Equilibri instabili

Per Ben O'Connor la ricerca dell'equilibrio è una delle chiavi che aprono le porte della conoscenza. Quell'equilibrio lo cerca, coerenza costante, come quando si ammalava così spesso da perdere tutto il tempo che spendeva per la sua carriera. Quando cadeva e si faceva male, persino quando un anno fa esatto gli hanno detto che soffriva di ipotiroidismo, di certo non una passeggiata per un uomo normale, figuriamoci nella vita di un corridore, che di normale non ha proprio nulla.

Il ragazzo di Perth, con origini scouser e che vive ad Andorra, che del Tour da bambino ricorda più i castelli e la gente a bordo strada che i vincitori, ha avuto difficoltà all'inizio nell'esprimersi in francese con la sua nuova squadra, ma racconta come nei primi incontri con i suoi compagni gli bastava capirne sensazioni ed emozioni per comunicare con loro. Quando è arrivato a Brest alla partenza del Tour si è ritrovato in auto con la sua ragazza e Jack Haig fermi dietro un gruppo di cicloamatori: «Da domani le persone si ritroveranno la strada bloccata da noi: è una questione di karma» ha detto.

Volergli male sarebbe un peccato: occhi che non riescono a esprimere rabbia, né cattiveria, ma solo diverse tonalità dell'esistenza, e una pedalata sciolta che si trasforma nell'ambizione di fare tappa e maglia, in una tappa di montagna: roba da spezzare gli eroi, ma non il suo equilibrio. «Mi sono semplicemente gustato ogni singolo momento» ha raccontato a fine tappa.

Oggi il ciclismo ha rimesso, così, tutte le cose a posto: è andato in montagna mostrando il fascino del suo profilo migliore. Salita, battaglia, Alpi, pioggia, nebbia, freddo. Discese bagnate e cadute, tanta gente, ma anche diversi corridori in crisi di freddo. Ritiri e fuori tempo massimo. Un male necessario come necessario era il continuo scrollare le mani per scacciare via il gelo.

Si staccava, O'Connor, a ogni discesa, andava regolare senza rischi, mentre davanti Quintana e Higuita - illusione e delusione – scrivevano il più classico manifesto del modo colombiano di interpretare il ciclismo: facevano le bizze, a tratti dominavano, scappavano, venivano ripresi e poi staccati da O'Connor verso Tignes. «Amo i giorni frenetici come quelli di oggi – dirà, commosso - ma conosco anche la chiave del successo: niente panico. Perché se inizi a pensare che stai per vincere una tappa al Tour, ti verranno in testa troppe cose».


La fantasia di Tadej

Tadej Pogačar lo aveva detto venerdì sera: «Ho sbagliato a non cogliere l'attimo quando è andata via la fuga». La sua squadra era stata isolata, la fatica raddoppiata e lui ha ammesso l'errore. Poteva essere pericoloso, un segnale di debolezza dato agli avversari, alla vigilia di due tappe alpine, con tutte le possibilità per attaccare e lasciarlo a inseguire. Non gliene è importato.

Ieri mattina, la squadra sapeva che avrebbe attaccato, il presentimento lo avevamo tutti, a dire il vero. Ha anticipato lo scatto e lo hanno visto andare via ai meno trenta, sotto il diluvio. La saggezza avrebbe consigliato di aspettare, di piazzare lo scatto secco nel finale, perché azioni del genere non sono meno pericolose di quella spietata sincerità. Invece no, Pogačar ha dato retta alla fantasia, anche se poteva costare cara, perché, perdere minuti a fiotti, mentre provi a guadagnarli, non è così raro. Ha messo alle corde gli avversari, è arrivato stremato, si è liberato dal casco e si è disteso sulla bici a riprendere fiato.

Oggi, Pogačar ripartirà sapendo di essere controllato a vista. «Ora ci attaccheranno tutti- ha detto ieri Formolo- siamo la squadra da tenere d’occhio. Ma abbiamo la maglia gialla, finalmente». La gente, di nuovo sui tornanti, si è entusiasmata e non aspetta altro che la tappa di oggi, perché vuole vedere come va a finire e immagina i finali più inconsueti, utopici, devastanti. Perché, per quello che sta mostrando questo Tour, possono manifestarsi.

Accade quando usi la fantasia e ti butti come l’acrobata senza rete. Come Pogačar meno di ventiquattro ore fa. Non sai come va a finire, ma, come scriveva qualcuno, non serve saperlo. Certe volte, nella vita, bisogna dare retta alle sensazioni. Il fine non è essere impeccabili. Certo, può capitare di sbagliare: in quel momento, starai in silenzio e pagherai l’errore, la crisi e i minuti che se ne vanno. Solo in quel momento.

Tutti aspettiamo Pogačar, van der Poel o van Aert non solo perché fanno questo come ciclisti. Li aspettiamo perché rappresentano un modo di fare e di essere anche nelle piccole cose della vita quotidiana di ognuno. Un modo a cui, spesso, non ci si affida per paura. Così, quando abbiamo visto Pogačar, abbiamo pensato a cosa può accadere se solo si coglie il coraggio di buttarsi. Oggi è domenica. Domani riprenderemo la settimana con una consapevolezza in più.

Foto: ASO