"Cykel": a Copenaghen
Anche in questo momento, a Copenaghen, qualcuno, passando dalla Piazza del Comune, si sarà fermato davanti allo schermo che conta i giorni mancanti al primo luglio, il giorno della partenza del Tour de France. Per loro è "vente", l'attesa. Davanti a quello schermo si ferma la bicicletta e si fa passare qualche minuto: solo così manca meno, solo così quel giorno è più vicino. Basta "cykel", la bicicletta in danese, e qualche pedalata per andare a vedere. Per almeno cento giorni, perché il tempo lì ha iniziato a scorrere ai meno cento giorni dal Tour.
Le biciclette corrono ai lati delle strade e sono l'elemento in movimento della città. Sono il mezzo in grado di scuotere gli abitanti dalla forte timidezza che li connota, perché aiutarsi, fra le strade, in bicicletta, è naturale. «Spesso le biciclette usate per andare al lavoro o a scuola sono le più vecchie, segnate dal tempo e dall'uso- ci raccontano i ragazzi di Copenaghen Bike Community che stanno lavorando all'allestimento degli eventi collaterali al Tour- ciascuno ha più di una bicicletta e la più bella resta a casa per le occasioni importanti». Non c'è nulla di male nell'avere una bici vecchia, non c'è nulla di male nell'usare una bicicletta rovinata.
La bicicletta, per un danese, è il mezzo che unisce due punti di un tragitto, la sola sua chiave di lettura è il viaggio. Il Tour de France in città per gli abitanti di Copenaghen è, in primis, un'opportunità di avvicinamento fra il loro mondo, quello che alla bicicletta lega la parola "necessità", e quello dello sport in bicicletta: «Per un ragazzo che va in bicicletta a scuola o un operaio che usa la bicicletta per andare in fabbrica, chi fa il mestiere del ciclista sembra molto distante, come in un altro universo. Quelle biciclette sembrano, e in parte sono, altre biciclette. In realtà scorrono sulle stesse strade, per questo, da oltre un anno, per l'arrivo del Tour si stanno rifacendo le strade». In questo modo si accomunano due realtà diverse, cercando di suscitare negli uni la curiosità per il mondo degli altri: «Nella concezione danese, la bicicletta è una, unica, il resto sono differenziazioni fatte dalle persone e dagli usi. Ospitare il Tour de France significa avere altre biciclette in città e altri usi delle biciclette». Forse significa anche avere ancora più voglia di fermarsi a scattare una fotografia.
Già, perché a Copenaghen accade anche questo: «Se il mezzo bicicletta ti incuriosisce, ad ogni pedalata ti fermi decine di volte a fissare una nuova bicicletta: cargo bike, bici per famiglie, biciclette colorate che vanno a formare disegni o vetrine». E, nel centro di Copenaghen, le vetrine a tema bici sono davvero tante, compreso un negozio dedicato al Tour de France. Qualcosa che richiama l’idea di una festa. “Festivelo”, ad esempio, che proprio nei giorni del Tour de France racconterà le diverse forme del ciclismo e lo farà cercando di divertire, di mostrare cosa può essere una bicicletta.
Qui, a Copenaghen, è la costante su ogni sfondo, ad ogni variazione di cielo e di luce, la scia in movimento che porta altrove.
Contava far parlare la bici
Primož Roglič: far parlare i fatti. Che sarebbe vederlo in bici sempre composto, agile, gli occhi che, man mano si sale e aumenta la fatica, gli diventano sempre più piccoli tra le orbite e con una forma che definiremmo a mandorla.
Citiamo il palmarès dello sloveno nelle corse a tappe perché più concreto di un elenco del genere resta poco per aiutarci a capire di chi e cosa stiamo parlando: 3 Vuelta, 2 Paesi Baschi, 2 Romandia, 1 Parigi Nizza, 1 Tirreno, 1 Delfinato (quello vinto ieri), 1 Uae Tour, mettiamoci dentro anche 2 Slovenia, visto che è la corsa di casa sua.
I fatti sono che arrivava al (Criterium del) Delfinato con più di un punto interrogativo per un problema fisico, qualcosa tra muscolo e ginocchio, qualcosa che ci faceva dire: non è lo stesso Roglič delle ultime stagioni, ma se qualcuno avesse avuto dei dubbi, quei dubbi sono stati fugati.
Ciò che contava era far parlare la bici, la cadenza a tratti assurda di pedalata in salita, il controllo totale da parte della sua squadra in corsa. Nelle ultime due frazioni di un Delfinato francamente bruttino e niente di più che di preparazione al Tour, Roglič cercava risposte; le cercava dal suo fisico, le cercava da dare a se stesso, perché poi è questo che conta principalmente; risposte da dare alla sua squadra perché c'è quel diavolo di un danese che spinge forte.
Verso Vaujany, mentre Carlos Verona si involava verso la prima vittoria dopo una lunga carriera spesa a essere gregario (quasi) di lusso, o fugaiolo in appoggio ai capitani, Roglič attaccava (seppur tardi per lo spettacolo, ma tant'è); attaccava tanto quanto bastava per farci temere un'altra situazione Roglič-Mäder, attaccava tanto quanto bastava per farci capire. Attaccava per leggersi dentro: ci sono, avrà pensato. Non al meglio, ma ci sono. Sono in crescita e al Tour ci sarò come volevo esserci. E così via.
Ieri verso il Plateau de Solaison di nuovo Vinegaard e Roglič a completare una giornata super di una vecchia conoscenza come Kruijswijk che in pochi chilometri si conquistava un posto tra gli Jumbo-Visma per il Tour, e non è che sarà una cosa di poco conto esserci visti gli altri sette a completare la squadra, oltre appunto al buon vecchio e caro corridore che in Francia chiamano "Le Cintre", ovvero l'appendiabiti, la gruccia. Corridore che trasmette simpatia amplificata ripensando a quella caduta in maglia rosa al Giro di qualche anno fa, in mezzo alla neve.
Beh, dopo l'opera kruijswijkiana, andava via la coppia sloveno-danese, così diversi, ma che saranno uniti dall'obiettivo di provare a battere l'altro sloveno sulle strade del Tour. «Io ci credo, proverò a vincere il Tour. Se ripenso al Ventoux del 2021 quando staccai Pogačar... so che posso farcela» ha detto Jonas Vingegaard a fine tappa ieri, dove per un attimo, forse qualcosa in più, misurabile in diverse centinaia di metri verso il traguardo, è parso persino rallentare per non mettere in difficoltà Roglič. «Al Tour partiremo alla pari» ha aggiunto.
Una prova di forza della squadra che sarà uno dei temi fondamentali fra qualche settimana: «Per quello che abbiamo fatto vedere qui, meritiamo di essere la squadra favorita in Francia», ha aggiunto il vincitore della maglia gialla ieri. E forse grazie a questi due e alla Jumbo Visma la corsa potrebbe restare aperta. La corsa potrebbe essere bellissima.