Vietato non sognare
Si è parlato poco di Italia nel ciclismo in questi giorni (l'attenzione è tutta su altri sport), ma un po' di complimenti i due ragazzi qui in foto se li meritano. Colbrelli ieri ha corso una tappa fuori dall'ordinario. I telecronisti di Eurosport UK, ogni volta che veniva inquadrato in salita, nel gruppetto inseguitore, si lanciavano in esternazioni tra l'esaltato e lo stupito («Oh my gosh! An amazing Colbrelli!»), e infiammati lo eravamo pure noi a vedere il tricolore - per la verità coperto a lungo da una mantellina - e quella pedalata massiccia e inconfondibile.
Sì, un po' di stupore: ma non dimentichiamo come Colbrelli, oltre ad avere in questo periodo la proverbiale "forma della vita", quando sta bene (in bici) è un cagnaccio di quelli veri, che quando piove e fa freddo come ieri si trasforma e che in carriera è riuscito ad arrivare anche un'altra volta nei primi dieci di una tappa di montagna in un Grande Giro. Era il 2013, Giro d'Italia, e chiuse nono sullo Jafferau. Anche quel giorno fuga da lontano e freddo insopportabile con il finale corso sotto la neve.
E questo Sonny ci esalta. Ieri ha messo vicino un bel gruzzoletto per il sogno maglia verde arrivando terzo a Tignes. Una giornata che difficilmente dimenticheremo.
E due parole le merita Mattia Cattaneo. Se c'è una carriera particolare quella è la sua. Ultimo italiano ad aver vinto il Giro Under 23, passò come talento dal sicuro avvenire, ebbe guai fisici, deluse prima di tutto se stesso e le sue aspettative.
Ricominciò dal basso, con Savio, in maglia Androni, e si è ricostruito. Lo scorso anno il rientro nel World Tour in una squadra che mette i brividi solo a pensarla, la Quick Step.
Cattaneo è cresciuto ritornando a esprimere il suo ciclismo, forte in salita come a cronometro e, dopo il secondo posto di ieri, primo degli altri dietro un inarrivabile O'Connor, e festeggiato come una vittoria («Il secondo posto viene spesso visto come il primo posto dei perdenti, ma per me questo piazzamento vale tanto: secondo al Tour de France, mica in un posto qualunque») sale 12° in classifica. Magari, ragazzi, portiamo a Parigi 'sta forma che sarebbe una favola. Oppure un sogno, solo a pensarlo.
Diventare uomini
Quando Nicholas Dlamini ha tagliato il traguardo di Tignes, il tempo massimo era già scaduto da un pezzo e questo significa solo una cosa: si va a casa. Pensare che qualche giorno fa era felice, perché era stato selezionato per le Olimpiadi di Tokyo e aveva saputo di essere stato convocato per il Tour de France; il primo sudafricano di colore a parteciparvi. «Nella mia città, a Capetown, saresti famoso allo stesso modo se avessi in tasca una pistola. Saresti più rispettato per possedere una pistola o sparare a qualcuno, purtroppo è un posto in cui fare le cose sbagliate ti porta a essere apprezzato. I giovani vogliono diventare gangster perché tutti guardano ai gangster».
Dlamini, in sella, vuole raccontare che c'è modo e modo per farsi conoscere e per farsi apprezzare e ci riuscirà lo stesso, anche se questo Tour farà a meno di lui.
Al traguardo, ieri, Nicholas Dlamini è arrivato troppo tardi. Così tardi che, tra il freddo e la pioggia, a quasi duemila metri, il pubblico proprio non te lo saresti aspettato. Invece, anche più di mezz'ora dopo la vittoria di Ben O' Connor la gente applaudiva e gridava allo stesso modo. “Bravo” ha detto una signora. Anzi, per la precisione Geraldine, questo il nome della signora, ha detto “Bravò”, perché siamo in terra francese, non dimentichiamolo. Ma sono dettagli.
Non è un dettaglio, invece, la sua risposta quando le abbiamo chiesto cosa l'avesse colpita di questo ragazzo. «Che è arrivato, che ha finito qualcosa che aveva iniziato. Tifare per i primi è facile e per i primi è anche più facile arrivare. Chi glielo ha fatto fare di arrivare? Eppure è arrivato». Quel giorno, Nicholas aveva spiegato che, ora che era stato convocato al Tour e alle Olimpiadi, quei ragazzi avevano visto che tutto è possibile. Oggi lo hanno visto ancora meglio.
Soprattutto hanno visto, e se non lo hanno visto glielo raccontiamo noi, che, nella vita, non serve essere il più forte a tutti i costi per avere qualcuno che ti stimi o ti rispetti. Che si tratti di gangster o di ciclismo, per quanto le due cose siano diverse. Non serve neppure essere il più bravo o il fenomeno di turno. Basta fare onestamente quello che si può e si sa fare, niente di più e niente di meno. E qualcuno che lo vede e si mette dalla tua parte lo trovi. Anche a costo di aspettarti, quando sei fuori tempo massimo. Nella vita o nel ciclismo.