Aspettando Patagonia Alvento

Ci sarà da attendere ancora per vivere Patagonia Alvento, ma anche nell'attesa c'è qualcosa di speciale. «Ho avuto la fortuna di vivere un’epoca epistolare e quando ero adolescente- ci racconta Willy Mulonia- al ritorno da scuola, trovavo le lettere a me indirizzate nella cucina dei miei genitori, sul tavolo. Le prendevo, le portavo in camera, non le aprivo subito. Aspettavo ore, qualche volta giorni. Nell'attesa c'è tutto ciò che vivrai, la fantasia, i timori e anche la felicità. Quando partiremo per la Patagonia, sarà come aprire una di quelle lettere». Le norme entrate in vigore nel nostro paese il 25 ottobre non consentono, a causa della pandemia, di viaggiare verso l'Argentina, a meno che si tratti di motivi di lavoro. Il 15 dicembre il governo le rivedrà e deciderà se cambiare qualcosa ma decidere questa volta è stata soprattutto una questione di rispetto. «Ci spiace rimandare di un anno questo viaggio, non avremmo mai voluto, ma, ad un certo punto, devi prenderti la responsabilità di decidere, anche se fa male. Non potevamo tenere tutti gli iscritti col dubbio fino a metà dicembre, non sarebbe stato corretto. Patagonia Alvento si svolgerà, con le stesse date, nel 2022. Abbiamo scelto, sofferto, ma ora sappiamo dove guardare».

Willy Mulonia ha voluto parlare personalmente con gli iscritti, ha voluto spiegare loro cosa stava accadendo: anche questo rientra nella correttezza, nella fiducia a cui Willy tiene da sempre. «Mi hanno ascoltato e hanno capito. Avrebbero potuto cancellare il viaggio, farci altre richieste, invece no. Si sono fidati quando ho detto loro che in Patagonia ci andremo e ci andremo assieme, solo più tardi. Mi hanno solo fatto una domanda: “Nel frattempo non possiamo fare nulla? Perché non ci accompagni in qualche luogo mentre aspettiamo?”. Willy Mulonia ci aveva già pensato, un progetto era lì, pronto. Si chiama Al-Ándalus Bikepacking Light ed è un viaggio attraverso l'Andalusia, partendo da Granada, un viaggio che inizierà a gennaio, dal 2 al 9, per cui ci sono ancora alcuni posti disponibili.

«Da Granada ci dirigeremo verso il cuore dell'Andalusia e poi verso i deserti di Gorafe e Tabernas, luoghi spettacolari. Gli stessi scenari dell’ultima Badlands. Se qualcuno si ritrovasse lì senza saperlo, penserebbe di essere dall'altra parte del mondo. In realtà bastano un paio d'ore di volo e c'è tutta la possibilità di emozionarsi». Dalla cultura secolare delle città, ai luoghi dei film Western di Sergio Leone, sino alle grotte in pietra in cui vivono le famiglie nei pressi del Gorafe. «Ci sono stato questa estate, è affascinante. La temperatura resta costante a sedici gradi, in inverno e in estate. C'è qualcosa in quelle grotte, si dorme benissimo. Una tranquillità rara». Sarà bello e soprattutto sarà un'opportunità perché il viaggio è una cosa seria, una cosa per cui essere pronti. «Bisogna conoscere e conoscersi. Non devi essere solamente tu ad attraversare la Patagonia, deve essere la Patagonia ad entrarti dentro e ad attraversarti. Non è facile, per viverlo bisogna riscoprire l'animo del viaggiatore, non quello del turista. Un viaggio che cambia perché ti cambia. Lui cambia il suo significato, tu torni a casa diverso perché hai capito. In Andalusia proverò a spiegare questo a chi sarà con me».

Per questo Willy non chiede quasi mai a chi torna da un viaggio se gli sia piaciuto, chiede le emozioni che ha provato. Perché dire “è stato bello” non basta, perché la bellezza è soggettiva, anche le emozioni lo sono, però tutti riescono a intuirle, a immaginarle, chiunque si trovi davanti una persona emozionata lo capisce. A gennaio accadrà questo: «L'animo del viaggiatore ha a che vedere con lo scoprire, l'emozionarsi, con l'imparare a non aver paura dell'ignoto, di ciò che non conosciamo. Sarò guida ma non nel senso che tutti intendiamo, non parlerò di dati, numeri e nomi. A essere sincero non parlerò nemmeno più di tanto. Darò alle persone la possibilità di aprirsi e tirare fuori ciò che hanno già dentro. In quel momento sarò lì, ad ascoltare. Sarò un co-pilota». Willy Mulonia risponderà a tutte le persone che gli scriveranno per chiedere informazioni, ma il suo ruolo cambierà. All'inizio sarà consulente, assistente, per aiutare i viaggiatori a preparare la bicicletta o a prenotare un volo, poi diventerà mentore, consigliere, qualcuno che, attraverso la situazione creatasi, porrà domande e aiuterà a cercare risposte già presenti. Solo nascoste.
Ci sarà l'entusiasmo della partenza, la curiosità della conoscenza, il fascino della Spagna e dei suoi angoli più suggestivi, la meraviglia del viaggio che ritorna dopo tanto tempo e quella dell'attesa di un altro viaggio, dietro l'angolo. Soprattutto ci sarà la voglia di scoprire ciò che sta dentro per riuscire a guardare ciò che sta fuori.


