Per la storia
Domani alle ore 8 ci sarà da divertirsi. Domani alle 8, mentre noi, comuni mortali, saremo schierati davanti a cappuccino e brioche, oppure avremo appena varcato la soglia dell'ufficio, o staremo facendo zapping con le occhiaia per la sbornia olimpica. Insomma, domani alle ore 8, segnatevelo: Mathieu van der Poel, che a differenza nostra di comune non ha nulla, proverà a fare ancora una volta la storia delle due ruote.
Mountain bike, XCO, inseguendo l'oro olimpico, nell'anno in cui ha conquistato la sua quarta maglia iridata (tra gli élite), la sesta in totale nel ciclocross. Eventualmente: nessuno come lui. E per alzare l'asticella c'ha messo vicino una bella maglia gialla qualche settimana fa al Tour, sia mai che in futuro, magari un figlio o un nipote viene fuori ancora più forte e lo possa superare. Intanto mettiamo giù più record possibili - avrà pensato.
Non sarà facile per uno che di comune non ha niente se non due gambe (ma che gambe), due occhi, due braccia (e pure lì...), dorsali corazzati, polmoni che potrebbe soffiare via tutti i problemi della terra se solo volesse.
Beh, insomma, a parte le esagerazioni: domani ore 8, ricordatevi che si fa la storia delle due ruote, segnatevi l'orario da qualche parte che poi venite a dire che nessuno vi aveva avvertito.
Certo: facile non sarà come averlo scritto o pensato. Schurter, campione in carica, tre medaglie olimpiche, otto titoli iridati, forse il più grande di sempre di questa disciplina, avrebbe qualcosa da ridire e sul circuito (molto tecnico, su e giù senza respiro), lo farà.
Idem Sarrou, che pochi giorni fa si è fatto male proprio allenandosi nel circuito di Izu, ma è il campione mondiale in carica, e poi Avancini, Flückiger, Koretzky. E poi Tom Pidcock, un altro che sfugge la normalità come fosse un problema che non lo riguarda. Un altro che, anche solo finendo sul podio, potrebbe fare la storia di questo sport.
Gli avversari sono grandi e van der Poel vorrà dimostrare di essere ancora più grande. Sì, domani alle ore 8 ci sarà da divertirsi.
La disobbedienza di Anna Kiesenhofer
Quando Anna Kiesenhofer è partita insieme ad un'altra manciata di atlete subito dopo il via, nessuno le avrebbe dato una possibilità. Forse in quel momento era anche giusto, perché la storia della fuga impossibile è copione tanto seducente quanto conosciuto e in parte scontato.
Quando Anna Kiesenhofer è partita insieme ad Anna Plichta e Omer Shapira e poi da sola, sapeva che fuggire nel ciclismo ha un significato diverso da quello che ha in ogni altra circostanza di vita. Chi fugge ha coraggio, forse anche incoscienza. Lo sapeva da quel giorno del 2016 sul Mont Ventoux, quando vinse mentre tutti dicevano che l'avrebbero ripresa. Lei che praticava duathlon e triathlon e nel ciclismo non sarebbe mai arrivata, non fosse stato per un infortunio.
Quando, poi, è andata via da sola, tutti abbiamo iniziato a pensare che forse aveva fatto bene a dedicarsi al ciclismo, in parte a discapito della matematica e della fisica. Lei ci ha pensato prima. Lo testimonia quel pianto a singhiozzi a terra, dopo il traguardo, quel pianto senza fiato perché di fiato Anna non ne aveva davvero più quando è diventata campionessa olimpica.
Qualche giorno fa ha ringraziato tutti coloro che hanno sempre creduto in lei, ma soprattutto coloro che in lei non hanno mai creduto «perché- ha detto Kiesenhofer, che nel nome riecheggia una sciatrice più che una ciclista- se sono arrivata a Tokyo è anche per dimostrare a costoro che si sbagliavano».
Dietro Annemiek van Vleuten è argento e Elisa Longo Borghini bronzo. L'olandese che da quella caduta di Rio ha imparato la relatività del ciclismo, concetto di fisica, forse non a caso, e l'italiana che nel finale ha fatto quello per cui corre, sorprendere, stupire, non lasciare spazio allo scontato. Si fossero mosse prima cosa sarebbe successo? Chissà cosa sarebbe accaduto se il gruppo avesse capito prima che la troppa sicurezza di se stessi è il più grosso rischio.
Invece c'è la storia di Kiesenhofer che è tempo, numeri e relatività. Che è matematica e fisica, quella dei distacchi e della bicicletta, ma anche istinto e irrazionalità. Che somiglia a quella che vi abbiamo raccontato della prima donna che scalò il Monte Fuji senza permesso e ci riuscì. Anna Kiesenhofer ha disobbedito a ogni sorta di pregiudizio o legge non scritta e ha dimostrato di aver ragione, come sanno fare tutti coloro che devono lottare per ciò che vogliono, come sa fare una ciclista in fuga, come spesso deve fare una donna.