna e il primo gessetto li ha tenuti in mano proprio sulle strade polverose della sua città. Bationo è uno di quegli uomini che ha sogni grandi e che non ha paura di raccontarli, anche se qualcuno potrebbe prenderlo per matto. «Se un giorno potessi, mi piacerebbe andare a lavorare al Tour de France, essere l'ardoisier del Tour».
Qualche mese dopo, il Tour chiama e lui risponde. È il 2002 quando parte per la Francia come racconta ai quotidiani locali: «Non ero mai stato in un aeroporto prima di quel giorno, non avevo mai visto le scale mobili, soprattutto non avevo mai visto la neve sui monti mentre si vola. Ho scattato delle foto». Michel sorride sempre e fino al 2007 resta l'ardoisier del Tour. «Jalabert una volta mi ha detto: “facciamo cambio; io salgo in moto e tu vai in bici”. Mi sembrava incredibile che un ciclista mi chiamasse per nome e mi parlasse». La stessa sorpresa l'ha provata quando qualche corridore ha accettato di farsi fotografare con lui: «Cosa gliene fregherà mai di un ardoisier, mi dicevo, e invece...».
Così un centometrista burkinabè è arrivato al Tour e vi è restato come chi, in fondo, vi era sempre stato anche se materialmente era molto lontano. Già, perché forse i sogni si vedono meglio da lontano. Forse dovremmo imparare anche noi.
Foto: Bettini