Fino a dove potrà arrivare Tom Pidcock?

C'è qualcosa che, osservando Tom Pidcock, balza subito agli occhi. Non è la statura, né quella potenza di pedalata che, proprio perché espressa da quello che pare un corpicino, Viktor Šklovskij avrebbe definito "ostranenie" straniante, ovvero quel processo narrativo capace di "fare uscire il lettore (o l'osservatore) dall'automatismo della percezione". No quello che colpisce subito di Tom Pidcock è, molto più semplicemente, il talento.
Già, il talento, quella particolare caratteristica che pare quasi possa aiutarci a leggere il futuro di una persona. Quel "dono" che, se non viene coltivato, non può dare buoni frutti. Quel tratto peculiare che siamo soliti - anche al di fuori del mondo dello sport - ad associare a grandi artisti, a menti illuminate e geniali.
Il talento in Pidcock più che una forma d'arte appare legato ai parametri della consistenza. Più che una pennellata d'artista si infila nella categoria dello sforzo disumano. Da quando è giovane, Pidcock spinge oltre ogni limite per ridurre ogni margine alla ricerca del massimo risultato, e a fare la differenza, sentendo colleghi, ex compagni o tecnici, sono testa e ambizione: scintille che accendono e illuminano il suo talento.
"La potenza è nulla senza controllo" reclamava un tempo un famoso spot pubblicitario: assioma così banale ma quanto efficace nel voler descrivere i passi che Tom Pidcock, da Leeds, sta muovendo nel ciclismo.
Quando lo abbiamo osservato da ragazzo, in lui vedevamo questo piccoletto, forte, sì, tenace, è vero, ma fisicamente forse non del tutto pronto a fare quel salto di qualità che in una stagione come quella appena trascorsa, ha dato modo di vedere.
Ma quei margini sono stati ridotti: 3° al mondiale di Harrogate nel 2019 su strada, nel giardino di casa, tra gli Under 23, si diceva: "ottimo corridore per carità, ma deve farne ancora di strada"... eppure.
Lo stesso si diceva nel ciclocross: a livello giovanile raccoglieva di tutto un po': "ma vedrete quando arriverà tra i grandi sarà tutta un'altra cosa". E invece in poco tempo si è ritagliato lo spazio necessario per far parlare di sé, magari non alla pari, ma di sicuro subito dietro van Aert e van der Poel.
Dopo la prima stagione su strada i suoi risultati dicono tanto di talento e ambizione: 1° alla Freccia del Brabante, 2° all'Amstel battuto in un fotofinish che se visto dal suo punto di vista grida vendetta, 3° alla Kuurne-Brussel-Kuurne, 5° alla Strade Bianche, 6° al Mondiale (dove arriva dopo aver patito le pene alla Vuelta, comunque conclusa), 15° alla Sanremo, la sua prima volta in una monumento, la sua terza volta in una gara oltre i 200 km. Tutto questo a 22 anni.
Abbiamo voluto solo sottolineare quello che Pidcock ha già mostrato in 37 giorni di gara su strada in maglia Ineos, lasciando, volutamente ai margini, quello che il ragazzo è capace di fare nel ciclocross e in mountain bike. Perché il suo 2021 ha significato titolo olimpico nelle ruote grasse, bronzo mondiale nel ciclocross finendo nella stessa foto sul podio con Wout van Aert e van der Poel che Pidcock, abile nel muoversi anche fuori dalla bici, descrive così: «Conosco poco entrambi, ma di sicuro Mathieu è uno che se non vince non è felice, van Aert invece sa bene quello che può fare e difficilmente nei giorni in cui sta bene non mette a segno il colpo».
Pensa, Pidcock, parlando appunto di cross, che per restare nella storia dovrà conquistare un campionato del mondo, ma è consapevole in quel caso di dover battere quei due a cui inevitabilmente si ispira.
Ma se nel cross i limiti sono ben definiti da avversari e peculiarità della disciplina è su strada che ci chiediamo dove potrà arrivare. Ha vinto, tra gli jr, la Parigi-Roubaix, bissandola poi tra gli Under 23: potrà essere il primo nella storia a completare una storica tripletta vincendola anche tra gli élite? Secondo noi sì, basta avere un po' di pazienza. Ha vinto, tra gli Under 23, il Giro: su di lui si è pronti a scommettere che prima o poi ci proverà anche tra i grandi nei Grandi Giri nonostante la concorrenza attuale sposti decisamente verso l'alto l'asticella della competitività.
Veloce al termine di corse impegnative tanto da giocarsela persino con uno come van Aert, resistente, intelligente nel modo di correre, le grandi classiche di un giorno le può vincere tutte (o quasi) e non sono molti altri quelli che se lo potrebbero permettere - van Aert, van der Poel, Alaphilippe, Pogačar. E poi?
La Ineos oltretutto sta costruendo attorno a lui un piccolo clan di giovani britannici che negli anni lo supporteranno in tutte quelle che sono le sue idee assecondandone le scelte, accompagnandone la crescita.
E allora fino a dove potrà spingersi Tom Pidcock? Se i limiti sono quelli del suo talento, allora significa davvero molto in alto.